Voto: 
8.0 / 10
Autore: 
A. Giulio Magliulo
Genere: 
Etichetta: 
Matador
Anno: 
2012
Line-Up: 

Lee Ranaldo - voice, guitar

Nels Cline - guitar

Alan Licht - guitar

John Medeski - keyboards

Steve Shelley - drums

Jim O'Rourke / Bob Bert - co-producer

Tracklist: 

01. Waiting On A Dream
02. Off The Wall
03. Xtina As I Knew Her
04. Angles
05. Hammer Blows
06. Fire Island (Phases)
07. Lost
08. Shouts
09. Stranded
10. Tomorrow Never Comes

Lee Ranaldo

Between the Times and Tides

Meglio esser chiari fin dall’inizio: Between the Times and Tides è tra i migliori albums dell’anno ed  ambisce seriamente al palmarès 2012 salvo lavori epocali a venire nei prossimi mesi che stravolgeranno questa valutazione.

Ora si può anche dire che questa è fottuta nostalgia, sarebbe legittimo pensarlo e non escludendo che questo tipo di sentimenti ed emozioni possano essere ampiamente evocati dal disco in questione, resta di fatto che per gli amanti delle sonorità del (vero) indie anni ’90 questo album è manna dal cielo, una pura boccata di ossigeno: il Chapel Hill Sound è tutto qui, il suono di New York è tutto qui ed il diritto a perpetuarlo è conferito ad uno dei suoi protagonisti, Lee Ranaldo.

Tra l’altro, poiché non si capisce molto bene cosa faranno (se faranno qualcosa) i suoi Sonic Youth, capito invece molto bene cosa fa il collega Thurston Moore ed uscito il nuovo disco di Bob Mould, non si capiva perché non dovesse uscire anche un più che degno lavoro solista del buon Lee.

Due sono le cose che risaltano immediatamente in Between the Times and Tides: la mancanza totale di pulsioni sperimentali, caratterizzanti della formazione e della personalità di Lee Ranaldo e la mancanza totale di pulsioni verso la dimensione acustica, folk, caratterizzante l’ultimo lavoro solista dell’amico Thurston Moore (inevitabile il confronto dal quale, a mio parere, pur apprezzando oltremodo Demolished Thoughts, Ranaldo ne esce vincente).

Queste le considerazioni preliminari prima di abbandonarsi ad un ascolto caldo, accogliente, rock a tutto tondo nell’accezione dei nineties, denso di chitarre sature e riverberate che si stratificano creando quelle melodie ineffabili che hanno contribuito alla formazione della nostra psiche musicale, accompagnando i pomeriggi ventosi della nostra età migliore, quando Brooklyn era a pochi passi dal nostro quartiere.

E’ così che ogni brano diventa un piccolo manifesto dell’indie rock, dalle atmosfere livide ed ipnotiche di Xtina As I Knew Her all’anthemica opener Waiting on A Dream, dalla gioia repressa di Angles agli spudorati richiami agli Husker Du in Fire Island e ci sono persino delle escrescenze malcelate di splendida psichedelia west-coastiana a far vibrare positivamente l’intera impalcatura dell’album, pieno di ospiti di eccezione che potete leggere nella line-up.

In attesa del prossimo Dinosaur Jr. - tanto ormai ci siamo - sapete cosa fare.

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