Carlo Castellani: voce, basso elettrico, flauto dolce, organo, pianoforte
Edoardo Natalini: voce, batteria, percussioni
Federico Rocchi: chitarre classiche ed elettriche, armonica
I.Hic Sunt Leones
II.Il Re E La Quercia
III.Figlio Di Cagna
IV.Calendimaggio
V.Un Profeta Dal Cosmo
VI.Era Autunno
VII.Vinsanto
(PARTE I.Un Mare Di Incenso Copriva Le Croci
PARTE II.Povero Piccolo Pellegrino
PARTE III. Neve
PARTE IV. E Quindi Uscimmo A Riveder Le Stelle)
Hic Sunt Leones
Dopo il lavoro del 2010, The Past, ritornano i Focus Indulgens e questa volta cantano in italiano secondo i canoni del più antico e nobile prog italico. Intro di organo, prepotente riff hard vintage, una cavalcata con la chitarra solista che doppia sé stessa: così andiamo incontro a questi ‘leoni’ che bivaccano felici ed indisturbati sotto le stelle, tra i vigneti della Valdichiana.
Hic Sunt Leones è la cosa più vicina ad un incontro tra doom ‘old style’ e la PFM o Le Orme. Sono i riff portanti a sostenere e preparare delle fughe di simil-moog, mentre i tappeti di tastiere non sono mai troppo invadenti perché i Focus Indulgens riescono in qualche modo a prendere il lato più schiettamente rock di quel progressive, mettendo da parte certe noiose e cervellotiche strutture tipiche del genere, con il risultato finale che questo disco piacerà molto di più agli amanti di Candlemass e Saint Vitus che non a quelli di Yes od E.L.P. (del resto già nella primigenia ondata di prog italiano l’oscuro e l’esoterico regnavano incontrastati).
Gli assoli veloci sono puro heavy-doom come quello di una band qualsiasi di Wino Weinrich, ma l’effetto dell’affiorare improvviso di un flauto fiabesco è ancor più straniante in tale contesto.
I testi, di evidente derivazione progressive, si perdono tra sensazioni paesaggistiche e cosmiche e sono immersi in una narrazione di stampo medioevale. Deliranti al punto giusto, come il bellissimo art-work, restituiscono esattamente ciò che i Focus Indulgens vogliono rappresentare e delineano e completano la proposta artistica del trio ed il suo orizzonte estetico.
L’inusitato incontro tra doom e il progressive italiano è davvero molto piacevole perché - oltre alla notevole perizia tecnica - l’amore incondizionato dei Focus Indulgens per queste derive passatiste è talmente grande e spontaneo che il calligrafismo che in certi passaggi potrebbe emergere passa in secondo piano, a favore di un’immensa libertà espressiva per quanto possano permetterlo generi come questi, ampiamente codificati.
Mai avremmo pensato che il doom-metal sabbathiano avesse potuto incontrare e sposare così felicemente la declinazione di un verbo nostrano, restando così sospeso tra oscurità e luce e con l’ambizione di poter intrigare un pubblico avvezzo tanto ai primi Deep Purple, quelli più psichedelici, quanto alle più temibili formazioni di epic-doom dei novanta (i nostri hanno condiviso palchi con Pagan Altar, Slough Feg, Solstice, Forsaken e Mirror of Deception).
Il finale flamencato di Vinsanto (parte IV) fa pensare che i Focus Indulgens possano maneggiare e plasmare tali materie come vogliono, e non escludo che in futuro possano stupirci ancora e di più.