Probabilmente la parola "pop", a torto e tristemente inflazionata dal music business, è tra i termini più controversi e sfaccettati che la musica abbracci. Forse che reclami giustizia e una giusta collocazione nel magmatico universo contemporaneo? Sì perché in un periodo in cui con "pop" molti si riconducono a mere operazioni superprodotte da classifica, sarebbe necessario posizionare dei paletti per chiarire, o quanto meno distinguerne due diversi tipi. Nato da un duplice handicap - una forte connotazione sociologica unita ad un pericoloso profumo di leggerezza - andrebbe quindi modellato, riposizionato e incoraggiato. Questo però non a condanna e mortificazione di un concetto - quello del leggero - che è ben lontano dall'essere nemico del popolo, appunto, e vergogna per gli artisti, anche perché alla fine niente come le melodie circolari ci trasmettono verità e sicurezza. Questo processo di rimodellazione però, gli ascoltatori poco distratti non lo possono negare, è stato assolto già da tempo in favore di un significato diverso di 'leggero', quando nel suo procedere verso le classifiche inglesi, il pop è riuscito a spingersi oltre i più biechi confini che lo avevano frustato sin dalla nascita, oltrepassando un limite dietro al quale il suo messaggio sarebbe stato colto e divenuto universale, un messaggio che da sempre attraverso testi impegnati, espliciti e fortemente politici è stato simbolo di una lotta alle conseguenze provocate da ristrutturazioni istituzionali del governo Thatcher nelle aree industriali inglesi. Sì, stiamo parlando delle intemperie che attraversavano gli sfaccettati anni 80. Qualcuno ha parlato anche di movimento, magari impropriamente, ma senza dubbio c'era un comune sentire degli ideali estetici e sociali condivisi da molti, spesso anche da militanti del partito Laburista.
In mezzo a queste proteste è impossibile non citare il tour
Red Wedge dell'86 con alcuni tra i gruppi più influenti degli 80s che proprio destrutturando quel concetto di 'leggero' ne elevavano il significato:
Billy Bragg,
Paul Weller, i
Madness,
Lloyd Cole, l'incredibile
Paddy McAloon con i suoi
Prefab Sprout, i mitizzati
Smiths, i
Working Week forti dell'atteso
Working Nights dell'anno precedente o ancora i marxisti
Housemartins. Questa era una delle parti dell'Inghilterra: giovani disillusi, forse, ma non impassibili, fortemente avversi ad un liberismo imposto dalla
Lady di Ferro, che reagivano proponendo una maggiore solidarietà e giustizia sociale. Questo era il pop colto, quello 'leggero', magari, ma era quello che aveva qualcosa da dire. In tutto ciò vi erano anche mille altre divagazioni pop, quelle cool jazz degli
Everything but the Girl o dei
Sade, quelle proto-acid degli
Style Council, l'ermetismo elettronico dei
Blue Nile, del guitar-pop dei
Moose, delle sferraglie pop-rock dei
Pale Fountains, dei synth glitterati degli
Scritti Politti (..e via dicendo) o appunto il post-punk dei
Wild Swans. Sì i misconosciuti Wild Swans che giravano con mostri sacri come
Echo & the Bunnyman,
Icicle Works o
Woodentops, ma che purtroppo non hanno mai avuto un grosso seguito, sebbene dalla fuoriuscita di alcuni membri si formarono in seguito i più acclamati
Lotus Eaters (
The First Picture of You fu il loro singolo più di successo). A dir la verità a parte il singolo iniziale '
The Revolutionary Spirit' (1982) l'esordio che ne seguì nel 1988 non ebbe un'eccessiva influenza post-punk a parte nell'attitudine decadente che ritroviamo anche svariati anni di distanza in questo
The Coldest Winter For a Hundred Years, terzo capitolo della band di Liverpool. Qualcuno potrebbe storcere il naso nel vedere certi ritorni come questi, qualcuno potrebbe pensare che sia un mero esercizio di stile fine a se stesso, ma la realtà dei fatti è che, soprattutto in questi anni in cui il nostro 'pop' è stato dato in pasto al mercato, un ritorno sulle scene di quelli che erano riusciti ad elevarlo ad un livello superiore è solo cosa buona e giusta.
In questo The Coldest Winter For a Hundred Years c'è tutto quello che si può chiedere di avere indietro dalla madre Inghilterra, a cominciare dai fiori color pastello sulla copertina che inneggiano a Power, Corruption and Lies dei New Order, album che come pochi segnò una delle svolte pop tutte. Ma il profumo di Inghilterra non sta solo nelle immagini e negli arrangiamenti palesemente 80s - ci trovate dai dinamici jangle di Liquid Mercury, alla piano-folk d'apertura Falling To Bits, rimandi alle prime pubblicazioni Creation come Intravenous e Underwater, o ancora la ballata Glow In The Dark - no, c'è molto di più. Prendete ad esempio il retrodatato singolo English Electric Lightning, che con la sua lirica evoca un'infanzia remota di quei Vulcan Bomber e quegli English Electric Lightning che planavano e proteggevano una madre terra in difesa di tutte quei pregi e difetti che ne hanno da sempre mitizzato la storia. E fra tutti questi temi non potevano di certo mancare le solite accuse che i 'Cunei Rossi' scagliavano contro il dispotismo della Lady di Ferro: "English electric lightning protected / Wilton's angels resurrected / Airfix spitfires, Douglas Bader / Skinheads, bulldogs, Drakes' armada / Knight in armor, urban foxes / Ladi Di and mods and rockers / Trident submarines, Meccano / Thatcher sinking the Belgrano" o ancora "Green unpleasant land infected / Vulcan bombers, cornish habors / Elizabethan costume dramas / Council housing, Shakespear's sonnets / Turner's sunset in pools of vomit / A thousand burning Ford Sierra's / William Blake in cash converters". Piano, arpeggi e inserti elettrici, un suono che è stato pulito e lucidato per essere adattato ai nostri giorni ma che conserva alla perfezione quella classe che solo pochi artigiani 'pop' possiedono. Il disco persegue poi in una vetta assoluta come When Time Stood Still, un parossisimo di emozioni nostalgiche che si alternano a brividi continui mentre la struggente voce di Paul Simpson spera in un viaggio a ritroso: una delle canzoni più belle scritte in questo 2011.
Un ascolto obbligato e consigliato per chi, come me, vive in questo presente con il cuore che è rimasto in quegli immutabili anni in cui il pop ha visto la sua massima esposizione, perché album come questi ti rivelano qualcosa che, in cuor tuo, hai sempre saputo, e cioè che per forza di cose si rimane sempre in balia delle stesse emozioni e degli stessi sentimenti.