01. Our Day Will Come
02. Between The Cheats
03. Tears Dry (Original Version)
04. Wake Up Alone (Original recordings)
05. Will You Still Love Me Tomorrow
06. Valerie (68 Version)
07. Like Smoke feat. Nas
08. The Girl From Ipanema
09. Halftime
10. Best Friends
11. Body & Soul feat. Tony Bennet
12. A Song For You
Lioness: Hidden Treasures
Il fenomeno mediatico del duemilaundici che più ha riguardato da vicino la musica, senza se e senza ma, è quello che ha riguardato Amy Winehouse. In perfetta analogia con quanto successo a Michael Jackson nel duemilanove, la (seppur misera) discografia e ogni aspetto della vita di questa ragazza trapiantata a Camden è stata presa d' assalto da migliaia di fan (o presunti tali) che hanno potuto in tal modo esercitarsi nell' esercizio più dilettevole di ogni persona, ovvero tessere le lodi della nuova eroina del pop e del soul oppure infangarne deliberatamente il nome con offese di tutti i generi. La velocità e la scaltrezza con cui i mezzi informatici hanno gestito l' accaduto ha provocato immediatamente scompiglio giù nel pollaio, dove ciascuno si è schierato nell' una o nell' altra fazione, iniziando a sparare senza nemmeno capire il perché, nè le modalità. Si alzano i toni per far sentire le proprie ragioni - aldilà che in queste poi ci si creda o no - e non si arriva al nocciolo del discorso: musicalmente parlando, chi era Amy Winehouse?
Legata a doppia mandata con l' ondata del nuovo soul di inizio millenio capace di portare allo scoperto talenti come Norah Jones ma molto più frequentemente sagome radiofoniche senza mezze misure (Michael Bublé su tutti), la giovane Amy fece il suo debutto nel duemilatre con Frank, un disco molto carente nelle basi musicali che però riusciva perlomeno ad ammaliare per gli esercizi canori di una voce già padrona della sua massima potenzialità di espressione, qualcosa a metà fra i gruppi hip-hop degli anni '90, Billie Holiday e Dinah Washington; influenze sapientemente fatte risaltare in tutte e tredici le tracce, il cui vero limite era quello di difettare dal punto di vista dell' originalità musicale. Sufficienza mancata anche per il successivo ed acclamatissimo Back To Black, album con la quale la Winehouse si apprestava definitivamente ad entrare nell' alveo dorato del pop ad alto tasso di fruibilità. Tale scelta sarà annunciata preventivamente dalla scelta di piazzare in fase di produzione lo scaltro Mark Ronson, davvero una volpe nel fiutare l' affare della vita, in compagnia del fido Remi, e di conseguenza agire secondo le stesse funzionalità e modalità già adoperate per artisti quali Christina Aguilera, Robbie Williams e Lily Allen, ovvero esibendosi in una serie di ritocchi tronfi e bolsi che paiono più dei remix. I brani acquisiscono un assetto pop, che niente ha in comune con i riferimenti accennati al soul ed al jazz dell' esordio, costruendo intorno alle liriche (adesso maggiormente scontate) una vera e propria gabbia easy-listening decisamente monotona fin dai primi episodi, di cui mi sento di salvare solo gli episodi devoti alle girl group dei sixties in quanto ben eseguiti e modernizzati.
Ciò che è successo dopo lo sapete tutti, con il decesso causato da un abuso di alcool, dovuto ad uno stile di vita eccessivo che era in realtà perfetto per lo showbiz, che difatti ha preferito starsene in disparte commentando sarcasticamente ogni nuova gaffe, fino a quando naturalmente lo scherzo si è dimostrato essere pesante ed allora si sono assunti toni seri e ammicatamente celebrativi per una semplice artista pop, al pari delle colleghe Duffy e Mariah Carey, che niente avevano fatto intravedere per essere di punto in bianco nominate regine del nuovo soul alla stessa stregua di veri e propri mostri sacri come ad esempio Hall & Oates.
La Island records cerca adesso di spremere come un limone gli archivi della Winehouse, nel tentativo di capitalizzare al meglio in questo scorcio di fine anno con Lioness: Hidden Treasures, lavoro contenente inediti destinati ad un futuro progetto e versioni demo mai resi pubblici, da considerare come un incrocio tra un disco postumo ed un rarities. Ed è proprio qui, nell' apparente generoso atto di smerciare a basso prezzo le presunte final recordings, che traspare tutta l' inconsistente ed enigmatica problematica di un artista alquanto indecisa e piuttosto ingenua nel cadere sempre in luoghi comuni, di cui in larga parte abbiamo parlato qui sopra. Sia che si tratti di soul, sia che si tratti di Motown, la gustosa melassa di cui ogni composizione è composta parla essenzialmente la lingua del pop, peraltro nemmeno eccessivamente ben espresso a causa delle tante (forse troppe) influenze da cui si vuole far investire Amy Winehouse, in ulteriore istanza peccando di ritornelli deboli per poter iniziare ad avanzare l' efferata ipotesi di trovarsi di fronte ad un timbro canoro immortale. Non che la voce di Jade non sappia ammaliare ed ipnotizzare, soprattutto nelle composizioni orchestrali supportate dalla parte corale, tutt' altro; le sue corde vocali si estengono in lungo ed in largo, nel tentativo di creare una sorta di permanente contatto con l' ascoltatore vistosamente architettato per sanare la reale inconsistenza dell' apparato musicale che solo nei momenti più emotivi pare funzionare, mantenendosi per il resto in bilico tra il piacevole sottofondo.
Come accade puntualmente nel primo singolo estratto, Our Day Will Come, in cui il cantato si mantiene permanentemente tra un mood scocciato ed uno stanco, mentre l' accenno di reggae dietro di lei viaggia completamente con altro passo, in altra direzione. Per non parlare poi dei brevi sketch di The Girl From Ipanema e Best Friends, Right?, all' insegna di una improvvisazione imbarazzante per l' ensemble, costretto a girovagare intorno ai turbamenti della cantante senza mai riuscire a trovare un filo logico in grado di collegare le due cose. Di poco meglio vanne le cose nel doo-wop R&B di Between The Cheats, dove almeno il tutto riesce a ricompattarsi e trovare una sua logica, sebbene carente di nuovo nel cambio di passo decisivo. Ottimamente gestite stavolta le demo version di Tears Dry, che conquistano in tutto e per tutto anche per la sovrapposizione di tutta la line-up su una voce per la prima volta maltrattata, come nel caso dell' abbagliante Valerie (68 Version), decisa nel voler cancellare la brutta figura della mezza acustica imbastita in Love Is A Losing Game, risalente alla deluxe version di Back To Black, in cui nell' arco di otto tracce già si era pescato a fondo in fatto di live e versioni alternative. Rivelatore il duetto in Body And Soul con Tony Bennet, in cui il geniale crooner sembra voglia mettere da parte le spuntature della collega con una performance ottima sotto tutti i punti di vista, mentre grandi soddisfazioni non le riserva nemmeno Like Smoke, in compagnia di Nas, un rapper di seconda fascia che per tutta la canzone non fa altro che privare le nostre orecchie della continuità incantevole in cui Amy per la prima volta sembrava riuscire. Una magia istantaneamente perduta nel giro di poche lancette con Will You Still Love Me Tomorrow in cui l' epicità delle trombe si tradisce con l' opaca prestazione del resto degli elementi.
Anche dopo la fine di Lioness: Hidden Treasures nulla sembra adatto per poter essere investito del titolo di straordinario; la suddetta raccolta continua a cercare le proprie fortune continuando ad utilizzare l' intestazione di Back To Black, e di conseguenza la formula utilizzata si rivela fin da subito un fiasco a dir poco soporifero. Per giunta la monotonia mantenuta dal timbro vocale, l' arma migliore del disco, non aiuta minimamente a risollevare le sorti, mentre la musica, come già ampiamente detto, non riserva nè spunti brillanti nè una lodevolissima capacità di esecuzione. Quindi, se dovessimo trattare il lavoro come un disco postumo staremo a parlare senza dubbio del canto del cigno di Amy Winehouse, che firmerebbe la peggior opera della sua discografia con delle tracce insulse, in grado solamente di ricercare il fantasma del mediocre Back To Black con scarsissimi risultati. Mi duole dirlo, ma non si tratta nemmeno più di canzonette...