Mezzala
Michele Bitossi
di: 
Gabriele Bartolini
19/11/2011

Dell' esordio solista di Michele "Mezzala" Bitossi, Il Problema Di Girarsi, ci siamo occupati poco tempo fa. Ne parliamo adesso con il diretto interessato, focalizzandoci pure sui Numero6 e su alcune illustri collaborazioni che il nostro può vantare con la band che lo accompagna dal 2003...

 

 

 

G.B. - Ciao Michele, benvenuto su Rockline.it e grazie per l' intervista. Appena ho saputo del fatto che tu fossi in procinto di incidere un album solista, mi sono chiesto subito i motivi per cui avessi bisogno di una nuova esperienza, considerando che sei l' unico autore dei Numero6. Poi ho ascoltato il disco, e molte delle canzoni danno l' impressione di avere un tono alquanto liberatorio, come se tu ti dovessi liberare di un grande peso. Le cose con i Numero6 stavano andando così male?

Michele - Hai colto uno dei motivi fondamentali per cui ho dato vita al mio progetto solista, con un album che nelle mie intenzioni non segna che l'inizio di un percorso che mi auguro lungo e soddisfacente. Con i Numero6 le cose andavano e vanno molto bene. Stiamo finalmente raccogliendo quanto seminato nel corso del tempo e siamo soddisfatti, oltre che parecchio carichi, e l'album nuovo è previsto per settembre prossimo. Sono convinto del fatto che avere progetti artistici ulteriori non possa che far bene alla band perchè si evita di riversare in essa tutte le pulsioni creative, la si preserva da pressioni troppo grandi.
Personalmente era da tempo che desideravo intraprendere l'avventura Mezzala, sia per mettermi in gioco personalmente senza la "protezione" di una band sia perchè, se lo si ascolta con attenzione (come mi pare abbia fatto tu) il mio materiale solista, soprattutto dal punto di vista testuale, è assai diverso di quello che dedico ai Numero6, con cui ho deciso di scrivere in maniera meno personale e intimista. C'è poi da dire che volevo creare una situazione che mi permettesse di fare concerti da solo in duo, e questa me lo permette assolutamente.

G.B. - In Il Problema Di Girarsi sotto una struttura di semplice folk-rock si dà spazio talvolta a motivetti di puro stampo british, come gli Housemartins nascosti in Tempi E Modi. Devi molto a tale scuola?

Michele - Beh direi proprio di sì. Sono cresciuto nella completa adorazione di certo sound britannico, dai Jesus and Mary Chain agli Smiths, dagli Who ai Jam passando sicuramente per Housemartins e Beautiful South. Soprattutto mi ha influenzato un certo modo di suonare la chitarra, molto arpeggiato per quanto potente ed energico. Qui penso molto anche alla mia band preferita di sempre, i R.E.M., e in particolare a Peter Buck. D'altra parte non mi sono tatuato una Rickenbacker 360 sul braccio a caso...

G.B. - Attraverso un simbolismo calcistico dai l' impressione di voler ripescare i vecchi valori di una volta: non hai pensato che tale scelta, percorsa ormai da non pochi artisti, poteva risultare banale? Oppure ti sei lasciato solamente guidare dall' istinto rilassato che traspare nelle canzoni, senza pensarci troppo?

Michele - Francamente non mi sono mai posto un problema del genere sia perchè non si tratta di un immaginario costruito a tavolino bensì proposto con totale spontaneità sia perchè Il Problema Di Girarsi, pur attingendo nel titolo e in certe espressioni metaforiche al mondo del calcio non è un disco calcistico ma parla di tante altre cose pur rifacendosi a una delle sfere di interesse più in voga in Italia da anni e anni. Il fatto che per ora non abbia ricevuto una sola critica negativa in tal senso e che, incredibilmente, parecchie ragazze che sulla carta detestano il calcio mi abbiano detto che grazie al mio album lo detestano un pochino meno, mi fa credere che probabilmente la scelta di condire le canzoni del disco con sapori derivati dal football vintage è stata piuttosto azzeccata.

G.B. - Le tue parole di presentazione al disco mi hanno fatto riportare alla mente una vecchia intervista a Neffa, in cui anche lui si lamentava del fatto che molto spesso il ruolo dell' artista, più che del musicista, viene eccessivamente stigmatizzato in Italia. Senza stare a rimarcare troppo il concetto, le cose sono peggiorate con l' avvento di internet?

Michele - Ci sarebbe da parlarne per settimane. Nel mio album per esempio c'è un pezzo intitolato Rocker Carbonaro in cui dotandomi di ironia ma tentando nello stesso tempo di essere pungente ho provato a raccontare la situazione tragicomica in cui ci si trova spesso in Italia se si cerca di fare musica in un certo modo. A parte questo e senza spingermi a parlare di arte in senso esteso (non credo di avere titoli e credenziali per poterlo fare in maniera seria) devo purtroppo confermarti che, in generale, i musiscisti in Italia sono considerati davvero molto poco. C'è una credenza latente e imperante per cui i "lavori veri" sono altri, della musica si può fare a meno, i concerti devono essere gratuiti, i dischi si scaricano senza nemmeno prendere in considerazione il fatto che dentro ci trovi il risultato di un lavoro molte volte immenso e faticosissimo. Insomma, a differenza della maggior parte dei paesi europei, qui si tende a svilire il più possibile la musica relegando chi la fa a un ruolo di frustrante marginalità. Ritengo si tratti di un atteggiamento miserabile di fronte al quale o la smetti o lotti in nome di una sorta di missione. Io ho scelto la seconda strada, o forse è lei che ha scelto me.

G.B. - Tre anni fa con i Numero6 hai composto un brano, Da Piccolissimi Pezzi, insieme a Bonnie 'Prince' Billy. Da cosa è nato l' incontro? Come è stato lavorare con lui (soprattutto se pensiamo all' uso della lingua italiana)?

Michele - Collaborare con Will Oldham è stato un grande onore. L'ho contattato senza per la verità nutrire troppe speranze in una sua risposta positiva. Gli ho spedito la canzone sulla quale lo avrei voluto coinvolgere, dopo circa un mese di silenzio mi ha scritto che l'idea gli piaceva molto ma che avrebbe voluto cantare in italiano. Pensavo mi stesse prendendo per il culo e, nel dubbio, gli ho risposto di fare qualunque cosa volesse. Quando mi ha spedito le sue tracce di voce sono rimasto impietrito dalla gioia. Questa collaborazione ci ha concesso una grande visibilità non solo in Italia perchè il brano è stato trasmesso da alcune radio universitarie americane e l'ep Quando Arriva La Gente Si Sente Meglio, che lo conteneva, è stato recensito, tra gli altri, anche da Pitchfork, una vera e propria "bibbia" dell'indie mondiale.

Gabriele - Navi Stanche Di Burrasca, sempre dallo stesso EP, era invece scritta da Enrico Brizzi, con cui successivamente avete composto Il Pellegrino Dalle Braccia D' Inchiostro, fulgido esempio di read'n'rock. All' epoca dei fatti, però, non avete mai preso in considerazione i rischi che si potevano correre nel proporre un prodotto nei confronti della quale in pochi sono abituati? Non dimentichiamoci che scrittori come Alessandro Baricco e musicisti eccelsi come gli Air si sono giocati una buona fetta di credibilità...

Michele - Nel momento esatto in cui Enrico Brizzi mi propose una collaborazione fui chiarissimo sia con lui che con me stesso: non avremmo realizzato un reading "tradizionale" in cui uno scrittore declama con il suo ultimo libro in mano mentre dei musicisti improvvisano musica per lo più inutile e di sottofondo. Non ci interessava una cosa del genere. L'ambizione era di fare qualcosa di diverso e, a suo modo, di innovativo. Ho scritto quindi undici nuove canzoni con strofe, ritornelli, bridge, special. Canzoni dalla struttura pop rock per intenderci. Enrico si è calato perfettamente nel progetto scegliendo altrettanti stralci riarrangiati dal libro adattandoli alle esigenze delle canzoni, che avevano parlati come cantati, aperture molto melodiche e tanta energia. A prescindere dal risultato (che a me e fortunatamente a molti ha convinto in pieno) credo sia stato un esperimento piuttosto innovativo, almeno per l'Italia, distante anni luce dalla proposta di Air e Baricco, a mio avviso una discreta stronzata.

G.B. - Per concludere, una domanda su quella che presumo sia la tua seconda passione: cosa ha significato per te il calcio narrato da Bruno Pizzul? La medicina migliore per tornare ai livelli che ci competono anche in ambito europeo?

Michele - Pizzul, che si è prestato con grande ironia e stile inconfondibile per il videoclip del primo singolo Ritrovare Il Gol, rappresenta per me un calcio che ormai purtroppo non esiste più. Parlo del calcio con le maglie dalla 1 alla 11 senza nomi stampati, il calcio con gli stadi pieni di gente senza pay tv e centinaia di inutili telecamere, commentatori a bordo campo, opinionisti rubastipendi ecc. Il marcio c'era sicuramente anche trent'anni fa ma non esisteva l'esasperazione pazzesca che impera adesso. Pur essendo un tifoso sfegatato del Genoa mi sto progressivamente disamorando di questo calcio. Francamente non mi interessa se il calcio italiano aumenterà o meno la sua credibilità. Non seguo la nazionale. La mia nazionale è il Genoa.

G.B. - Grazie mille per essere intervenuto, l' intervista finisce qui. Vuoi lasciare un messaggio ai lettori di Rockline.it? In bocca al lupo!

Michele - Buona lettura a tutti!!!

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