Hoest - Vocals, All Instruments
1. Fra vadested til vaandesmed 06:47
2. Orkan 06:17
3. Nordbundet 05:25
4. Du ville ville Vestland 06:51
5. Myr 05:35
6. Helvetesmakt 05:37
7. Dei vil alltid klaga og kyta 10:16
Noregs Vaapen
In un passato recente, voci si rincorrevano riguardo allo scioglimento dei Taake da parte del master mind Hoest. L’album precedente, il buon Taake, venne preso dalla stampa come il possibile epitaffio di una band che sin dal debutto Nattestid Ser Porten Vid datato 1999 si stava prendendo sulle spalle il pesante fardello di portare avanti la tradizione del vero black metal norvegese in un periodo di totale crisi del genere. Ora, a tre anni di distanza da quella che sembrava la fine, il gruppo capitanato dal polistrumentista Hoest ritorna sul mercato discografico con un nuovo lavoro: Noregs Vaapen.
In occasione di questo rientro nella scena, la band decide di appoggiarsi nuovamente alla Dark Essence Records per un album che punta su di un sound molto scarno e grezzo, rievocando i fasti del debutto. Le chitarre rivestono un ruolo importantissimo nelle canzoni siccome esse sono il vero punto di forza per ricreare atmosfere gelate e tipicamente nordiche che ormai in molti si sono dimenticati. Il basso pulsante ed una batteria minimale sostengono alla perfezione il tutto ed in cima alla struttura troviamo sempre lo scream malato e classico del genere. Sin dall’opener dal titolo Fra vadested til vaandesmed possiamo constatare come lo stile dei Taake sia inesorabilmente ancorato alla corrente nordica di inizio anni 90 ed a band quali DarkThrone e Gorgoroth. Le chitarre disegnano paesaggi di pura desolazione e come prima sorpresa possiamo trovare la partecipazione speciale di un certo Nocturno Culto che presta la sua voce. Alcuni stacchi tipicamente black ‘n’ roll spezzano e danno varietà ad una struttura abbastanza diretta ed il suono delle tastiere sul finale aumenta la sensazione di decadenza per una delle tracce migliori del lotto.
Segue a ruota una tagliente Orkan, forse tra le canzoni meno convincenti su disco ma che comunque riesce a spezzare la sua leggera monotonia con ottimi breaks stile black metal depressivo dopo la seconda metà. I ritmi rallentano e le atmosfere cariche di oscurità hanno finalmente la possibilità di esprimersi al meglio facendo notare una certa somiglianza con alcune produzioni degli svedesi Shining. Stessa cosa si potrebbe dire per il riffing iniziale della seguente Nordbundet, canzone per alcuni versi leggermente più accessibile grazie ad alcuni passaggi di chitarra dal retrogusto epico che spesso invadono i territori del thrash metal e del black ‘n’ roll. I Taake sono giustamente restii a seguire lettera per lettera l’insegnamento dei padri fondatori del genere ed affinché il genere continui a rimanere vivo necessita anche di leggere innovazioni che ne arricchiscano il sound. Ecco perché in Du ville ville Vestland possiamo trovare anche influenze sludge da opporre ai soliti tempi veloci. Il risultato è qualcosa di strabiliante.
Non contento di queste sperimentazioni ottimamente riuscite, cosa pensereste se io vi dicessi che Hoest ha osato ancora di più su questo disco? Vi spaventereste, penso. Bene, allora provate a sentire che effetto farebbe il suono di un banjo in un fantastica Myr. Se ad un primo momento la proposta può sembrarvi destabilizzante, un ascolto è d’obbligo. Il genio del leader ha dell’incredibile perché le note prolungate di tale strumento riescono ad incastrarsi alla perfezione in una canzone completamente votata al verbo nero, tra momenti rallentati e veloci ripartenze dal retrogusto folkeggiante. Le influenze black ‘n’ roll vengono maggiormente valorizzate nella successiva Helvetesmakt, contenente un ottimo break folk a metà della sua struttura, altrimenti nera come la pece. Da segnalare anche l’ottimo coro di voci pulite che fa seguire alcuni tra i migliori riffs del disco per un’atmosfera strana ma incredibilmente catchy.
I dieci minuti della finale Dei vil alltid klaga og kyta si dividono tra passaggi in blast beats dalla lunga durata e ricadute in tempi medi ove il solismo della chitarra accresce nella giusta maniera la sensazione di oscurità. Attila Csihar presta la voce in questa canzone ove le solite influenze black ‘n’ roll vengono sapientemente alternate a momenti più classici per il genere, terminando un lavoro veramente buono. I Taake versione 2011 sanno mantenere i piedi stabilmente ancorati nel passato ma con un occhio al futuro e sembra che oggigiorno questa sia la vera ricetta del successo. Album consigliato ai vecchi fan delle sonorità passate ma anche a coloro i quali cercano sempre qualcosa di nuovo nel genere, senza allontanarsi troppo da ciò che ha fatto la storia.