- Christian Fennesz - chitarra, programming, electronics
- Ryuichi Sakamoto - pianoforte
Disc One:
1. 0318
2. 0319
3. 0320
4. 0322
5. 0324
6. 0325
7. 0327
8. 0328
9. 0330
10. 0401
11. 0402
12. 0404
Disc Two:
1. 0405
2. 0407
3. 0409
4. 0411
5. 0415
6. 0417
7. 0419
8. 0423
9. 0424
10. 0425
11. 0428
12. 0429
Flumina
Parlare di Fennesz e Sakamoto, ormai, vuol dire parlare di un mondo alieno che incontra il mondo umano, facendogli conoscere il proprio linguaggio segreto ed altro. Perchè tutte le espressioni del manipolatore austriaco e del pianista giapponese (di presentazioni non penso ce ne sia più il bisogno) provengono realmente da una dimensione artistica e sensoriale come non mai lontana e diversa. Flumina, come i suoi predecessori, è una cerimonia di luci sottili, penombre e giochi liquidi. Un rituale ambientale in cui i due musicisti ripropongono la loro solita simbiosi elettronica strumentale, alchimia divenuta col tempo scultorea, perfezionatasi nel corso degli anni attraverso sperimentazioni oblique ma sempre pervase da un'inimitabile pacatezza atmosferica.
Flumina è il lavoro più liquido, sottile ed etereo mai composto dal duo.L'epopea intima è narrata da Fennesz e Sakamoto giusto con un sottilissimo, ma vibrante, filo di voce. Una voce che però a tratti si spezza e si ammutolisce, lasciando i propri discorsi vittime di vuoti e strane amnesie. Cosa frena maggiormente il disco è, però, la sua durata spossante: due dischi di dodici composizioni (tutte tra i quattro e i 7 minuti) ciascuno; insomma, una vera e propria odissea minimalista fatta di flussi circolari, ripetizioni, silenzi. Minimalismo che, peraltro, cresce e diventa formula basilare nel momento in cui Fennesz e Sakamoto assorbono il significato delle proprie creazioni nell'aspetto sterile e glaciale delle serie numeriche utilizzate come titoli per le composizioni di Flumina.
La prima parte del disco rievoca tutte le abilità ipnotiche del duo Fennesz/Sakamoto, impegnandosi nella realizzazione di un vero e proprio labirinto di aria e suoni rarefatti in cui perdersi (0319 e 0320, tra gli episodi più soavi mai composti dal duo). Ma l'atmosfera di Flumina cambia prepotentemente faccia col sopraggiungere dei primi due frammenti del secondo disco (0405 e 0407), i quali provocano una frattura fantasmagorica nella dolce penombra acquatica del primo disco. Ed è in questo frangente che Fennesz e Sakamoto danno il meglio, portando a termine un'inquietante alchimia tra tappeti elettronici ancora più liquidi e rintocchi pianistici veloci, quasi isterici, come degli arabeschi trasfigurati. Poi, di nuovo, la pace interiore: le costruzioni fennesziane si fanno ancora una volta dolci e sinuose, mentre il piano di Sakamoto ritorna alla sua originaria, ieratica lentezza (le commoventi 0419 e 0411). La formula compositiva elaborata da Fennesz e Sakamoto continua ad essere sempre ammaliante perchè frutto di una ricerca timbrica sul suono (e su tutte le sue capacità evocative) portata avanti con genio musicale e con una precisione quasi ingegneristica, ma quando i risultati di questa sperimentazione continuano ad avvicinarsi fino a sovrapporsi e a riscoprirsi simili (troppo simili) allora qualcosa deve necessariamente cominciare a vacillare.
Flumina è indubbiamente un lavoro di qualità, ma pecca nel momento in cui fonda interamente la sua poetica su degli standard già prevedibili. Il danno fondamentale è proprio questo: quando una poetica musicale così astratta e libera da ogni canone compositivo diventa standardizzata, può esserci si ancora spazio per l'evocatività e lo struggimento emotivo, ma il risultato finale si dimostrerà sempre meno genuino, sempre meno vero e sempre dettato da necessità superate.
In ogni caso, un ascolto che è pura perdizione spirituale.