Peter - Vocals, Guitars, Bass
Spider - Guitars
Paul - Drums
1. Ultima Thule 00:49
2. Return to the Morbid Reich 03:26
3. The Black Eye 04:12
4. Come and See My Sacrifice 04:44
5. Only Hell Knows 02:13
6. I Am Who Feasts Upon Your Soul 04:50
7. Don't Rip the Beast's Heart Out 03:58
8. I Had a Dream… 03:02
9. Lord of Thorns 02:38
10. Decapitated Saints 02:41
11. They Are Coming… 01:46
12. Black Velvet and Skulls of Steel 03:19
Welcome to the Morbid Reich
Necropolis, pur essendo un album discreto nella discografia dei Vader, soffriva dell’abbandono dei membri storici del gruppo. Piotr “Peter” Paweł Wiwczarek venne lasciato da solo a curare il songwriting dell’album ed ad avvalersi anche di guest-musicians. Diverse congetture vennero fatte a proposito della defezione dei restanti membri del gruppo, tuttavia il leader non si perse mai d’animo e con questo nuovo album, Welcome to the Morbid Reich, si ha la conferma definitiva che “chi fa da sé fa per tre”. Sin dal titolo scelto c’è una sorta di volontà di ritorno al passato, una sorta di richiamo alle origini giacché esso rimanda palesemente al demo Morbid Reich del 1990, vero piccolo culto nella scena death metal in generale. Rispetto al 2009, sono stati persino scelti nuovi membri per massacrare gli strumenti su di un album che ha poco da invidiare ai lavori migliori del gruppo di metà anni 90.
Lo stile dei Vader, per chi non li conoscesse ancora, è inconfondibile. Trattasi di un miscuglio inferocito di death/thrash tagliente con assoli di chitarra che rimandano in qualche modo al metal classico ed una voce growl mai eccessiva ma di indubbia potenza e personalità, capace di essere distinta tra cento altri gruppi. Parlando nello specifico dell’album sotto analisi, ciò che mi ha colpito maggiormente è il netto passo in avanti fatto in termini di songwriting. Laddove Necroplis mostrava un piglio brutale e veloce ma anche leggermente scontato, Welcome to the Morbid Reich ci ripropone i Vader in forma smagliante. Alla mera velocità di esecuzione è subentrata una maggiore accuratezza per quanto riguarda le strutture delle canzoni, con seguente valorizzazione delle atmosfere.
Le nuove composizioni del combo polacco sono perfettamente formate, con grande varietà di tempi e strutture. Una registrazione epocale contribuisce a gettare sulle tracce un’aura spettrale come raramente si era sentito prima ed il gruppo di per sé non lesina sezioni mortifere alternate a repentine velocizzazioni. Si inizia con l’oscura introduzione dal nome Ultima Thule, perfetto preludio per il massacro operato da Return to the Morbid Reich. Le tastiere di sottofondo al riffing blackeggiante delle chitarre forniscono un supporto eccellente prima che i blast beats entrino a creare scompiglio. Il riffing migliore lo si può trovare, a mio parere, durante le sezioni in uptempo mentre il vocione di Peter è veramente ispirato, incattivito e potente. Come al solito le sezioni soliste delle sei corde marcano leggermente la melodia. Un certo flavour crust si può ritrovare nella successiva The Black Eye, mazzata tra capo e collo che non lesina sezioni catacombali stile Obituary nel mezzo della sua struttura dinamica. Il groove iniziale di Come and See my Sacrifice mostra una potenza incredibile, come pure le repentine velocizzazioni in blast beats che la caratterizzano successivamente.
Proseguendo nell’ascolto del disco ritroviamo alcune tendenze black metal nel riffing in tremolo di una terremotante Only Hell Knows, in una bolgia di uptempo alternati a blast beats che termina nell’oscura introduzione di I Am Who Feasts Upon your Soul. Questa traccia si distingue per il fatto di essere supportata dalle tastiere in alcune sezioni e per il suo andamento quasi rituale e dal groove marcato, incalzante e pesante come un macigno. Forse tra gli episodi meno ispirati del disco, che comunque si mantengono su discreti livelli, citerei Don’t Rip The Beast’s Heart Out mentre avvicinandoci alla fine dell’ascolto possiamo ancora gioire della violenza inaudita di tracce come I Had a Dream… e la thrasheggiante Lord of Thorns, vero pugno nello stomaco. Si arriva ben presto a Decapitated Saints, distinguibile dal groove roccioso alternato a ferali uptempo a sostenere un riffing tanto canonico quanto coinvolgente. Tra le tracce migliori del disco con un Peter che vomita blasfemie alla velocità della luce. They are Coming… nasconde ancora una volta un preludio solenne per la finale Black Velvet and Skulls of Steel, song dall’andamento lento ed imperioso a salutarci nel giusto modo.
Un gran bel ritorno dal parte dei Vader questo Welcome to the Morbid Reich. Un disco che rimarrà nello stereo degli appassionati per parecchio tempo, a testimoniare che non necessitano tante innovazioni quando alla base ci sono mestiere e idee ben chiare. Una graditissima sorpresa di questo 2011.