Piotr Fijalkowski (Voce, Chitarra),
Robert Dillam (Chitarra)
Stephen Williams (Basso)
Kevin Gritton (Batteria)
1. Sunshine Smile
2. Glorious
3. Favourite Fallen Idol
4. A to Fade In
5. I Know You To Well
6. Homeboy
7. Sistine Chapel Celling
8. Cut #2
9. Crash Site
10. Still Life
11. Breathless
12. I'll Be Your Saint
Against Perfection
"And then I awoke from a dream
I didn't really want to
And then I heard your tiresome scream
I really don't need this
And then you said, "Where's the sun?"
Well, are you really so stupid
And I don't need you or anyone..."
Nel naturale divenire degli eventi è facile quanto assai incomprensibile incontrare sulla propria strada brevi e intense manifestazioni di grandezza, effimera bellezza la cui durata è inversamente proporzionale alla loro effettiva intensità: fulmini che scatenano la loro propulsione e potenza ancora prima di poter essere uditi o meteore che bruciano ardentemente il loro nucleo ancor prima di essere scorte nell'intramontabile buio della notte, così è nella natura come nella musica.
Gli Adorable sono stati un esempio di questa impalpabile, fugace ed effimera bellezza, scomparsi ancor prima di poter essere realmente apprezzati nell'apice della loro attività.
Figli illegittimi, o forse rinnegati, di un movimento brit pop che stava ormai per esplodere dopo il disco rivelazione dei mancuniani Stone Roses (capaci di dare una svolta psichedelica ad un suono che univa le melodie dei Byrds a ritmi di base funky) si formarono nel 1991 a Coventry. Il quartetto, che consisteva in Piotr Fijalkowski (Voce, Chitarra), Robert Dillam (Chitarra), Stephen Williams (Basso) e Kevin Gritton (Batteria) fu assoldato nel 92 dai fasti indipendenti del patron Creation, Alan McGee, che in quel periodo era in cerca di un gruppo che risollevasse le casse economiche dell'etichetta, crollate miseramente in seguito alla gestazione travagliata e interminabile del terzo album dei My Bloody Valentine, Loveless. Il rosso di Glasgow fece però male i conti perché il gruppo non divenne mai il fenomeno commerciale che si aspettò, cosa che avvenne invece qualche anno più tardi con i fratelli Gallagher.
Questo mancato successo - e se vogliamo incomprensibile visto che le carte per poter effettivamente esplodere nelle scena britannica le possedevano tutte - è stato attribuito in parte all'arroganza di Piotr che unita ad un'ostentatezza e un'irriverenza senza eguali creò attriti fra gruppo ed etichetta e in parte alle forzature dello stesso Mcgee ad imporre un suono che si avvicinasse il più possibile alle attitudini commerciali brit pop del periodo. Questa forzatura, involuta e quanto mai fuori luogo distrusse i rapporti tra band e label che nel 94 si sciolse dopo aver pubblicato due album: Against Perfection (il titolo originale, pensate un po', era Against Creation che la dice lunga sui rapporti che intercorrevano con Mcgee) e Fake pubblicato nel 93 quando ormai era già stato dato fuoco alle polveri.
Imposizioni che fortunatamente non andarono a ledere e ad intaccare quello che era il suono e la vena artistica del quartetto di Coventry, perché c'è da mettere in chiaro una cosa: gli Adorable non sono e non sono mai stati, per quello che il termine possa ancora significare, un gruppo brit pop. O per lo meno, non lo sono stati del tutto. Collocabili in un olimpo di narcisismo autoreferenziale creato da loro stessi e portavoce di un'ideologia freudiana del super-ego sono riusciti a proporre una musica che richiamava da un lato l'estetica glam e dark dei connazionali Suede e dall'altro le distorsioni viscerali e shoegaze dei My Bloody Valentine, il tutto condito con una furia chitarristica senza eguali.
Ogni traccia, nel rispetto di queste caratteristiche, è un tripudio trasandato (perdonatemi l'ossimoro) di un'intensità emotiva celebrata qui con una passione che viene dalle interiora. Effetti di chitarre che esplodono rincorrendosi ed innalzandosi a ritmiche tormentate in magistrali "textures" di arpeggi, già da quando il jangle iniziale di Sunshine Smile prende piede: probabilmente uno tra i più famosi e belli di quegli anni, coperto e scoperto da un'intensa dose di distorsioni stratificate. Un gioco squillante di chiaro-scuro, un'immoralità continua trovata in un 'sorriso di sole' che ti inganna e ti rapisce scaldandoti fin nel profondo per rigettarti poi nella perdizione. Ma se Sunshine Smile scalda i cuori, Glorious fa vibrare i sensi. Abbandonato per un attimo il muro sonoro, ma ripreso già con la successiva Favourite Fallen Idol, Piotr trova forse qua il manifesto dell'essenza degli Adorable. Un crescendo continuo che li innalza in un limbo distaccato, un limbo superiore e quasi menefreghista che si disinteressa di ciò che sta attorno (And there's a whole world outsider, that I didn't know about, I don't need it) come se questa elevazione li caricasse di sensazioni al punto tale da non considerare le conoscenze futili terrene, ma solo quelle gloriose. Un'epicità fuori dal comune che attraverso un incalzare di una melodia trova sfocio in un grido ripetuto e straziato che glorifica le loro percezioni di grandezza. Ma i nostri, come ogni idolo che si rispetti, sono disposti ad abbandonare questo status, questo limbo costruito ad arte per cadere nel vuoto e rituffarsi in un mondo stantio, come se volessero perdere tempo per intrattenerci, noi, comuni mortali, ma attenzione perché la loro è solo finzione.
L'intero album è un singolo nel singolo ed è difficile credere come il gruppo sia scomparso senza lasciare un solco, un segno profondo o trepidazioni particolari, perché queste sono dislocate in tutta la durata dell'album a cominciare da A To Fade In dove i nostri lavorano su un'emozione disperata; una canzone cosparsa di un intimismo logorroico che dilaga in angoscia ma che allo stesso tempo si strugge e ti colpisce al cuore.
"I don't want to be faded skin / I don't want to fade out / I want to fade in / I want to fade in". Nostalgia, gemiti, frustrazioni si formano qua al cospetto di una voce struggente, paure che vengono impersonificate da un padre o più probabilmente da un figlio in una supplica continua, un figlio distaccato come la memoria o delle vecchie fotografie impolverate, indifferenti, che stanno lì da sole in istanti di consapevolezza che ti azzerano, ti annichiliscono. "Can you see me? I can't see myself / Can you hear me? I can hardly hear myself", suppliche ovattate, implorazioni dimenticate: non voglio essere un ricordo sbiadito, tutto ciò che voglio è essere me stesso. Quasi impossibile trovare un momento sottotono perché ogni brano è un capitolo a parte, sia negli elogi alla bellezza di Homeboy e Sistine Chapel Celling, invidiosa l'una e schizofrenica l'altra, sia nella folgorazione tormentata di Cut #2 dove le emozioni saltano definitivamente. In Cut #2, infatti, vi è qualcosa in più, un fascino difficilmente spiegabile; una sorta di magia che tutto avvolge che forse è il segno della tanto agognata perfezione. Pervasa da un cantato intenso, passionale e allo stesso tempo indifferente segna, per me, l'apice dei sentimenti deteriorati della band. Una disperazione sfibrata che sfociava nei live mediante l'utilizzo di vere e proprie forbici utilizzate a tagliare la sua giacca di pelle prima e le corde della sua chitarra poi, che appese successivamente al collo mostravano una totale fusione con la canzone. Come non citare una splendida Crash Site e la sua pesante ritmica con un suono che salta da feedback a pop stratificato o l'acustica Still Life che culla l'ascoltatore prendendolo per mano in un pianto rassegnato. Sono questi i momenti in cui ti si apre una voragine davanti, uno strapiombo nero di nulla e ti domandi se finirai inghiottito in un baratro, in un limbo che è lo stesso di Piotr e soci, distaccato, indifferente e apatico o troverai nuova vitalità in una conclusiva Breathless che impersonifica una spasmodica incredulità di fronte ad un ritrovato amore: "I'm breathless and speechless / But still, there's so much to say / In words with one syllable / I love you".
Against Perfection è stato la summa di questa sintesi, un disco che si proclamava contro la perfezione e che cercava di combatterla ma che al contrario ci si avvicina toccandola ripetutamente. Una folgorazione straniante che esprime per desideri consapevoli e umorali un riassunto di un gruppo che troppo presto diede il suo tanto involuto "fade out", dove in conclusione i confini dell'ego vengono demoliti per permettere un respiro all'unisono tra musicista e ascoltatore.
"...Oh this feeling is glorious"