Voto: 
6.9 / 10
Autore: 
Gabriele Bartolini
Etichetta: 
Too Pure
Anno: 
2004
Line-Up: 

-Katie Sketch - Voce
-Jenny Smyth - Organo
-Debora Cohen - Chitarra
-Shmoo Ritchie - Basso
-Shelby Stocks - Batteria

Tracklist: 

01. Brother (4:01)

02. Steven Smith (2:06)

03. Love, Love, Love (3:31)

04. Basement Band Song (4:12)

05. Sinking Hearts (2:09)

06. A Sudden Death (2:54)

07. There Is Nothing I Can Do (2:35)

08. I Am Not Surprised (2:44)

09. No One Ever Looked So Dead (1:57)

10. Memorize The City (3:10)

11. Untitled (0:37)

Organ, The

Grab That Gun

And I'd really like to feel that way again / Oh oh When?

È musicalmente approvato: i gruppi come le Organ portano il lettore a provare due stati emotivi opposti l' uno dall' altro. Chi non le ha mai sentite nominare, cade nell' indifferenza più totale, abbinando il loro nome ad uno dei tanti caduti di guerra in questo campo di battaglia da molti anni chiamato indie. Per chi invece ne ha seguito la parabola artistica, brevissima ma altrettanto intensa, il dispiacere per ciò che non hanno potuto esprimere al meglio è sempre molto. Cinque semplici ragazze di Vancouver corrispondono a questo nome, la cui attività ha visto il proprio inizio nel 2001, proseguita a forza di EP ( molti dei quali nemmeno con una registrazione degna di questo nome) e conclusasi, in teoria( visto che si scioglieranno solo due anni più tardi), con questo album. Successivamente quasi tutti i membri di questa band formarono altri complessi, del cui nome però ci si dimentica poco dopo averlo letto. Si distingueranno fin da subito dal panorama canadese per la diversità della loro proposta musicale rispetto alle altre formazioni.

Quella matrice folk tipica della scena del paese sotto il nome Organ viene snaturata da chiare influenze wave, post-punk ed indie/rock. Il richiamo immediato a mostri sacri come Smiths e Gang of Four è abbastanza scontato ma dovuto, soprattutto se consideriamo il fatto che le canadesi cercheranno fin da subito di miscelare queste diverse attitudini. Dal Morrissey la cantante Katie ne riprenderà il timbro vocale, per quanto quello del bel Patrick rimanga irraggiungibile e avvolto da un’ aura di misticità che lo rende unico, mentre dai Gang of Four le Organ adottano la struttura compositiva, scarna, essenziale e piena di emotività com’ era la loro, sebbene maggiormente orientata verso la musica garage. Ecco, la semplicità con cui le canzoni venivano composte ed eseguite sono secondo me allo stesso tempo la caratteristica che le differenzia da gruppi come gli Interpol, considerato che questi ultimi amano farci immergere in atmosfere alcoliche e psichedeliche. L’ abbinamento che più si addice a loro però, oltre che per i primi due nomi citati, è quello con le Warpaint, rivelazione dello scorso anno che ha esordito con un ottimo album quale The Fool, in cui sembrano replicarsi la chitarra e il basso di Debora Cohen e Shmoo Ritchie, dal tiro leggermente orientato verso il folk/pop stavolta. Loro provvederanno ad aggiungere un organo, padrone di tutte le loro canzoni e fattore più significativo per la loro differenziazione del loro sound, la maggior parte delle volte ricco di un’ aria solenne tipicamente Smitshiana, a tratti maggiormente veloce nella sua esecuzione rispetto ai londinesi.

Andando ad analizzare nel dettaglio il disco in questione, dobbiamo dire che per quanto stretto nella morsa dalle due loro uscite di maggior appeal con il pubblico – ovvero l’ EP Sinking Hearts( pura New Wave) e l’ altro extended play Thieves, inciso durante una breve reunion nel 2008 e comprendente esecuzioni unicamente live – seppe ritagliarsi uno spazio di tutto rispetto all’ interno della loro discografia e di fronte agli altri lavori di simil genere di quegli anni, provocando un interessamento sempre più crescente in virtù del fatto che, nonostante tutto, Grab That Gun rimane l’ unico full-lenght inciso dalle Organ. Rispetto al secondo dischetto citato la qualità sonora è migliore, mentre con il primo vi è una condizione pressoché di parità. Dall’ aspetto decisamente più pop rispetto alla Wave di Sinking Hearts, questo disco è una chicca piacevolissima di soli trenta minuti, fin da subito intensa e priva naturalmente di qualsiasi tipo di riempitivo.

Si parte con Brother, uno dei cavalli di battaglia del gruppo, a dir poco catchy, spigolosa nel suo incedere di espressività delle sue chitarre, compatta per il drumming e per la malinconia dell' organo nel finale. Metrica indie/rock invece per Steven Smith, breve traccia ben recitata da Katie seppur molto semplice. Ma, mettendo un nota ben sottolineata, lo stile delle Organ è proprio quello di creare brevi frammenti di vita, imbottiti con molta padronanza del mestiere da echi ( soprattutto di indole wave) sfumati e dai lamenti della bella cantante/frontman. Come ad esempio Love, Love, Love, emblematico spaccato delle esageratezze emotive cui andiamo incontro ad ogni loro canzone. Altra caratteristiche del quintetto è la fluidità della traccia, che solo a rimirarla per qualche secondo sfugge come il sapone tra le mani, grazie ad un originale ripetitività della formula di partenza e ad un ritornello potente ed efficace. Ascoltare per credere Basement Band SongSudden Death, tra cui si nasconde la title track dell' EP Sinking Hearts. In questo senso There is Nothing I Can Do può benissimo rappresentare la tipica ballata spezza ritmo, dalle influenze decisamente più pop. I Am Not Surprised e No One Has Ever Looked So Dead superano agevolmente la qualità media del disco, la prima adottando la giusta carica energetica mentre l' altra presentando uno dei testi più romantici di tutti questi dodici brani, per quanto ermetica o sbrigativa. Chiusura in bellezza con Memorize The City, loro canzone più rappresentativa, soprattutto perché nella sua essenza suona come proprio delle Organ: chitarre e bassi slacciati tipiche del post-punk più fumoso e ritornello compatto con tanto di handclapping.

Disco che sicuramente cercò di rinnovare, rinfrescare ma soprattutto innalzare una generazione come quella odierna; le canadesi, dal canto loro, dimostrarono di non aver paura nel confrontarsi con dei classiconi che solo a nominarli farebbero tremare le gambe a molti. La creazione di un proprio stile aveva trovato un' idea da seguire, uno sbocco in mezzo alla moltitudine di artisti che preso un modello come base non lo evolvano, persino a costo di proporre la solita minestra riscaldata. Il sound delle Organ era qualcosa di scoppiettante, capace di riuscire a trovare molteplici sfaccettature lavorando sempre con i soliti accordi. Un' innovazione in questo senso fù l' organo, capace di mutare più volte il mood della canzone. Un debutto che, nonostante i pregi indicati, si dimostrò vulnerabile agli attacchi della critica, soprattutto per i suoni ancora acerbi, frutto di un progetto non ancora assimiliato appieno. Ma, ahinoi, Grab That Gun fù l' unico album inciso dalle Organ, che poco dopo si scioglieranno per incompatibilità artistiche. Lasciando questo piacevole disco come uno dei pochi episodi positivi del gruppo, colato a picco per la troppa vena creativa di ognuno dei suoi membri.

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