STORIA DEL DARK 2
Ognuna di queste realtà svolse un lavoro individualista, non entrando mai a contatto con gli altri musicisti che condividevano la stessa visione della vita: è per questo che originariamente non si può parlare di una vera e propria corrente Dark Wave, perché il filone della musica tenebrosa ed introspettiva si sviluppò a macchie sul suolo britannico e non raggiunse mai una certa coesione a livello collaborativo.
I timidi ma consapevoli debutti di Joy Division e Cure del 1979 lasciano ancora vivo ed aperto uno spiraglio rispetto a quelli che saranno i successivi trionfi del nichilismo del decennio ottantiano: Unknown Pleasures è sì un inno alla depressione, ma non si è ancora raggiunto l’annientamento totale dell’individuo che avverrà con il secondo capitolo discografico Closer, mentre Three Imaginary Boys è un ritratto adolescenziale del trio Smith-Dempsey-Tolhurst.
Ispiratisi al nome con cui venivano designate le donne ebree usate nei campi di concentramento nazisti per soddisfare i piaceri sessuali delle SS nel libro “The House Of Dolls” di Yehiel De-Nur, i Joy Division diventarono ben presto la creatura su cui sublimare la frustrazione del giovane Ian Curtis. Closer del 1980 non rappresenta solo un normale disco per Ian, ma costituisce il testamento che lascerà a tutta la generazione Post-Punk dopo il suo suicidio, avvenuto nel maggio dello stesso anno. Le condizioni di salute di Ian erano alquanto precarie, sia per l’uso abbondante di droghe, sia per le crisi epilettiche che spesso lo assalivano: dopo aver partorito il funereo Closer, Ian concludeva impiccandosi in casa la sua vita e così la sua carriera da musicista. Sulla sua tomba venne incisa la citazione Love Will Tear Us Apart, tratta dalla celebre canzone che ha reso onore alla morte di Ian in tutto il mondo. Dal punto di vista musicale infatti i Joy Division furono degli innovatori: sound sepolcrale, impiego inquietante dei sintetizzatori, effetti che conservano un sapore decisamente Noise; si apriva così l’epoca dell’uso dei sintetizzatori nel Dark, che vedrà coinvolte soprattutto le bands della seconda ondata a cavallo tra gli Ottanta e i Novanta.
La morte di Ian segnò anche un passaggio obbligato per gli altri membri della band, che decisero di chiudere la tragica esperienza dei Joy Division e di girare pagina fondando i New Order, un mix tra Post-Punk ed Elettronica.
Mentre Ian Curtis si lasciò andare, cadendo nel baratro della morte, anche un altro personaggio stava combattendo le sue battaglie personali: Robert Smith dei Cure diventerà l’emblema della filosofia opposta ai Joy Division perché non solo riuscì a ritrovare se stesso attraverso un percorso musicale durato anni, ma sfrutterà a suo favore l’inclinazione mesta della sua personalità, raggiungendo il successo internazionale.
La storia dei Cure è tortuosa se osservata sotto il profilo della stabilità della line-up, ma è lineare se si considera la naturale evoluzione del sound avvenuta dalla fine degli anni Settanta fino ai nostri giorni.
L’estrema abilità di Robert Smith è sempre stata quella di saper adattare le proprie aspirazioni musicali ad ogni periodo della sua vita, dall’adolescenza di Three Imaginary Boys alla maturità della trilogia Dark, fino alle hits commerciali della fase adulta.
Il folletto di Crawley rivoluzionò l’aspetto del Dark con i suoi capelli cotonati, le sue giacche eleganti in contrasto con un mood decisamente trasandato, il suo rossetto violaceo e la sua matita che faceva risaltare gli occhi spiritati. Densi di contenuti spettrali, i tre capolavori che vengono oggi denominati “la trilogia Dark” sono capitoli discografici in cui Robert si concentra sulla ricerca di se stesso, partendo dal sentimentalismo romantico di Seventeen Seconds, passando per l’interrogativo sulla religione di Faith fino alla follia lugubre di Pornography. Sulla drum-machine che conduceva ogni pezzo, Robert e compagni tessero magie di splendida fattura, che saranno eguagliate solo da Disintegration del 1989, altro simbolo indissolubile del gusto stilistico dei Cure, sensibili ai cambiamenti e aperti mentalmente.
Contemporaneamente alle vicende separate di Joy Division e Cure, nella cittadina di Northampton nel 1978 si formavano i Bauhaus dall’incontro dell’istrionico cantante Peter Murphy, del chitarrista Daniel Ash, del bassista David J e del batterista Kevin Haskins. Cultore dell’arte della scuola tedesca libera e socialista “Bauhaus”, fondata da Walter Gropius e costretta alla chiusura dal regime nazista nel 1933, il quartetto inglese si interessò da subito alle tematiche dell’orrore, pubblicando nel 1979 lo storico singolo Bela Lugosi’s Dead, con cui emerse l’anima carismatica di Murphy, teatrale nelle sue apparizioni live ed amante dei travestimenti vampirici. I Bauhaus furono i primi a siglare un contratto con la neonata 4AD, etichetta che negli anni successivi rappresenterà la culla di gran parte della cultura Wave inglese. In The Flat Field del 1980 è il platter che consacra i Bauhaus come la prima formazione inglese ad essere classificata “gotica”, sebbene Peter Murphy e compagni abbiano sempre svilito il valore di questa etichetta, che fu usata in modo ripetitivo e costante per tutto il decennio 1980-1990.
L’altro ottimo lavoro dei Bauhaus fu realizzato nel 1983 e fu intitolato Burning From The Inside: come qualsiasi album della band, anche questo fu accompagnato da una copertina artistica e sperimentale, ben diversa da quella dandy dell’esordio discografico e lontana anche dall’immaginario orrorifico di Bela Lungosi’s Dead. Nel disco del 1983 Peter Murphy decise di far assumere alle tracce una struttura simile a quella della tipica canzone, distanziandosi parecchio da quelle poco accessibili ed ossessive dei prodotti precedenti.
Burning From The Inside segnò comunque la fine della prima epoca Bauhaus, poiché una settimana prima della sua pubblicazione David J comunicò la conclusione del progetto e salutò il pubblico accorso con un emblematico “Rest In Peace”. A differenza degli altri gruppi chiave del Dark, i Bauhaus non scrissero mai testi carichi di dissoluzione interiore, perché Peter Murphy, cattolico di famiglia, rimase sempre un fervido credente, rifiutando qualsiasi tipo di nichilismo e puntando ad un’intensa spiritualità dei propri testi.
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