STORIA DELL'ELETTRONICA I

GLI ANTENATI STORICI: TRA IL CONCRETISMO FRANCESE E IL RAZIONALISMO TEDESCO

Come abbiamo prima accennato, è nello studio radiofonico di Parigi che sono stati elaborati i primi esperimenti di musica elettronica, anche se il termine con cui quelle sperimentazioni vennero definite venne sin da subito spostato su lidi leggermente differenti: non si trattava infatti di una vera e propria musica elettronica, bensì di musica concreta, ed è questa una distinzione di primaria importanza per evincere le differenze che, sotto il profilo concettuale-musicale, separavano la Francia dalla Germania. Con il termine “concreto” s’intende infatti quella musica il cui materiale sonoro è precostituito, ovvero già esistente, in quanto essa si basa su suoni e rumori registrati da qualsiasi contesto della vita quotidiana, dalla natura, dalle industrie e poi elaborati e montati in studio. Si trattava di una tecnica assolutamente nuova e rivoluzionaria, concettuale e idealistica ancor prima che meramente compositiva e che, come vedremo, segnerà profondamente la musica d’avanguardia dagli anni ’50 in poi. Il musicista quindi non tenta più di emulare il mondo naturale o qualsiasi altro aspetto reale attraverso il suo strumento, ma lo fa registrando direttamente con il magnetofono: si azzera in questo modo la fantasia evocativa e atmosferica della musica ma viene innalzata d’altra parte una moltitudine di possibilità e suoni che prima d’allora sembravano impossibili.
Pioniere assoluto di questi nuovi orizzonti fu appunto il francese Pierre Schaeffer, figura molto singolare e alla quale sarebbe il caso di avvicinarsi con molta cautela, data la nota ambiguità del personaggio, almeno in ambito musicale. Questo perché Schaeffer fu un ingegnere ancor prima di essere un musicista e tale aspetto influì moltissimo sulla sua produzione che risentiva troppo delle sue conoscenze in campo elettroacustico e troppo poco di uno spirito musicale che in maniera evidente gli mancava e che lo costrinse a collaborare con Pierre Henry, pianista e percussionista che lo accompagnerà nelle principali composizioni.

Le opere di Schaeffer si inquadrano in questa violenta e sempre consapevole defunzionalizzazione delle tecniche, delle risorse, degli strumenti e dei metodi musicali, essendo esse strutturate sul profondo rapporto tra tecnologia e mondo reale, come dimostrano gli Études aux Objects, composti verso la fine degli anni ’50, che al meglio rendono l’idea di come la musica concreta francese si stesse muovendo in quella nuova dimensione di ricerca. Ma la prima, vera e, per valore intinseco, irripetuta testimonianza dello sperimentalismo della scuola francese risiede nella Symphonie Pour Un Homme Seul (composta addirittura del 1949), considerata come vero apripista della stagione elettronica europea del dopoguerra: si tratta infatti di un esperimento in cui passi, voci, grida, fischi e, stranamente, anche strumenti musicali vengono affiancati andando a creare un’opera schizofrenica, caotica ma dal grande valore storico. Schaeffer lanciò quindi le basi per un nuovo modo d’intendere la musica e tutte le sue componenti stilistiche, strumentali e concettuali, che vennero in seguito riprese da altri artisti della scuola parigina come il greco Yannis Xenakis (celebre per il suo modo di predisporre il materiale registrato secondo il calcolo delle probabilità o secondo la disposizione delle molecole), Luc Ferrari, Francois Mache e Mireille Chasmass che, sebbene a livello storico non ebbero la stessa importanza del loro maestro, segnarono la definitiva espansione di quella nuova, irriverente e contorta filosofia musicale.

Se per la Francia bisogna quindi restringere le possibilità compositive in un ambito concreto, è conseguentemente necessario affermare che le prime sperimentazioni di vera e propria musica elettronica si ebbero in terra tedesca, più precisamente nello studio della radio di Colonia gestito da Erbert Eimert, in seguito raggiunto da un allora giovanissimo Karlheinz Stockhausen.
Come già detto, le premesse che erano alla base delle due scuole erano completamente differenti, tanto che quando le prime composizioni degli artisti di Colonia presero vita, sembrava che prima di ciò nulla fosse esistito: il distacco tra lo studio radiofonico parigino e quello di Colonia era netto non solo per questioni di mezzi e strumenti, ma ancor di più per i concetti e gli ideali che ne erano alla base. Eimert e i suoi seguaci coniarono infatti un linguaggio non solo nuovo, ma destinato a influenzare per sempre la musica moderna, al contrario del concretismo francese che, non proponendo vaste soluzioni esecutive e non alimentando un, allora necessario, processo di innovazione e miglioramento, si esaurì progressivamente.
Laddove Schaeffer ed Henry proseguivano in maniera confusionaria, la scuola di Colonia si imponeva come assoluto araldo del purismo elettronico e del più rigido razionalismo: tutto è controllato ed espresso all’interno di uno schema compositivo rigido e non modificabile, le strutture si ripetono, si fondono e si distaccano seguendo un durissimo principio rappresentativo, togliendo il respiro alla nascente spontaneità e al caos improvvisativo su cui faceva invece appoggio la musica concreta.
Niente più suoni naturali, ferrovie, urla, porte che sbattono e piatti che si rompono: a Colonia tutto questo viene brutalmente spazzato via dai generatori d’onde e ancor di più da una concezione compositiva d’assoluta avanguardia. Una sorta di metaforica e astratta rinascita di quella Seconda Scuola di Vienna (Schoenberg, Webern, Berg e la dodecafonia) che i compositori tedeschi degli anni ’50 avevano in qualche modo trasposto in chiave tecnologica. Nella musica elettronica dello studio di Colonia rieccheggiavano infatti l’asprezza e tutte quelle metodologie di scrittura attraverso cui la scuola viennese aveva sconvolto la musica classica d’inizio secolo: così Eimert e Stockhausen si presentarono al mondo intero, con un’incontrollabile voglia di rompere con qualsiasi stilema, qualsiasi tradizione, qualsiasi concezione preesistente, e guardare avanti, rendere tangibile una musica del futuro che sembrava al tempo irragiungibile.

Studie II (1954), (fratello di Studie I, composto l'anno precedente ma con scarsi risultati) tra le opere più rappresentative di Stockhausen nonché di tutto il movimento elettronico europeo, è una delle prime, storiche e allucinate espressioni di questo neonato mito musicale: si tratta infatti del nastro magnetico in cui sono incisi i 3:50 minuti tra i più importanti nella storia dell’elettronica passata. Il tutto creato grazie ad un unico generatore posto in una sala vuota per riverberare una gamma di suoni taglienti, acidi, quasi fastidiosi, ma assolutamente rivoluzionari. Con la totale assenza di funzioni discorsive, di temi e contrasti, Studie II segna il totale abbandono delle tecniche tradizionali (il pentagramma e le note) e d’altra parte disegna il compiaciuto abbracciarsi ad una nuova dimensione compositiva (come ad esempio i grafici in cui sono riportati l’ampiezza e la frequenza dei suoni generati); da questo punto in poi si potrà incominciare a parlare propriamente di musica elettronica, dato che gli esperimenti svoltisi nello studio radiofonico di Colonia influenzarono per primi, nonchè in maniera netta ed inequivocabile, tutto l’universo musicale “tecnologico” che si espanse a partire dagli anni ’70 in poi.
Se così Studie II fu la prima vera testimonianza degli albori della musica elettronica, allora una delle sue prime e sconvolgenti espressioni risponderà al nome di Gesang der Jünglinge (“Canto dei Giovani”), composta nel 1956 sempre dall’insaziabile Karlheinz Stockhausen: l’opera si presenta come una fusione precisa e studiata della voce di un fanciullo (poi elaborata in studio), suoni e pulsazioni generate attraverso le apparecchiature elettroniche. Un salto in avanti dunque, che allarga vistosamente l’orizzonte e i mezzi a disposizione del compositore, che si ritrova quindi ad esprimere la sua musica in maniera ancora più approfondita, consapevole e ricercata. L’avventatezza (e spesso anche l’incoscienza) che caratterizzava le prime sperimentazioni elettroniche viene tramutata ora in una piena conoscenza del materiale sonoro e delle tecniche compositive, le ingenue approssimazioni degli inizi si trasformano in elaborate soluzioni strutturali, estremamente rigorose e dettate dal più rigido razionalismo.
Su queste basi il movimento elettronico tedesco si espanderà a macchia d’olio, partendo dallo studio di Colonia per allargarsi fino a Baden-Baden, Karlsruhe e Darmstadt (nei cui spazi la sperimentazione si allontanò notevolmente dal razionalismo seriale, dirigendosi verso una maggiore libertà compositiva) e raccogliendo tra le sue fila un numero sempre crescente di compositori. Perché oltre a Stockhausen ed Eimert (di quest’ultimo si ricorda prevalentemente il brutale razionalismo di Sèlection I), la musica elettronica passò anche tra le mani di personaggi del calibro di Pierre Boulez, Olivier Messiaen, Gyorgy Ligeti, Mauricio Kagel e di Gottfried Michael Koenig, ovvero il celebre tecnico dello studio radiofonico di Colonia che inizierà a comporre solo in tarda età, dando però anch’egli un grande contributo agli esiti del movimento.
 



 

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