Si cambia band, paese e genere, perchè sul palco salgono i Deathstars, formazione svedese molto in auge nel panorama del metal-gothic-industrial, con un passato nel black metal e due componenti dei grandi e defunti (fin da prima dell'uscita dal carcere e successivi tragici eventi, del vocalist Jon) Dissection. L'immagine ed il genere proposto con i loro due lavori Synthetic Generation ed il recente Termination Bliss, sono sicuramente sulla cresta dell'onda e la loro competenza in materia non si discute, almeno da quanto si evince dalla performance sul palco. Sfortunatamente sembra che a Andreas Bergh e compagni manchi una certa carica di energia malata, indispensabile per far rendere al meglio le loro composizioni. L'orario, di certo, non li favorisce, ma sta di fatto che la loro esibizione, seppur impeccabile dal punto di vista tecnico formale, risulti abbastanza spenta e forse, un po' deludente, specie dopo l'apertura degli Slowmotion Apocalypse.
Questo è l'anno dei Sadist. Questo è stato l'ennesimo concerto dei Sadist di un periodo che dura da più di dodici mesi di grande forma. Un grande ed omonimo album che segna il ritorno al prog-death ma senza voler fare della nostalgia fine a se stessa, ma ricominciando a creare musica per il futuro. Via libera, allora ai virtuosismi di Tommy alla chitarra e tastiere, che emergono sia nelle nuove produzioni come One Thousand Memories e I Feel You Climb, che nei pezzi da album epocali come Tribe, vedasi la title track o Escogido. A supporto di tuto ciò, altri due virtuosi, Andy, incredibile nei suoi passaggi jazz-fusion della strumentale From Bellatrix To Betelgeuse, ed Alessio, perfezione di potenza ed asimmetria ritmica in brani come India e Christmas Beat. E poi c'è Trevor, la voce, le parole, il cuore di questo gioiello musicale, in grado di modulare in molti modi differenti il cantato growl e di tenere il pubblico in pugno, per poi lanciarlo alla carica sul finale della storica e kinghiana (visto il titolo che ricalca fedelmente quello originale del racconto di King) Sometimes They Come Back. Una prestazione incredibile, supportata da suoni all'altezza, che sembra essere l'ennesima conferma che questa band sta finalmente raccogliendo ciò che di buono a seminato nel presente, ma soprattutto in un passato che ha sempre guardato al futuro. Grandissimi e tra i migliori della giornata.
Uno dei gruppi che risulterà più contrastato nei pareri del pubblico sono i Type O Negative, poiché Pete Steele e compagni hanno avuto numerose difficoltà durante la loro esibizione. Nonostante il caldo delle due e mezza di pomeriggio, gli irriducibili della formazione americana si sono accostati al palco del Gods Of Metal, assistendo a tracce come Dead Again, tratta dall’ultimo full-lenght, o le storiche Black No.1 e Christian Woman. Curiosa ed inattesa la presenza di Andrea Ferro dei Lacuna Coil ai cori, ma l’interpretazione di uno Steele non in forma e dei fin troppo penalizzati Type O Negative non lascia una buona impressione.
Dopo i Type O Negative, sul palco, è il (primo) turno di Zakk Wylde con la sua Black Label Society. Su di lui c'è poco da dire: chitarrista talentuoso ed eccezionalmente creativo, buon cantante, poliedrico artista musicale che sa fondere classic metal, hard-rock, influenze moderne al limite del thrash e sound Southern. Accompagnato da gli altri suoi tre fedeli alfieri, Catanese, De Servio e Nunenmacher, il virtuoso chitarrista pupillo di Ozzy sale sul palco per un ora d'intenso e possente heavy rock, spaziando dal recente Shot To Hell, ai precedenti Mafia, 1919 Eternal ed agli albori di Stronger Than Death. Groove ed affiatamento tra grnadi musicisti che non sono comprimari di una star, ma una vera e propria band che con granitici riff oscuri modulati con la sanguignità del blues sudista coinvolgono il pubblico, anche grazie all'ipnotica e strascicata voce di Zakk. Grande musica per grandi palati: bisogno solo aspettare qualche ora per rivederlo in azione con Ozzy...e scoprire che sarà lui uno dei salvatori della baracca.
I Megadeth stanno vivendo la loro seconda giovinezza, questo è palese, dopo il ritorno al thrash ispirato e con un occhio al futuro di The System Has Failed e, specialmente, con il nuovo, apocalittico (è proprio il caso di dirlo) United Abominations, ma sul palco del Gods Of Metal di quest'anno la consacrazione è stata definitiva, se no altro come miglior band della giornata e tra le migliori 4-5 formazioni di tutto il festival. Sleepwalker dà l'allarme antiaereo, ma è Washingthon Is Next, tratti dalla loro ultima fatica, che lanciano la controffensiva guidata dalla chitarra ultra-tecnica di Dave e da una voce tagliente ed emozionante al contempo. Ormai i Megadeth non sono più solo lui. Glenn è un chitarrista eccezionale con uno stile che si integra a perfezione con quello di Dave. Shawn il fratello, è un inarrestabile propulsore, su pezzi come Wake Up Dead o la strabiliante Take No Prisoners, uno dei pezzi più difficili e che da molto tempo non venivano suonati dal vivo. Al pulsare di Peace Sells...But Who's Buying, c'è il basso di Lomenzo, nasale e fluido a dare dinamiche alle complesse architetture della band californiana. Si passa dal presente di United Abominations al passato (o neo-futuro, visti i tempi che corrono e gli argomenti dei testi), di Hanger 18 e Tornando Of Souls. Emotività si diceva ed emotività c'è nella splendida In My Darkest Hour per l'amico Cliff Burton, per poi fare un'unica puntata su Youthanasia con Reckoning Day visto che la versione della struggente A Tout Le Monde è quella del duetto con la Scabbia sull'ultima release. Ancora ritorno ad anthem storici con Skin Of My Teeth e Symphony Of Destruction...ed in tutto questo poche parole di Dave, sentite e di ringraziamento...i Megadeth sono musicisti metal non rockstar che fanno conferenze. Suonano e lo stanno facendo in maniera divina, concludendo una scaletta fantastica con Holy Wars...al cui interno viene eseguita The Mechanix. Altro da dire? No senza parole, senza fiato come in una picchiata per un bombardamento...la guerra è solo all'inizio...ma forse si può vincere...quantomeno si può combattere bene con la musica dei Megadeth. I migliori senza se o ma.
Band che ha segnato la storia della musica heavy moderna creando il fenomeno nu-metal, i Korn, che piacciano o no, son famosi per grandi performance live e, dopo quella dell'anno scorso, era attesa con grande trepidazione quella di quest'anno, vista anche la new entry Joy Jordison alla batteria. Premettiamo subito una cosa: il drummer degli Slipknot si è dimostrato il migliore in campo, nella cornice di una prestazione, onestamente, un po' spenta e priva di energia. Va spiegato che, durante la loro esibizione, il seven-piece di Bakersfield (un secondo chitarrista, un percussionista ed un corista, presumibilmente session, aggiunti al quartetto base), non mostra delle vere e proprie pecche esecutive, almeno no nell'operato di Fieldy o di Munky, ma un generale calo di tensione ed energia innescato, fin dai primi brani, da Davis, uno dei front-man più dotati sotto ogni profilo, che appare dedito all'esecuzione del classico 'compitino'. La set-list, che spazia dai più recenti See You On The Other Side, Take A Look In The Mirror, per passare al classico Life Is Peachy, scivola via fin troppo tranquilla e con la sensazione di qualche sbadiglio da parte del pubblico dei non die-hard fan (e forse pure dello stesso Davis). Jordison innalza di molto il livello, con un drum-work impeccabile e perfettamente pertinente allo stile Korn, così diverso da suo consueto drumming, ma la sensazione di 'stanchezza' rimane. Solo la cover di One dei Metallica risulta coinvolgente al massimo. Il giudizio non può essere che anonimo, visto che da una band di questo calibro, e dopo la storica esibizione dei Megadeth e con l'ombra di Ozzy che sta per salire sul palco, ci si doveva aspettare un grande show. Peccato.
A volte si assiste ad eventi musicalmente storici come concerti di addio, esordi o show memorabili (per quest'anno su tutti gli Heaven And Hell, gli Scorpions ed i Megadeth), altre volte a concerti talmente deludenti e, è il caso di dirlo, brutti, che passano agli annali, specie quando si capisce che una carriera no ha più molto da dire. Ci si augura che lo show di Ozzy, che ha chiuso questa XI edizione del Gods Of Metal sia un incidente, ma dalle voci che circolano, questo rischia di essere il testamento live del Madman e di certo non lascerà un buon ricordo. Parte il riff di Bark At The Moon, strumentalmente grandioso e poi...lo scempio. Non una nota centrata da parte di Ozzy che genera sul viso di almeno della metà dei presenti espressioni tra l'allibito ed il terrorizzato. Ozzy non è mai stato un singer tecnico, ma dal vivo ed in studio è sempre stato in grado di dare il massimo coi suoi pochi mezzi senza sbagliare. Oggi, vedendolo muoversi ancora più limitatamente del solito e incapace di eseguire decentemente pezzi storici come Mr.Crowley, No More Tears, Suicide Solution o anche la grandiosa Crazy Train, c'è veramente da rimanere delusi. La doccia fredda è ulteriormente accentuata se si pone la performance del Madman a confronto con i musicisti che l'accompagnano: Zakk Wylde che giganteggia alla chitarra, talento senza limiti come il suo collega di pelli Mike Bordin, colpo secco e passaggi da vero virtuoso, il tutto condito da feeling e coesione da vera band. Ozzy sembra un po' risollevarsi con Mama I'm Coming Home, uno dei lenti migliori dell'ex-Black Sabbath, ma verso il finale, quando sfodera i classici del Sabba Nero, come War Pigs, il livello riprecipita, tanto che l'oceanico assolo di 6 minuti di Zakk Wylde, oltre ad essere gioia per le orecchie, appare mostruosamente corto, tanto si vorrebbe non continuare ad assistere al crollo di Ozzy. Si chiude con Paranoid e sembra un segno divino: che la sua carriera finisca con l'esecuzione (non certo da ricordare) di uno dei brani storici che hanno dato avvio alla sua carriera? Si spera di no, si spera in un ultimo riscatto, perchè Ozzy non meriterebbe questo. Si può solo sperare per il meglio, in un ultimo eventuale guizzo di talento dell'artista.
Così si chiude questa edizione numero 11 del Gods Of Metal, con luci (molte) e qualche ombra, ma abbastanza grandi e non trascurabili. Alla prossima edizione....sempre per un passo avanti.
Report - Andrea "Vash_Delapore" Evolti
Foto Anrea "AFTepes" Sacchi