Europe
23/01/2007 - Alcatraz - Milano
Il concerto in sede milanese degli storici Europe, band che negli anni ’80 ha contribuito, nel nostro paese, a traghettare l’hard rock in tutte le case grazie al tormentone di The Final Countdown, è aperto dagli italiani Planet Hard, una solida band di hard rock potente e melodico. I gruppo è capeggiato da Marco Sivo, un ottimo singer già ascoltato con i più oscuri e cervellotici Valas. Con questa band, che sprizza ropck da ogni riff, il singer propone linee vocali accattivanti. Il sound dei nostri non è martoriato, come spesso purtroppo accade, dai suoni e i nostri possono proporre parte del loro materiale in modo egregio di fronte ad un pubblico attento.




Venendo poi a descrivere l’evento della serata inziamo con il dire che dopo una svolta modernista che ha entusiasmato con l’album Start From The Dark del 2004 gli Europe continuano nel loro cammino, con il recente Secret Society, che prosegue e approfondisce il discorso iniziato dall’album di reunion, rendendo il proprio sound sempre più diretto ed al passo con i tempi.
Questa forte attività compositiva operata da Tempest (voce) e soci dimostra che il gruppo svedese è tornato “in corsa” non per effettuare una semplice spolveratina al proprio repertorio, che da solo potrebbe bastare a proporre a tanti fan un buon numero di song più che eccellenti.
In realtà il progetto del gruppo svedese è quello di colpire ancora il cuore degli hard rocker dal cuore tenero ma con un sound fresco ed al passo con i tempi.

Dimostrazione evidente di quest’intento è legata ad esibizioni live come quella eseguita questa sera all’Alcatraz di Milano. Infatti gran parte del setlist dei nostri è proprio incentrato sull’ultimo lavoro, in particolare, ma anche sul precedente. Al contrario i pezzi del passato vengono inseriti in scaletta con sapienza e in modo parco e misurato, quasi che la band ormai creda fortemente nella qualità del materiale recente, ancor più che in quello proposto ormai quasi vent’anni fa.
Una dimostrazione di questo fatto è data anche dalla grinta con cui Morum (chitarrista) e il resto della band affrontano i vari brani; gli Europe sono sembrati decisamente più “presi” e coinvolti nell’esecuzione degli ultimi pezzi composti che non durante l’esecuzine dei brani del lontano passato.
Il concerto comincia in modo spettacolare proprio con due dei migliori pezzi di Secret Society, ossia Love Is Not The Enemy e Always The Pretenders. Le due canzoni sono esempi lampanti del nuovo corso della band; ritmiche molto accentuate e sottolineate, ma sopratutto potenti e dal tiro ruvido e cattivo, senza per questo diminuire l’impatto melodico fortissimo delle linee vocali di Joey Tempest, marchio di qualità riconoscibile dopo mezzo versetto.
Il risultato è eclatante. I nuovi pezzi dal vivo esplodono letteralmente, coadiuvati da un’ottima prova del terzo componente storico del gruppo, ossia il bassista John Leven e del batterista Ian Haugland.
Da qui in poi si alternano anche alcune track del passato, cominciando dall’hit Superstitious di Out Of This World e Seven Doors Hotel, chicca del primo album Europe.
La melodia decisamente più zuccherosa e datata dei due brani colpisce a dovere ma risulta meno incisiva rispetto al sound “tutta energia” di recente fattura.
Aggiungiamo che comunque anche i pezzi datati vengono riproposti con un arrangiamento al passo con la nuova linea della band, che predilige sottolineare la potenza dei riffoni di chitarra di Norum.
A questo punto però si ritorna a colpire dritto al basso ventre con altri due pezzi di Secret Society, ossia la meravigliosa e melanconica Let The Children Play, che prevede anche cori di bambini e la violenta e tostissima The Getaway Plan, che porta alle conseguenze più evidente il lavoro fatto dai nostri, creando un vero e proprio brano di hard rock moderno, quasi alternativo, almeno per la pare che precede il bridge del chorus.

Un plauso anche ai suoni proposti dall’Alcatraz, puliti e precisi, che permettono di ascoltare tutte le sfumature, compreso il lavoro eseguito dal tastierista Mic Michaeli.
A livello di scenografia il set si presenta abbastanza spoglio, lasciando in primissimo piano soltanto una E bianca su sfondo nero, simbolo, adesso, del monicker della band.
Il concerto prosegue con l’assolo di basso di Leven; quest’esibisione si propone come una nota stonata in quanto il fraseggio proposto dal musicista è tediato dall’uso di effetti esagerati che rendono il virtuosismo soltanto una noiosa serie di rumoracci. Nel prosequio anche John Norum si proporrà con un assolo di chitarra, ma anche in questo caso l’esibizione risulterà tutto sommato inutile e ben poco virtuosa.
Gli Europe insomma danno sicuramente il meglio, almeno in questo show, nell’esecuzione di loro brani come prodotto complessivo del lavoro dei vari componenti.
Dopo l’esecuzione di Flames dal recente Start From the Dark, altro brano eccellente, arriviamo ad un vero classicone come la ballad Carrie, che viene proposta con l’ausilio di una chitarra classica suonata da Joey, accompagnato alla tastiera da Michaeli. La nuova versione del brano risulta un po’ piatta ma al passo con i tempi. Peccato che Tempest evidenzi di non avere più lo stesso piglio del passato nel lanciarsi in acuti lancinanti e preferendo lasciare i passaggi più cattivelli al pubblico, che ben volentieri canta appassionatamente.
Non è corretto dire che Tempest sia peggiorato come singer, semplicemente ora riesce a modulare meglio la propria voce e concede un ventaglio decisamente più ampio di emozioni, anche senza arrivare ad eseguire gli acuti di quasi vent’anni fa.
Degli estratti dal passato colpisce la scelta di The Time Has Come da Final Countdown (un brano non certo che rientria nel novero dei classici); dello stesso storico album viene suonata l’immancabile Rock The Night che fa esplodere tutto l’Alcatraz.
Una nota di colore ci fa aggiungere che il locale, che accoglie alcune migliaia di spettatori, presenta una media di età decisamente vicina alla trentina, evidente segnale del fatto che, nonostante la qualità altissima degli ultimi prodotti, molti fan degli Europe sono all’Alcatraz anche (o forse soprattutto) per i brani più datati.

Il finale del concerto, che prevede tre bis, inizia con la potentisima Got To Have Faith, opener di Start Form The Dark, che conferma per l’ultima volta come gli Europe di oggi siano forse addirittura meglio di quelli di ieri, in grado di scivere brani di una prorompente grinta. Gli ultimi due shot sono legati a due classici di sempre come Cherockee e il tormentone The Final Countdown, entrambi immancabili, che non mancano di suscitare entusiasmo e coinvolgimento.
Dopo questo concerto non si può che notare come gli Europe siano in grado di far combaciare due stili, nell’ambito della loro carriera, molto diversi, con maestria e abilità; sicuramente un ottimo concerto per una band in splendida forma che ha ancora tanto da dire.

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Foto - Andrea "AFTepes" Sacchi

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