Come ultima data del suo tour europeo il celeberrimo Alan Parsons, storico produttore e tecnico del suono degli eterni The Dark Side of the Moon (Pink Floyd) e Let It Be (The Beatles), nonché autore di numerosi album di successo a cavallo tra gli anni Settanta e gli Ottanta, ha scelto il Castello Sforzesco di Vigevano (PV), dopo essersi esibito a Roma e Trieste.
Reduce dall’ultima pubblicazione A Valid Path (2004), a cui ha partecipato come ruolo di chitarrista solista l’amico David Gilmour (Pink Floyd), Alan Parsons si ripresenta con il suo Project che ha riscosso grande successo dal 1976, anno della pubblicazione di Tales of Mystery and Imagination - Edgar Allan Poe: ad accompagnarlo in questo nuovo ed entusiasmante tour europeo sono intervenuti esperti musicisti dalle immense capacità tecniche, quali Godfrey Townsend alla chitarra (che ha collaborato con Jack Bruce e John Entwistle), Steve Murphy alla batteria (Sting, Mark Egan, Phil Ramone, Celine Dion), John Montagna al basso, Manny Focarazzo alle tastiere e PJ Olsson alla voce.
Il concerto si è aperto relativamente tardi, alle 22.30 circa: un Parsons vestito con una giacca viola shocking fa il suo ingresso sul palco insieme ai suoi session musicians, aprendo lo spettacolo con classici come Don’t Answer Me, The Raven, Days Are Numbers (The Traveller) e proseguendo con brani di eccezionale effetto live come la trascinante La Sagrada Familia o la famosissima Time.
Nonostante Alan e la sua band non abbiano iniziato l’esibizione in maniera convincente, a lungo andare sono stati messi in evidenza i meravigliosi virtuosismi dei componenti della formazione: da segnalare però la scarsa performance da parte del leader inglese, alquanto statico nelle retrovie del palco, a suonare la sua chitarra acustica scandendo gli accordi, mentre i rimanenti membri dell’Alan Parsons Project si abbandonavano ad assoli o creavano ottimi chiaroscuri anche attraverso un buon apporto di elettronica.
Malgrado questa nota di demerito, il concerto è avanzato in un crescendo di emozioni, non tanto regalate al pubblico dai nuovi pezzi di A Valid Path, come More Lost Without You e We Play the Game o dalla deludente Day After Day (cantata da Focarazzo), quanto dalle storiche canzoni Eye in the Sky, Luciferama, Psychobabble o Prime Time, veramente dotate di un ottimo approccio e sound. I timbri appunto sono risultati il punto di forza del gruppo, perché sempre ben equalizzati e degni di uno dei più grandi tecnici del suono della storia del Progressive.
Bisogna rammentare la perfetta interpretazione da parte di Steve Murphy, nella sua parvenza Hard Rock, precisissimo nel tessere le ritmiche di batteria e intonatissimo nella sua prestazione vocale; altrettanto si deve dire riguardo a John Montagna, parecchio abile nel descrivere espressive linee vocali e riguardo a Godfrey Townsend, un vero virtuoso, carico di passione e di determinazione nei suoi complessi assoli. Abbastanza sottotono invece le prove di PJ Olsson e di Manny Focarazzo, nonostante siano emersi i discreti inserti di elettronica che caratterizzano il sound dell’Alan Parsons Project.
Alle 23.30, dopo una breve pausa dietro le quinte, richiamati a gran voce dal numerosissimo e caloroso pubblico accorso per l’occasione, il gruppo è tornato sul palco, proponendo classici come Old & Wise o la stupenda Games People Play (tratta da Turn Of A Friendly Card), che ha chiuso con la sua tuonante elettronica un concerto veramente ben calibrato sotto ogni aspetto tecnico e musicale.
L’unico dispiacere che si prova ad osservare Alan Parsons è l’assenza di un autentico contatto umano con gli spettatori: giunto alla fine del suo tour europeo, Alan è sembrato maggiormente interessato a sponsorizzare il suo ultimo full-lenght e il suo nuovo DVD, piuttosto che ricercare un impatto diretto con i suoi fans. In definitiva, da apprezzare è stata l’esibizione non tanto del front-man inglese, quanto di una band capace di esaltare con la sua esperienza e la sua assoluta disinvoltura nell’esprimere sul palco di Vigevano i pezzi scritti da Parsons. Tuttavia, la data è apparsa divertente e quasi memorabile, grazie anche all’apporto di un pubblico affettuoso nei confronti del proprio beniamino dei Settanta/Ottanta.
Edoardo "Opeth" Baldini