- Simon Gallup - basso, tastiera
- Robert Smith - chitarra, voce, tastiera
- Porl Thompson - chitarra
- Boris Williams - batteria
- Roger O'Donnell - tastiera
1. Plainsong
2. Pictures of You
3. Closedown
4. Lovesong
5. Last Dance
6. Lullaby
7. Facination Street
8. Prayers for Rain
9. The Same Deep Water as You
10. Disintegration
11. Homesick
12. Untitle
Disintegration
Non un titolo migliore poteva essere scelto per il capolavoro dei Cure di Robert Smith, l’album che corona i primi dieci anni di attività discografica della band inglese, proiettando verso un successo mondiale inaspettato e insperato per la malinconia che Disintegration trasmette all’ascoltatore. La nostalgia e lo smarrimento troneggiano in 72 minuti di un Dark ben diverso da quello plasmato dai Cure nei precedenti dischi.
Forse il grande risultato in numero di vendite è stato raggiunto da Disintegration per la pubblicazione dei singoli Lullaby e Love Song, che hanno mostrato il lato più melodico e “commerciale”, se così può essere definito, dei Cure: ciò che il disco trasmette è puro dolore celato dai dolci e dimenticati temi di chitarra e di tastiera, ma ben manifesto nelle liriche disperate di Robert, che si presenta personalmente sull’artwork, con uno sguardo rivolto verso il vuoto infinito umano, mentre i fiori crescono spontaneamente nel mondo circostante.
Era il 1989 e il tormento Post Punk dell’inizio degli anni ’80 era ormai tramontato, per lasciare spazio ad una mestizia diversa e più delicata, una decadenza che avvolge l’ascoltatore nei passaggi lenti delineati dagli eleganti arpeggi di chitarra, un alone inquieto che si esprime all’esterno e non tende a chiudersi in se stesso com’era quello di Pornography.
Varia e tristemente melodica la nuova musica dei Cure, testimoniata da colonne portanti dell’album, quali la splendida Pictures of You, che avanza nei suoi lunghi fraseggi, accompagnata dalla struggente voce di Robert, posata e perfetta nell’impostazione come in ogni opera targata Cure.
E come non ricordare tutti i brani che compongono e che hanno reso celebre questo Disintegration, tutti dotati di caratteristiche differenti ma omogenei nella forma, quella della perdizione interiore; Love Song nella sua parvenza gotica affascina ed anticipa di un decennio sperimentazioni ancora adottate nel Gothic Rock, con la tastiera a colorare il tessuto sottostante attraverso le sue tonalità cromatiche calde e raffinate, sicuramente antitetiche rispetto ai gelidi e lugubri accompagnamenti del Dark più cupo esibito ad inizio carriera dal gruppo inglese.
Se Last Dance rappresenta il giusto equilibrio tra chitarra e tastiera, che si fondono, si mischiano e diventano una realtà unica, allora Lullaby scandisce il ritmo della depressione di Smith; mai in tutto Disintegration come in questo capitolo è forte e profonda la ricerca introspettiva del front-man, che interpreta un cantato spezzato, discontinuo e spesso sussurrato, elemento che sorprende positivamente il pubblico, inserendolo all’interno di una delle canzoni più tormentate della produzione Cure.
Gli episodi seguenti come l’impetuoso ed oscuro Fascination Street, denso nelle linee ritmiche e permeato di elettronica, o ancora come l’acustica Homesick, in cui il pathos viene trasmesso dalla dolce chitarra classica e dal disperato pianoforte, servono solo per definire ciò che poteva già essere chiamato un masterpiece del Dark.
Disintegration strega l’ascoltatore, per trascinarlo poi in un vortice di inquietudine ragionata e complessa, un’inquietudine non pesante da sopportare perché attorniata da calde soluzioni stilistiche, paragonabili ai fiori sulla copertina; è la musica ad appartenere a questo mondo, sono i testi a volare verso l’infinito.