- Scott Jeffreys - voce
- Brian Shoaf - chitarra
- Shawn McCoy - chitarra
- Cary Rowells - basso
- Stephen Shelton - batteria
1. Cross the Bar (04:24)
2. Until Tomorrow (05:01)
3. Wig Stand (04:35)
4. Blueprint Soul (05:33)
5. The Downside (05:09)
6. Sour Times (05:56)
7. Hibernation (05:33)
8. Strata of Fear (04:34)
9. Bonus Track (06:04)
Unraveled
Quando si ha a che fare con il ritorno una band "cult", di nicchia, che ha lasciato al pubblico ed alla scena metal poche release ma che hanno saputo segnare indelebilmente il background musicale di molti altri loro colleghi ben più noti, ci si trova di fronte ad uno strano ed, a volte, sgradevole imbarazzo: augurarsi che il tempo si sia incredibilmente fermato, lasciando inalterato il songwriting dei loro componenti oppure sperare in un’evoluzione che renda la loro musica, ancora una volta, nuova, fresca e pronta a lanciare un’ulteriore sfida al panorama metal? Dubbio amletico ma che, di fronte ad Unraveled, fatica numero quattro (un full-length e due mini-CD) degli incredibili statunitensi Confessor, deve essere sciolto e con una decisione drastica ma necessaria: una controllata e lucida, anche se non troppo cocente, delusione.
L’iniziale Cross The Bar ci fa subito capire che qualcosa in casa Confessor, non è proprio cambiata, ma si è persa per strada: la geniale ed istrionica follia compositiva. Della splendida fusione tra Doom Metal e Techno-Thrash progressivo, è rimasta solo la prima parte. Infatti pezzi come Wigstand o The Downside, viaggiano su tempi medio-lenti, riff granitici ed abbastanza lineari (senza per questo rendere la struttura dei pezzi troppo scheletrica ed essenziale) cesellati dalle chitarre di Shoaf e del "nuovo entrato" McCoy, creando un alone oscuro e misterico, con momenti di claustrofobica pesantezza rotta solo a tratti, come nelle parti più intense di Until Tomorrow da alcune pregevolissime evoluzioni della coppia ritmica formata dal bassista Rowells e dal funambolico drumming di Shelton, unico piccolo residuo del loro stile originale, suggellato dall’avanguardistico ed "asimmetrico" capolavoro Condemned.
Ciò che però spiazza, sorprende (in alcuni passaggi anche piacevolmente) e lascia l’amaro in bocca è la prestazione del singer Scott Jeffreys; premettendo che ci troviamo di fronte ad un performance artisticamente apprezzabile e di valore elevato, quello che delude chi già conosceva il five-piece della North Carolina, è l’impostazione del cantanto. Abbandonato lo stile completamente allucinato dell’esordio, che dipingeva immense gigantografie di follia e tormento spirituale messe in musica dall’incontrollato thrash-doom tecnico della band statunitense, Jeffreys si cimenta in una prova da autentico cantante doom, ieratico, equilibratamente lamentoso (nel senso positivo del termine) ed essenziale. Come la musica del combo americano stesso, la prestazione del proprio singer (giustamente, dal punto di vista dell’arrangiamento) si è ‘appesantita’ ed è diventata più massiccia e sobria: come un’anima che, dopo il dolore ed il tormento, trascina la sua esistenza come fiaccata dal suo stesso dolore e da una penitenza, che diventa una sorta di macigno. Pur riconoscendo il valore oggettivo di un’opera come Unraveled, non si può negare che l’ascolto di Strata Of Fear, fa agognare e rimpiangere l’esplosione di tormento folle di un pezzo come Alone.