Intervista esclusiva al celebre Ian Paice dei Deep Purple, raccolta dal vivo durante lo show del batterista al Thunder Road di Codevilla (PV) con Matt Filippini e Alessandro Delvecchio del Moonstone Project. Alle tre domande che RockLine.it ha avuto il piacere di porre, Ian risponde con la passione e l'interesse di chi ha trascorso una vita immerso nella propria musica...
A.E. - Ian, abbiamo pochissimo tempo e vorrei farti un milione di domande, ma mi è concesso il tempo solo per tre. E' d'obbligo, però, chiederti, come nasce la collaborazione che unisci, da un po' di anni, te e Matt Filippini.
Ian - Premetto che più che un progetto con Matt ed Alex, questo è un progetto di Matt, dove io sono un ospite al quale lui ha fatto l'onore di invitare a suonare in questo disco, Moonstone Project. La collaborazione tra me e Matt dura da diverso tempo per quel che concerne, invece, questa serie di concerti che spesso mi porta in giro per il vostro paese e mi dà la possibilità di divertirmi suonando i vecchi pezzi dei Deep Purple ma anche di altre band e musicisti che io amo in un clima di divertimento ed amicizia. E' questo il senso della collaborazione live tra me, Matt e gli altri ragazzi della band: divertirci, suonare le cose che ci piacciono di fronte a pubblici splendidi come questo, che seguono i brani, sanno a memoria le parole. Questo è lo scopo di questa collaborazione ed il motivo per il quale essa stessa dura da così tanto tempo: siamo amici e ci divertiamo e speriamo di far divertire sempre anche il pubblico.
A.E. - Ma per te, che sei considerato uno dei batteristi più rivoluzionari della storia del rock, c'è, attualmente, qualche musicista, non necessariamente un batterista, o qualche band che stimola la tua attenzione ed il tuo interesse, anche di voler prendere qualcosa da lui?
Ian - Il problema, e questo per spiegarti che non sono un egocentrico che pensa di aver inventato tutto e che quel che si crea è dovuto a lui, è che attualmente non vedo nessuno, almeno nel mio ambito musicale, che mi colpisca e mi rimanga in mente e tutto è dovuto ad una mentalità ed un approccio sbagliato all'apprendimento dello strumento stesso. Molti musicisti di oggi, strumentalmente parlando, sono fantastici, bravissimi esecutori, ma suonano tutti allo stesso modo, imparano le stesse cose allo stesso modo. Tu puoi avere, nella stessa sala prove, venti musicisti della nuova generazione, tutti bravissimi, veramente, ma che sembrano tutti uguali e nemmeno uno che spicchi su di loro per come suona, per stile o per delle particolari tecniche che sta creando o che sta adattando al suo stile modificandole. Il problema è questo: imparano ma non creano, apprendono ma poi non adattano le cose giuste che hanno imparato alla loro personale sensibilità musicale. Facendo così non si crea un musicista che spicca sugli altri, non si creano o modificano nuove tecniche per migliorare e creare nuovi modi di suonare....non si scrivono cose nuove soprattutto...
A.E. - Stai descrivendo un processo di clonazione......
Ian - Esatto! Ecco la parola che descrive tutto ciò! Clonazione! Si assomigliano tutti, non abbiamo un musicista che si differenzia da un altro per uno stile in particolare o per aver inventato un modo personale di fare quella determinata tecnica. Delle volte non è importante essere il miglior batterista, ma essere un batterista diverso dagli altri, che abbia quel qualcosa in più. Poi ci può arrivare tranquillamente ad essere il migliore ed in tutti i sensi. Ho conosciuto molti batteristi nella mia carriera, ma attualmente, non ho incontrato ancora uno che potesse essere, per esempio, un nuovo Keith Moon, per stile e creatività. Batteristi come lui avevano un modo speciale di fare le cose che rendeva il loro suono unico e che ne ha fatti un esempio e metodo di studio per quelli che adesso imparano a suonare nelle accademie e nelle scuole: se però imparano senza creare, si avranno cloni e questo alla musica per progredire non serve.
A.E. - Ultima domanda Ian e si lega a questa tua ultima considerazione: pensi che questa tendenza all'omologazione dei musicisti possa essere deleteria per lo sviluppo di una musica come l'hard-rock, che ha una fortissima tradizione e che sembra, specialmente negli ultimi dieci anni, rimasta eccessivamente ancorata agli stilemi degli anni '70 ed '80?
Ian - In questo caso il discorso è un po' diverso: quando io e molti altri musicisti della mia generazione iniziammo quasi quaranta anni fa, a suonare, c'era voglia di creare ma, soprattutto, di imparare perché quel fenomeno si sarebbe basato principalmente sull'abilità e sulle personalità di quei singoli musicisti, che poi, assieme, avrebbero imparato ad essere una band, creando un'entità coesa. Ma questo processo ha richiesto tempo, anni: la parola 'sviluppo' implica questo, la capacità e la voglia di fare apprendendo qualcosa che deve diventare tuo, la voglia d'imparare per scoprire e realizzare qualcosa che traduca in musica quello che sei. Ma per fare tutto questo...
A.E. - Bisogna aver fame d'imparare, sempre.
Ian - Giusto, ma anche la capacità di prendersi il tempo d'imparare. Quello che io ho imparato, tecnicamente, compositivamente, sviluppando personalità e feeling con gli altri per formare una band con uno stile proprio e che scrivesse pezzi che trasmettessero questo modo personale d'intendere l'hard-rock, ho impiegato quattro/cinque anni per poterlo fare, suonando quattro o anche cinque volte dal vivo ogni settimana. Adesso in tre o quattro mesi di studio, molti musicisti vogliono salire sul palco ed essere al livello mio o di chi suona da tanto tempo come me: impossibile! Ci vuole passione, energia, amore, studio, abilità, talento ma anche pazienza e pratica: solo così si riesce a creare qualcosa di personale che può durare nel tempo ed avere una propria anima. Questa è la definizione di passione ed amore per la musica, sempre!
A.E. - Ian grazie ancora per la tua disponibilità ma soprattutto per le tue parole e la musica che ci hai regalato e che continui ad offrirci!
Ian - Grazie a voi ed a presto!!!