- Lynn Meredith - voce
- John Bolton - flauto, sassofono
- Kerry Livgren - chitarra, tastiera, cori
- Dan Wright - organo, tastiera, cori
- Craig Kew - basso, cori
- Brad Schultz - batteria
1. Nevermore
2. Relics of the Tempest
3. When the Rains Come
4. On the Eve of the Great Decline
5. Physic
6. Osvaldo's Groceries
7. The Vigil
8. Old Number 63
9. Melicus Gladiator
10. Picture This
The Wait of Glory
La storia dei Proto-Kaw è parecchio particolare e ha inizio nei lontani anni ’70, e precisamente a partire da una celebre band Progressive Rock americana, che riscosse successo planetario per alcuni master-pieces del calibro di Leftoverture: i Kansas. Il nome stesso Proto-Kaw in indiano significa letteralmente “early version of Kansas”, e cioè “la prima versione dei Kansas”: difatti la band ebbe vita breve (dal 1971 al 1973) e fu presto messa nel dimenticatoio per la colpa di non essere troppo commerciale. Il polistrumentista e leader Kerry Livgren decise così di formare un nuovo gruppo, conservando la parola Kansas nel nome: da qui nacque una delle realtà più fortunate del Progressive/Art Rock americano, che tra il 1974 e il 1980 vide il suo splendore tipicamente umoristico, in netta contrapposizione con le riflessive raffinatezze degli inglesi.
Nel 2001 una casa discografica propose a Livgren di incidere i pezzi scritti tra il 1971 e il 1973, facendo uscire il demo-cd come inserto della rinomata rivista Rolling Stone: nel 2004 la tedesca Inside Out concluse l’opera, prendendo nella propria scuderia la band, riformatasi per l’occasione con tutti i membri originari e pronta a lavorare per produrre nuovi capitoli discografici.
Dopo Before Became After, uscito nel 2004, è la volta di questo ultimo The Wait of Glory, che propone dieci pezzi scritti da Livgren e compagni nell’arco di due anni: ciò che è cambiato nel tempo non è tanto costituito dal fattore musicale, certamente diverso e perfezionato anche per l’impiego di sistemi di registrazione più avanzati, quanto le relazioni tra i vari musicisti.
L’album si prospetta come convincente e ben curato sin dall’avvio Nevermore, lungo episodio dove un Progressive oscuro ed atmosferico costruisce sonorità completamente opposte a quelle che furono le evoluzioni dei Proto-Kaw nei Kansas. Qualche elemento di collegamento con i celebri Kansas e Leftoverture sono le scale e le sferzate improvvise di Hammond, sebbene paiano più misurate e siano limitate dall’intervento della totalità del tessuto musicale.
Frequenti sono i ritmi tribali che arricchiscono il Progressive sinfonico e cupo che viene presentato nell’opener.
Proseguendo, ancora le tastiere e il flauto rimangono in prima linea, insieme alla voce ben calibrata di Lynn Meredith: l’architettura strumentale è resa più melodica dall’impatto delle chitarre acustiche e numerose possono essere le connessioni stilistiche con le ultime produzioni del connazionale Neal Morse (? su tutti, insieme allo splendido e ormai superato Beware of Darkness dei suoi Spock’s Beard) e del filone svedese rappresentato dagli scherzosi Kaipa (che vantano una storia molto simile a quella dei Proto-Kaw).
In alcuni capitoli Dark Prog e Jazz si intrecciano con facilità, lasciando spazio ad ampie melodie e ad atmosfere a volte leggermente statiche, ma spesso trascinanti perché spalmate.
Inattesi capitoli sono quelli come Physic, dove il sassofono si sostituisce al flauto (entrambi suonati da John Bolton) e l’organo disegna le tipiche scale settantine, a formare un alone magico e parecchio appassionante. Sono queste le sezioni che scuotono l’ascoltatore, introducendo ritornelli catchy e intervalli strumentali alla Kansas.
Le composizioni trasudano di Jazz e di motivi scherzosi, come dimostra la simpatica ed allegra Osvaldo’s Groceries, che conferisce un tono diverso alla musicalità espressa dal ritrovato con il suo misto di Prog e Folk balcanico.
Non mancano momenti di riflessione e meditazione, quale la bella ballata The Vigil, scorrevole nella sua piacevolezza generale e carica di emozioni dimenticate nel contesto dei Settanta.
Vario ed elaborato il lavoro di song-writing operato da Kerry Livgren, che a distanza di così tanti anni, testimonia la sua maturità stilistica e soprattutto compositiva.
Già all’inizio del 2006 il Progressive Rock fa sentire la sua voce e questo The Wait of Glory può rappresentare un episodio discografico originale ed inaspettato, capace di catturare l’attenzione del pubblico, per regalargli ancora una volta i timbri di una musica ricercata e gradevole.