Voto: 
6.6 / 10
Autore: 
Gioele Nasi
Genere: 
Etichetta: 
Regain Records/Self
Anno: 
2005
Line-Up: 

Thomas Väänänen – Voce scream

Patrik Lindgren - Chitarra

Henrik Svegsjö - Chitarra

Kimmy Sjölund - Basso

Peter Löf - Sintetizzatori, Tastiere

Joakim “Jocke” Kristensson – Batteria

Guest:

Toni Kocmut – Voce Pulita




Tracklist: 

1.Far åt Helvete

2.Jag Spår Fördärv

3.Farsotstider

4.Höst

5.Själavrak

6.Elddagjämning

7.Baldersbalet

8.Tiden Läker Intet


Thyrfing

Farsotstider

I Thyrfing nel corso degli anni sono riusciti ad issarsi con merito sul trono che fu degli scomparsi Mithotyn come uno dei migliori acts in campo Viking: il debut album acerbo ma passionale, il monumetale Valdr Galga, il riflessivo Urkraft, lo sperimentale Vansinnesvisor; tutti lavori di gran classe ricordati fra i capisaldi di questo giovane genere.
Era quindi considerevole l’attesa per questo, quinto, Farsotstider, (i “Tempi delle Piaghe”), in uscita a distanza di poco più di 3 anni dal precedente. Il quale aveva cominciato a spaccare le convinzioni di alcuni fans: un disco coraggioso e al passo coi tempi, ma che proponeva un approccio più metallico e guitar-oriented rispetto al passato.

Ma come si presenta dunque questo nuovo lavoro?
Risposta: ancora più brutale del precedente. Le parti di tastiere (da sempre trademark del gruppo) sono ulteriormente ridotte, e in alcune tracks spariscono addirittura. I cori sono anch’essi morti, defunti e sepolti sotto un paio di metri di buona terra – non solo i cori epici delle prime releases, ma anche quelli grevi che comparivano a sprazzi su Vanisnnesvisor (ad esempio su Digerdoden).
Per contrasto, le chitarre di Patrik Lindgren ed Henrik Swegsjo sono più massicce e potenti che mai, e, se Farsotstider fosse una pièce teatrale, esse sarebbero protagoniste, attori secondari, comparse e perfino pubblico: rubando spazio alle tastiere, il riffing si può esprimere in tutta la propria potenza, ma questo va in modo desolante a contrastare con la varietà tipica di tutti i brani passati del gruppo svedese.
Costante invariata è invece la grande rabbia dello screaming di Thomas Vaananen, che continua sul sentiero del cantato sguaiato/incontrollabile delle ultime produzioni. Per la prima volta inoltre il disco è interamente cantato in lingua madre, a proseguimento di un progressivo discorso di “svedisizzazione” delle proprie liriche.

Inutile sottolineare come questo disco sia un’evoluzione del precedente Vansinnesvisor; per cui se già le “Melodie dei Visionari” non erano di vostro gusto, potete smettere qui di leggere: questo disco non fa per voi nel modo più assoluto.
Se invece, come chi scrive, eravate rimasti colpiti dalla proposta affascinante del disco del 2002, ponderate comunque bene il vostro eventuale acquisto: Farsotstider è un buon disco con alcune idee gradevoli, ma non sviluppa bene le trovate geniali che riempivano Vansinnesvisor e gli è quindi inferiore, da qualsiasi punto di vista lo si voglia guardare.
Se non avete mai ascoltato la band, vi consiglio comunque di partire dai lavori precedenti, e acquistare questo lavoro solo in seguito.

Ma vediamo nel dettaglio cosa ci propone questo nuovo platter.
Si inizia con l’opener Far åt Helvete. Il pezzo dura cinque minuti, neanche tantissimo, ma dopo il terzo l’ascoltatore starà già sbadigliando. Il brano è infatti un completo buco nell’acqua.
Come da premessa, niente vecchi Thyrfing melodici e tastierosi, ma non compaiono nemmeno i Thyrfing evoluti, interessanti e geniali di Vansinnesvisor.
Un incipit al limite dell’hard rock, un proseguimento a base di noia: indecisa e semplicistica, Far at Helvete non decolla mai e anzi si accartoccia vanamente su se stessa in un goffo tentativo di provare a essere non si sa bene cosa.
Si può perdonare tutto ad un’opener, ma non che sia irritante e fastidiosa. Dove sono finiti i Thyrfing devastanti di Draugs Harg, quelli trascinanti di Storms of Asgard e quelli sorprendenti di Mjoelner? Nel finale viene riprovata la carta del coro in latino, come già in Sweoland Conqueror: a differenza di quanto accadeva nel brano citato, l’effetto qui è ai limiti dell’imbarazzante. Nella disperazione più totale si passa alla seconda traccia.

Sospiro di sollievo: con Jag Spår Fördärv si ritorna finalmente ad avere una canzone di gran livello. Dal malvagio growl iniziale di Vanaanen (“...Io Prevedo Rovina!...”) al finale in crescendo, il brano non delude: i riff sono convincenti e vari, il chorus si memorizza dopo pochi ascolti; la canzone da il meglio di sé nella parte centrale in cui il tastierista Peter Lof con un paio di efficaci accorgimenti alle tastiere prima e al piano poi, ci stupisce e tiene incollati alle casse. Con Jag Spar Fordarv compresa inizia una serie di tre brani di livello eccezionale.
Rasserenati dunque dalla buonissima Jag... proseguiamo nell’ascolto con la titletrack Farsotstider. La quale guarda caso si fa notare per l’ottima atmosfera, creata ancora una volta dal buon Lof e dai suoi tasti: fondamentale il suo apporto nel donare spunti d’interesse alle canzoni. Dal canto loro Svegsjo e Lindgren costruiscono riffs potentissimi, contribuendo alla buona riuscita della song. Anche qui il chorus, con batteria in doppia cassa a sostegno, si memorizza dopo poche sessioni d’ascolto. Nel finale torniamo ad accorgerci anche della gradita presenza della voce pulita di Toni Kocmut, che aumenta il tenore epico dell’epilogo.
La quarta Höst (l’Autunno), vagamente Urkraftiana, inizia con un meraviglioso motivo di chitarre acustiche per poi esplodere con un granitico riffing su cui lo scream esaltante di Thomas si trova assolutamente a suo agio. Punti a favore sono il refrain coinvolgente con la doppia, disperata voce clean/scream, e le parti di chitarra davvero ben congegnate: bel brano quello in quarta posizione, che può ben aspirare al titolo di miglior episodio.
La furiosa Själavrak (Naufragio dello Spirito) fa proseguire il tratto felice di “Farsotstider”, anche se è lievemente meno ispirata delle precedenti: però il chorus semplicissimo ed immediato rende facilmente assimilabile la song. Gli urli di Thomas nel refrain annichiliscono per potenza e carica esplosiva, mentre il basso di Kimmy tesse buone melodie sotto gli assoli delle chitarre elettriche.

Elddagjämning (Equinozio del Fuoco) si rivela un altro flop: è il secondo brano per lunghezza ma anche il secondo nella classifica della “bassa qualità”. Peccato, perché alcune idee assolutamente non malvagie sono state sviluppate poco e male: l’arpeggio iniziale (che mi ha ricordato gli Shining dell’ultimo “The Eerie Cold”), le parti di piano nel finale, sono inserite in un contesto troppo noioso e poco attraente che appiattisce la proposta musicale del gruppo e vanifica i (pochi) buoni spunti presenti. Da un gruppo maturo come i Thyrfing ci si aspettava qualcosa di meglio rifinito.
La Pira di Baldr, ovvero Baldersbalet, ripesca alcuni elementi positivi della titletrack come i synth di sottofondo, alcuni buoni cambi di tempo e un chorus veloce e d’impatto. Inoltre la sua brevità ben si accorda con la monoliticità delle parti di chitarra, che risulterebbero troppo pesanti se prolungate per un tempo eccessivo.
Buon brano, anche se di parecchio inferiore al livello medio di un disco come Vansinnesvisor.
Si chiude con Tiden Läker Intet. I Thyrfing hanno sempre avuto una eccellente tradizione in fatto di closer tracks: Going Berserk, A Great Man’s Return, Urkraft, Kaos Atermkost erano infatti nei rispettivi dischi fra i migliori episodi; questa nuova canzone conferma la regola, risultando fra i più postivi di questa release. Interessante, con dei synth possenti ed inquietanti a far da contorno a uno scream violento in Vaananen-style, e delle apprezzate intromissioni acustiche e di tastiera ogni tanto.

Spiace parlare in termini parzialmente negativi di una band che è da considerarsi fra le migliori in assoluto in ambito viking, ma...
I Thyrfing sinceri, grezzi e pacchianamente esaltanti del debut son perduti, quelli epici e sostenuti di Valdr Galga anche, ugual sorte è toccata a quelli introspettivi e folk di Urkraft: e questo ce lo aspettavamo. Ma sinceramente la scomparsa anche dei Thyrfing maturi, innovativi ed intelligenti di Vansinnesvisor stupisce parecchio e delude non poco.
Farsotstider rimane un buon disco, specialmente se considerato a sé stante, con almeno quattro canzoni che tengono botta anche se confrontate coll’illustre passato: ma è superfluo far notare come da una band come i Thyrfing, che aveva saputo rinnovarsi e sorprendere con un disco interessantissimo di “Viking Moderno” come Vansinnesvisor, ci si attendesse davvero di più; un “buon disco” non basta.

Rimandati alla prossima, e che sia un lavoro all’altezza del vostro nome!

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