- Matthew Bellamy - voce, chitarra, tastiera
- Chris Wolstenholme - basso, cori
- Dominic Howard - batteria, percussioni
1. Intro
2. Apocalypse Please
3. Time Is Running Out
4. Sing For Absolution
5. Stockholm Syndrome
6. Falling Away With You
7. Interlude
8. Hysteria
9. Blackout
10. Butterflies & Hurricanes
11. The Small Print
12. Endlessly
13. Thoughts Of A Dying Atheist
14. Ruled By Secrecy
Absolution
Il terzetto inglese entrato nel 2001 nella lista dei gruppi più discussi del momento, diventato oggetto di paragoni con i Radiohead ed entrato nelle grazie dei Dream Theater, ci riprova. A due anni di distanza dal loro lavoro più acclamato, Origin Of Simmetry (2001), i Muse propongono una nuova uscita all’insegna dell’alternative rock; e mentre attorno alla sala di registrazione il mondo è in subbuglio, sconvolto dalla guerra in Iraq e da ripetuti attentati terroristici, i tre decidono di aprire le orecchie, di uscire dal loro mondo racchiuso nelle loro menti, e dare una voce al disagio che si avverte nell’aria, pesante come una roccia. Come?
La risposta, nonché frutto di un lavoro ideato e portato avanti con più calma rispetto ai precedenti, si chiama Absolution, ed esce dai “normali” schemi musicali della band. Dimenticate le atmosfere eteree di Origin Of Simmetry e le sfuriate sognanti di Showbiz, che pure lasciano qualche traccia: Absolution è materiale e reale, e poco rimane della dimensione onirica dei dischi precedenti. Si avverte già dalla prima traccia, questo cambio di atmosfera: l’Intro è un ritmo marziale, che ci inserisce subito nella prima traccia propriamente detta. Apocalypse Please, questo il nome del primo brano, è una canzone caratterizzata da degli accordi quasi martellati al pianoforte; e mentre la disperata voce di Bellamy fa capolino, il ritmo marziale continua imperterrito a venire scandito dalla batteria: e le tastiere, il basso e la chitarra diventano un unico flusso, si fondono e si dissolvono soltanto al termine del pezzo. Un riff di basso ci traghetta in Time Is Running Out, pezzo decisamente accattivante, dotato di una contagiosa energia e della capacità di insinuarsi nella mente e installarvisi fino a tempo indeterminato. Un perfetto singolo, insomma, che non riesce però a rappresentare pienamente lo spirito dei Muse. Si potrebbe fare un discorso simile per la traccia successiva, Sing for Absolution, ballata alla Coldplay che manca parecchio di personalità (e di Muse), nonostante si faccia ascoltare e riesca in qualche modo a prendere.
Si gioca con i riff pesanti in Stockholm Syndrome, canzone il cui testo è ispirato, appunto, alla Sindrome di Stoccolma. Sicuramente di diverso spessore rispetto ai due pezzi precedenti, seppure fuori al di fuori del normale stile del terzetto. In Stockholm Syndrome il pianoforte e la chitarra del singer Matt Bellamy, il basso di Christopher Wolstenholme e la batteria di Dominic Howard riescono a creare un’atmosfera ossessiva, che rende perfettamente la sindrome di cui sopra, che culmina nel momento finale della canzone. Segue una ballad di altro livello rispetto a Sing For Absolution: Falling Away With You si apre con un fraseggio eseguito sulla chitarra acustica, fondendo elettronica e rock lento assicurandosi la simpatia dell’ascoltatore con delle sonorità malinconiche – ma del resto tutto il disco è caratterizzato da questa atmosfera a metà tra il melanconico e l’arrabbiato.
Dopo un breve Interlude, subentra la traccia numero 8 del disco, Hysteria, altra canzone col potere di insinuarsi nell’orecchio dell’ascoltatore. Nonostante il suono “pesante”, infatti, il brano è fortemente melodico e si dispone all’ascolto di chiunque. Con Hysteria ancora ronzante nelle orecchie, ci si addentra in un’alto brano, Blackout, che ha chiaramente la funzione di staccare il ritmo di Hysteria, di allentare la tensione e predisporci alla canzone portante del disco, capolavoro con tanto di assolo di pianoforte, quasi come fosse musica classica: è Butterflies and Hurricanes, pezzo di grande intensità e caratterizzato da un bel testo e da grandi arrangiamenti. Così i Muse giocano con la classica, divertendosi a modellarla a proprio piacimento, mescolandola con le proprie sonorità: grandissimo lavoro di archi, ma la ciliegina sulla torta è un assolo interamente inseguito in pianoforte, con forti richiami a grandi compositori (Debussy?). Nonostante in Blackout avesse già avuto modo di prestarsi all’orchestrazione dei brani, è in questo pezzo che la band dà il meglio di sé. Non ci si può, però aspettare, due pezzi dello stesso tipo di seguito in un album del genere: The Small Print è una canzonetta dal sapore pop punk, senza troppe pretese, allegrotta, costruita per non essere particolarmente impegnata, ma che soddisfa se ascoltata come tale.
Può risultare difficoltoso, invece, procedere attraverso l’ennesimo pezzo lento del disco: Endlessly non dimostra di discostarsi dai precedenti “stacchi”, ma se non altro non è ruffiano come Sing For Absolution. Ancora un altro pezzo di pasta totalmente diversa: l'impostazione di Thoughts of a Dying Atheist torna a essere simile a quella di The Small Print, con tonalità più tristi e un testo che fa la differenza - l'intero pezzo fa perno attorno alle liriche di eccezionale profondità, e ha la peculiarità di essere in bilico tra l'adrenalinico e il triste, tra l'allegro e il disperato, e in qualche modo rispecchia l'anima dei tre inglesi. Ruled By Secrecy chiude l'album, altro lento che si differenzia però dai precedenti, dimostrandosi uno dei pezzi portanti del disco con delle atmosfere che sembrano creare un abisso sonoro in cui è facile cadere e perdersi, con la speranza trasmessa dalle vibranti note prodotte dall'ugola di Bellamy. Di grande effetto l'uscita in evanescenza realizzata semplicemente con gli strumenti, senza fare ricorso al mixaggio.
Qualcuno si chiederà, a questo punto, quali sono i punti di forza e i punti deboli dell'album. La risposta è semplice, l'album ha una sola pecca: manca quel pizzico di genialità che aveva contraddistinto i due album precedenti. Per dirla tutta: buono, ma non basta.