Kip Berman - vocals, guitar
Peggy Wang - vocals, keyboards
Alex Naidus - bass
Kurt Feldman - drums
1. Belong
2. Heaven's Gonna Happen Now
3. Heart In Your Heartbreak
4. The Body
5. Anne With An E
6. Even In Dreams
7. My Terrible Friend
8. Girl of 1,000 Dreams
9. Too Tough
10. Strange
Belong
I sogni si sa, sono fenomeni particolarmente complessi, tutt'ora oscuri e limitati alla comprensione della mente umana. Sono scritti spontaneamente, no stop e il più delle volte gli attori appaiono intenti a fare cose strambe e per nessuna ragione sensate, mentre la mente va avanti, l'intelletto guizza, la notte cala e tutti nascondono la testa sotto il cuscino con il berretto da notte.
Tuttavia vi è una sorta di filo logico nel processo di creazione di quest'ultimi:
"Una delicatissima combinazione di complessi ingredienti è la chiave. Innanzi tutto mettiamo un tantino di pensieri a casaccio e poi aggiungiamo appena una punta di reminiscenze del giorno mischiate con un po' di ricordi del passato...ingredienti per due persone. Amori, relazioni, emozioni e tutte le altre cose che finiscono in zioni; le canzoni ascoltate durante il giorno, le cose che avete visto e altre personali. Ok, forse ce n'è uno"
Vorrei parlare brevemente dei sogni di questo disco, ma la cosa più ovvia a cui posso pensare è quella di suonarlo, risuonarlo ancora ininterrottamente. Sarebbe tuttavia facile e senz'altro una banale scappatoia affermare che il disco si commenta da solo, ma è proprio ciò che avviene, perché questo disco ha eco, rimbalzando per giorni nelle vostre menti, nei vostri sogni.
Eppure è difficile esprimere la musica in modi che non siano musicali e si incappa inevitabilmente a tuffarvici dentro.
A due anni di distanza dal discusso esordio dei The Pains of Being Pure at Heart, i newyorkesi tornano sulla scena indipendente americana con questo nuovo ed aspettato album: Belong.
I nostri non sono cresciuti solo dal punto di vista anagrafico, ma, coaudiuvati dagli innumerevoli tour, hanno maturato un'esperienza tale che li ha portati ad abbandonare quei sentimentalismi forse fin troppo adolescenziali e immaturi dell'esordio in favore di una maggior corposità dei ritmi, un suono che vede una netta e intensa stratificazione che non lascia scampo al respiro dell'ascoltatore.
Senz'altro assistiti dal lavoro in fase di produzione di Alan Moulder, guardacaso già al fianco nel passato di nomi del calibro di Depeche Mode, Erasure, Elastica, The Jesus and Mary Chain, Curve, Ride, Lush o My Bloody Valentine (e la lista potrebbe continuare) e incentivati dallo stesso ad abbandonare quelle linee twee pop dell'esordio, si concentrano a proporci qui arrangiamenti irrobustiti ed energici sia dalla maggior presenza di chitarre sia dallo sfrenato utilizzo di tastiere.
Ma al di là delle disquisizioni prettamente divulgative è ora di procedere con l'ascolto. Il crescendo della titletrack, che con i sinusoidali arpeggi ora jangle ora graffianti, possiede il fascino irresistibile di colpire ed affondare il colpo per poi risucchiare le vostre emozioni. Non è una novità la flebile voce di Kip, forse il loro tratto somatico più caratteristico, fanciullesca e quasi timida si contrappone qui come non mai ai suoni ruvidi e di piglio shoegaze: un vero e proprio elefante in una cristalleria. La propagazione delle onde sonore in Heart in Your Heartbreak, singolo di lancio, non è dissimile da quella dei sogni; questo è indotto a livello subliminale da certi loop - a cominciare dal ritornello ("She was the heart in your heartbreak/
She was the miss in your mistake") - che ti pervadono la mente e lì vi si annidano nei meantri più bui, rimbalzando tra la notte e il giorno.
Parlavamo di ingredienti, i più disparati, che il più delle volte sono soggettivi e variano da persona a persona, si parlava di reminiscenze del giorno e ricordi del passato, si parlava di amori ed emozioni: sono tutte cose che hanno fatto corso in fase di scrittura; potremmo quindi stilare una lista infinita di ingredienti ma ci perderemmo inevitabilmente in un labirinto di proseliti senza via d'uscita.
E' bene comunque andare a sottolineare alcuni riferimenti che hanno se non altro ispirato i nostri, portandoli a compiere salti temporali notevoli.
Ascoltando canzoni come The Body - e basta l'intro - ci vengono subito in mente i New Order e da qui il salto è più lungo della gamba giacchè My Terrible Friends pare essere una In Between Days del 2011. Si agitano qui inquiete le tastiere; il pezzo accelera, rallenta, riaccelera e rallenta di nuovo ed è bello perdercisi dentro.
L'epicità di Even in Dreams, con le sue chitarre che tagliano l'aria, riporta alla luce l'inquietudine e la passione tormentosa degli shoegazer Adorable e le melodie sognanti dei Pale Saints; è sintomatico quanto il martellante ritornello - "Even in dreams i could not betray you" - ti contamini il cervello riecheggiando per giorni.
Distorsioni continue, inni, echi: Girls of 1000 Dreams è pura poesia e puro tempismo, le strofe si incastrano e combaciano perfettamente all'arrangiatura. Il sogno si propaga passando dalla celestiale Too Tough e arrivando alla conclusiva Strange, che con le sue tastiere vagamente curiane svanisce lentamente come in una dissolvenza cinematografica.
Un spettro sonoro che è quindi maturato con il tempo, ma che riesce ancora a regalarci un'infatuazione seria e ragionevole. Una maggior ricchezza ritmica rispetto all'esordio e una pesante colorazione alle vibrazioni cerebrali con cui riecheggiano i dieci pezzi in un sogno che dura sì 40 minuti, ma che lega tutti in quella che dovremmo definire una tacita unione.