Sy Keeler - Vocals
Nige Rockett - Guitar
Andy Rosser-Davies
Jeff Williams - Bass
Steve Grice – Drums
1. Into the Abyss (Intro) 01:01
2. Born for War 05:55
3. The Sound of Violence 04:04
4. Code Black 06:22
5. Rest in Pieces 04:43
6. Godhead 04:50
7. Hatebox 04:52
8. Antitheist 06:32
9. Suicideology 05:13
10. End of the Storm (Outro) 01:31
11. Bomber (Motörhead cover) 02:50
Sounds of Violence
Sounds of Violence marca il traguardo del quinto studio album per i thrasher Onslaught, veri portabandiera del genere nel Regno Unito. La loro formazione ci riporta al 1983 quando il gruppo era ancora fortemente influenzato dal punk/hardcore di quel periodo. Gli anni successivi videro la pubblicazione delle loro due opere magne, a mio modesto parere: Power from Hell (1985) e The Force (1986). L’allora forte influenza esercitata dai Venom si scontrava con l’irruenza del thrash Bay Area e della già succitata corrente hardcore/punk. Una crisi li colpì alla fine degli anni 80, dopo la pubblicazione del più intricato In Search of Sanity (1989) e li portò allo scioglimento. Solo col discreto Killing Peace (2007) il combo britannico ritornò sulle scene.
Le dichiarazioni a proposito del nuovo lavoro erano forti: “Si tratta dell’album più veloce mai composto dagli Onslaught” dicevano alcuni dei membri, tuttavia certe affermazioni sono da prendere con le pinze, siccome, guarda caso, i ritorni più blasonati del genere si vogliono sempre fregiare di tale titolo. Ad ogni modo, tale dichiarazione non è da considerarsi completamente errata giacché Sounds of Violence è un lavoro composto da alcune tracce veloci e taglienti, in puro stile Onslaught anni 80. Tuttavia, come già testimoniato più volte in occasione dei recenti ritorni delle realtà storiche del genere, non è oro tutto ciò che brilla e lo scoprirete proseguendo nella lettura.
Un’introduzione a base di rullate marziali con un tappeto di tastiere fa crescere la curiosità per la prima vera canzone del nuovo lavoro. Born for War esplode in tutta la sua cattiveria con la sezione ritmica a martellare senza sosta, accompagnando riffs schizoidi ed incontrollabili. La voce Sy Keeler (nella band sin dal 1986) è diventata molto più roca in tempi recenti ma anche abrasiva e perfetta per il genere proposto. Non mancano momenti in cui il ritmo si distende leggermente, specialmente nella parte centrale o attimi in cui le vocals si fanno leggermente più pulite. In tali sezioni, in modo particolare, ho riscontrato notevoli influenze dei Testament moderni. Seguono The Sound of Violence e Code Black , trascurabili ma emblematici esempi di thrash modernizzato con forti cariche groove ad appesantire (in tutti i sensi) il sound, facendogli perdere di mordente. Voci filtrate, tempi sincopati e alcuni sprazzi in cui il buon Sy si lancia su di un growl rimandante a Chuck Billy sono gli elemento essenziali di una proposta che comincerà a far storcere il naso ai puristi del genere o semplicemente a chi si ricorda gli Onslaught in un altro modo.
Si prosegue all’ascolto col ritorno alla velocità della sufficiente Rest in Pieces. Gli up tempo ritornano ad accompagnare riffs serrati anche se mancano parti memorabili ed il tutto annega in tanto mestiere. Pur puntando ancora una volta ad influenze post-thrash, Godhead ha almeno il pregio di avere un riff in apertura di indiscusso impatto, il quale rientra sporadicamente man mano che si va avanti nell’ascolto di una canzone fortemente influenzata dall’hardcore. In questa bolgia di down tempo ed influenze che strizzano l’occhio persino ai Darkane è veramente difficile riconoscere i veri Onslaught ma sembra ormai che quasi ogni comeback del genere sia “infettato” da tali sonorità. A tratti Hatebox risulta essere veramente esaltante, tuttavia le influenze moderne sono ancora una volta troppo marcate sino a risultare fastidiose. Ci avviciniamo alla fine del disco con la lunga Antitheist, a tratti arricchita da melodie arabeggianti per quanto riguarda l’arpeggio in tonalità distorta.
Suicideology ci saluta con una carica distruttiva degna di nota, seppur come molti di voi noteranno, sempre supportata da una base moderna del genere. Una sorta di thrash influenzato dalla corrente del Nord Europa degli ultimi anni. Un outro ci introduce (scusate il gioco di parole) all’ultima traccia del disco: la cover di Bomber dei Motörhead con ospiti Phil Campbell & Tom Angelripper. Buona l’esecuzione per un saluto sotto forma di Rock ‘n’ Roll sporco, ma con il tocco pesante degli Onslaught (quelli moderni).
Sounds of Violence è un ritorno che spiazza e non esalta. Si tratta semplicemente dell’ennesima promessa non mantenuta di una storica realtà thrash metal come troppe ce ne sono state recentemente. Sarò stretto di vedute ma non è il modo di fare thrash che piace a me.