- Loic Rossetti - vocals
- Robin Staps - guitar, electronics
- Jonathan Nido - guitar
- Louis Jucker - bass
- Luc Hess - drums
1. Anthropocentric (9:24)
2. The Grand Inquisitor I: Karamazov Baseness (5:02)
3. She Was The Universe (5:39)
4. For He That Wavereth... (2:07)
5. The Grand Inquisitor II: Roots & Locusts (6:33)
6. The Grand Inquisitor III: A Tiny Grain Of Faith (1:56)
7. Sewers Of The Soul (3:44)
8. Wille Zum Untergang (6:03)
9. Heaven TV (5:04)
10. The Almightiness Contradiction (4:34)
Anthropocentric
"[...] And even in these days and age some people still believe that Earth is at the centre of God's own universe and that man was made the 7th day - evolution is a myth - and that even bones of ancient creatures are no evidence of the fact that we are not the end of the chain, and they won't leave their ship that is sinking; they refuse to leave their ship.
[...] The myth that man is the crown of God's creation supports our present anthropocentric misconception."
Dopo aver indagato, appena 6 mesi or sono, le meraviglie della Creazione e le feroci conseguenze derivate dalla loro negazione scientifica in quello che oggi, 31 dicembre, può certamente definirsi vertice assoluto della produzione musicale mondiale di questo misero 2010, ovvero l'affascinante Heliocentric, i The Ocean completano la loro straordinaria opera esplorando con rinato ardore le contraddizioni dogmatiche della Cristianità, le sue velleità reazioniste, la cecità fideista che pone l'uomo e la Terra al centro dell'Universo secondo un progetto divino che ha visto sgretolarsi una dopo l'altro tutte le sue manifestazione terrene. Gli strali feroci del filosofo nichilista Friedrich Nietzsche, i sillogismi retorici del teorico Richard Dawkins o del mentore greco Epicuro in relazione alle contraddizioni fra onnipotenza e onniscienza e onnipotenza e volontà (The Almightiness Contradiction),le concrete perorazioni dello scienziato scozzese David Hume: fra brillanti citazioni ed ispirazioni più o meno malcelate, Anthropocentric si dipana traccia dopo traccia con quella lentezza e quella lucidità che sono proprie di un trattato filosofico, di una dimostrazione matematica, di un saggio breve scritto e interpretato secondo la veste ardita e ammaliante di concept album, in un intreccio luminoso di musica, storia, filosofia, religione e...
...letteratura. Il nucleo fondamentale di Anthropocentric, costituito dai tre lunghi momenti de The Grand Inquisitor, si erge sull'omonimo capitolo del poema storico I fratelli Karamazov, celebre opera del romanziere russo Fedor Dostoevskij, ed in particolar modo sull'accesa conversazione fra i fratelli Ivan, ateo, e Alyoscha, monaco: il primo racconta infatti a quest'ultimo la storia (bizzarra) della Seconda Venuta di Gesù Cristo sulla Terra, nella Siviglia del XVI secolo, durante la quale lo stesso Gesù Cristo sarebbe stato arrestato dall'Inquisizione Cattolica ed il Grande Inquisitore che lo avrebbe interrogato lo avrebbe accusato di aver tradito l'umanità intera privandola della salvezza in cambio dell'offerta di libertà. Quest'ultimo, cruento dialogo rispecchia in un certo senso la conversazione precedente fra i 2 fratelli Ivan e Alyoscha, "che per la maggior parte è un monologo di Ivan - sottolinea il creatore, compositore e chitarrista dei The Ocean Robin Staps - ed è così complesso e profondo che vi si potrebbe trovare ispirazione per almeno una decina di concept album sulla Cristianità".
Dinanzi a questa straripante ricchezza culturale, entro la quale la band tedesca pare muoversi con estrema naturalezza e disinvoltura lasciando giustamente trasparire anche un pizzico di sano autocompiacimento, le scelte musicali passano erroneamente in secondo piano. Al contrario, anche sotto questo profilo i The Ocean si pongono all'avanguardia assoluta e, con abile alchimia, riescono a superare sé stessi e i limiti relativi ai propri generi di riferimento senza incorrere in sperimentazioni fini a sé stesse o manierismi auto-indulgenti: sludge, post-hardcore, post-rock, più semplicemente post-metal, Anthropocentric alterna lunghi episodi di crudeltà ferina a brevi intermezzi di delicatezza angelica (For He That Wavereth...), per la maggior parte orchestrati da chitarre acustiche, non più da pianoforte o sezione d'archi come accadeva invece nel precedente Heliocentric. Registrato e mixato allo Studio Mecanique in La-Chaux-de-Fonds, in Svizzera, e masterizzato ad Helsinki da Svante Forsback, esattamente come Heliocentric, Anthropocentric risulta, nella sua altera complessità, decisamente più corposo e pesante del suo predecessore, "più denso e forse persino più grezzo" se riprendiamo i termini esatti del chitarrista Jonathan Nido, e allo stesso tempo meno aulico, meno etereo, meno soffice e voluttuoso ma, parola di Robin Staps, "più terreno e (biologicamente, n.d.r.) organico": è la natura umana ad esigere un approccio più rude, più duro, più rigido e forse incostante, così come era l'inconsistenza fisica del cosmo intero ed il suo fascino distante e ineluttabile, con quella sua sensualità oscura e sottile a pretendere la dolcezza intermittente e la determinazione riottosa di Heliocentric.
A differenza di quest'ultimo, del resto, Anthropocentric risulta decisamente più scarno e paga l'assenza quasi totale di pezzi immediatamente identificabili e riconoscibili quali Firmament o Swallow By The Earth: ad eccezione, per l'appunto, del primo singolo estratto She Was The Universe, tutti gli altri episodi si richiamano sì reciprocamente seguendo un filo logico predeterminato, quasi alla stregua del modello antico dei dialoghi platonici o, per richiamarci ulteriormente ad Heliocentric, di Galileo Galilei, ma richiedono uno sforzo nettamente superiore ai casi precedenti per essere effettivamente assimilati e compresi e talvolta vanno incontro a pause improvvise che lasciano ahinoi un forte amaro in bocca. Inoltre, a tutto discapito dell'elevatissima qualità complessiva, va segnalata la presenza scomoda di un momento a nostro avviso deludente qual è Sewers Of The Soul, buco nero che, al di là della divertita metafora citazionista, non era assolutamente presente all'interno di Heliocentric. La sensazione finale, pertanto, è quella di un lavoro al solito raffinato, squisitamente pregevole e ricco ma, allo stesso tempo, forse incompleto, un poco approssimativo, sicuramente meno ammaliante dell'illustre predecessore. Detto ciò è bene chiarire che, al di là di queste poche critiche costruttive, ci troviamo di fronte ad una assoluta eccellenza: i The Ocean sono senza ombra di dubbio la band rivelazione di questo avaro 2010 e tanto Heliocentric quanto Anthropocentric si ergono a nuovi pilastri di un genere affascinante e dalle potenzialità ancora inesplorate qual è il post-metal che, dopo aver perso i capostipiti Isis, aveva certamente bisogno di nuovi e validi interpreti; un'eredità pesante e una sfida ardua che i The Ocean hanno saputo meritare, accettare e, grazie a queste due opere totali, vincere.