Voto: 
8.0 / 10
Autore: 
Stefano Puccio
Etichetta: 
Jester Records
Anno: 
2003
Line-Up: 

- Czral (Eide) - chitarra, voce
- Plenum - basso
- Esso - batteria

Guests:
- Aggie Peterson e Kristoffer Rygg (Ulver) - voci in Queen of the Hi-Ace
- Øyvind Hægeland (Spiral Architect e Arcturus) - voce in Hustler

Tracklist: 

1. Something Furry This Way Comes
2. Carheart
3. Queen of the Hi-Ace
4. Road
5. Gum Meet Mother
6. Dogs With Wheels
7. It's All Gone Weird
8. Kennel Crash Recovery
9. Hustler
10. Bandit
11. Be Elevator
 

Virus

Carheart

Dire Virus essenzialmente equivale a nominare Carl-Michael Eide, uno dei personaggi di maggior rilievo nell'odierno panorama avant-garde, nonché uno dei più originali. L'esperienza da musicista di Eide, anche conosciuto come "Czral" o "Aggressor", ha inizio e si consolida in Norvegia lungo tutto l'arco degli anni '90, in cui collabora come batterista con svariati gruppi black metal; tra questi i Satyricon, gli Aura Noir, gli Ulver (con i quali partecipa alla realizzazione del solo demo Vargnatt) ed i più sperimentali Dødheimsgard. È però nel 1993, con la fondazione dei Ved Buens Ende assieme al chitarrista Yusaf Parvez, che ha inizio quel processo che porterà Eide ad evolvere il proprio sound in qualcosa che trascende il mero black metal.
Il progetto nasce senza molte pretese ma nel 1995 vede comunque la luce ―dopo alcuni demo― il loro unico full-length Written in Waters: uno degli esempi di come fosse possibile abbattere le barriere di un genere che in poco tempo sarebbe arrivato altrimenti al totale collasso.
L'album ―probabilmente troppo all'avanguardia per il periodo e quindi degnato di poche attenzioni― presenta difatti, dietro ad un'intelaiatura di stampo comunque propriamente black metal, riff ipnotici ispirati allo stoner ed una struttura intricata dei brani, corredati da dissonanze tipiche del noise ed elementi jazzistici. Nonostante il gruppo (dopo varie vicissitudini e dissidenze interne) decise di sciogliersi, fu questa particolare esperienza però a consentire ad Eide di porre le basi di quella che nel 2000 nascerà come sua personale creatura, appunto, i Virus.

Dopo essersi assicurato la collaborazione di Petter "Plenum" Berntsen ed Einar "Esso" Sjursø (rispettivamente al basso ed alla batteria), con i quali aveva già suonato nei Ved Buens Ende, nel 2003 pubblica l'album d'esordio: Carheart è la piena espressione della creatività e follia di un artista che fino a quel momento aveva sempre dovuto fare i conti con idee diverse dalle sue, più o meno estreme che fossero, e che trova adesso la giusta dimensione per metterle in atto in un formato praticamente unico.
L'album rappresenta la naturale evoluzione delle idee espresse in Written in Waters, con il particolare non poco importante che la componente black metal in esso contenuta viene totalmente epurata in favore di una maggiore libertà nella forma e di una maggiore dose di sperimentazione sonora; il tutto è immerso in un'atmosfera onirica, surreale e a tratti malsana e tutti i brani sono caratterizzati dall’essere refrattari ad alcun tipo di evoluzione: rappresentano quasi dei fotogrammi, ritornando continuamente sui loro passi in maniera ossessiva.
La sua struttura complessiva risente in buona misura dell'influenza dei Jesus Lizard di Goat e non a caso a far da protagonista è certamente la chitarra, suonata da Eide quasi nello stile del quartetto di Chicago, seppure con un suono più corposo e pesante e una maggiore varietà stilistica. Viene tessuta una numerosa serie di riff, dai più dissonanti e puramente noise ai più psichedelici, fino a sfiorare in alcuni casi il jazz; non per questo però la sezione ritmica ha un ruolo secondario: infatti il basso, seppur si distacchi raramente dalle linee di chitarra, è molto marcato e contribuisce a mantenere la sensazione d'inquietudine che trapela perpetuamente col suo pulsare frenetico; la batteria, che nei Ved Buens Ende si lasciava andare in blast beat piuttosto anonimi, è adesso legata a ritmiche prevalentemente jazzistiche... il tutto è condito dall'inserimento di rumori ambientali che conferiscono in alcuni casi l'effetto collage.
Altro particolare importante è la voce di Eide: lo stile di canto in quest'album è decisamente personale e vede alternate parti semplicemente parlate in tonalità molto basse ―e quasi irritanti― a latrati di sofferenza ed ancora ad esplosioni di schizofrenia, ma in ogni caso con un’aria fortemente stralunata. 


L'introduzione spetta a Something Furry This Way Comes (parafrasi di una famosa frase del Macbeth), breve traccia costituita da vari rumori tra cui distinguiamo quello di pneumatici sull'asfalto bagnato dalla pioggia, che, estinguendosi in un flebile vagito di sax, introduce l'ascoltatore al viaggio che sta per intraprendere.
Anche il successivo Carheart si apre (come poi succederà anche in seguito) con uno stacco rumoristico, rotto però immediatamente da una bislacca sezione ritmica che fa da tappeto all'incombere della chitarra dissonante, creando un perfetto background per il cantato-parlato di Eide, ossessivo e malato.
Sulla stessa scia, Queen of the Hi-Ace mostra un riffing più articolato, accompagnato da un convulso battere di mani quasi a metà brano e una maggiore apertura alla melodia vocale; complici le voci di Kristoffer Rygg (in prestito dagli Ulver) e di Aggie Peterson in sottofondo. Non esclude certo alcuni momenti più "riflessivi" che non mancano però delle solite dissonanze.
Questi due brani, contraddistinti comunque dal medesimo ritmo sostenuto, portano ad uno degli episodi più particolari dell'intero platter: la strumentale Road, imperniata su due semplici ma efficacissimi riff dal sapore psichedelico. Essa mostra una base ritmica vicina al jazz; l'incedere lento e solenne già dall'inizio diventa successivamente quasi funereo, fino a quando la musica si dilegua nel nulla dal quale era scaturita―definire questo episodio ipnotico è dir poco.
La successiva Gum, Meet, Mother è di contro uno degli episodi più tecnici dal punto di vista strumentale. In questa traccia, il riff principale è probabilmente il più articolato dell'intero album; l'intreccio di basso e chitarra fa da tappeto sonoro al cantato basso e malato di Eide, mentre la batteria svolge un egregio lavoro su ritmi ora di nuovo elevati.
Tra due brevi intermezzi umoristici, ovvero Dogs with Wheels (stoviglie, il rombo di un motore, una caffettiera in ebollizione) e Kennel Crash Recovery (ancora un'automobile, cani che abbaiano…), che riprendono quello introduttivo, si staglia It's All gone Weird che ricalca in un certo modo lo stile dei primi brani: è difatti ricco di momenti ipnotici e decisamente astrusi che sono ormai il marchio di fabbrica Virus.
Si arriva così a Hustler, diversa dalle precedenti; stilisticamente parlando, è quasi jazz fusion sfondo allo spezzone di un film incastonato quasi a metà della sua durata rendendo la musica un accompagnamento e mostrando un piglio collagistico.
L'album giunge così alla coppia conclusiva Bandit e Be Elevator; la prima, contraddistinta dai soliti ritmi spezzati e dall'utilizzo di un sintetizzatore, ma differente dal resto per un'atmosfera leggermente meno insana, rappresenta l'ennesimo esempio dell'inesauribile fantasia compositiva del gruppo; l'ultima, la traccia più lunga dell'album, fa da "zibaldone" delle diverse ed originali soluzioni fino a quel momento mostrate, facendo dell'ossessività la sua caratteristica principale... fino a decomporsi, ponendo fine a questa parata della stravaganza.

Si conclude così Carheart, album apparentemente non molto ostico, data la semplicità strutturale; freddo ad un primo impatto, ma che può dare assuefazione quando si è entrati pienamente nella sua ottica. A sette anni del suo rilascio non ha ancora ottenuto i dovuti meriti passando in sordina o messo via troppo frettolosamente, sarà probabilmente fonte di ispirazione alla quale molti attingeranno invece, una volta che verrà a dovere rispolverato e se vogliamo rivalutato. Sicuramente un'opera anticonvenzionale.

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