Voto: 
7.4 / 10
Autore: 
Corrado Penasso
Genere: 
Etichetta: 
Metal Blade Records
Anno: 
2010
Line-Up: 

- Martin van Drunen – vocals
- Paul Baayens – guitar
- Stephan Gebedi - guitar
- Theo van Eekelen – bass
- Ed Warby – drums
 

Tracklist: 



1. The Eve Of Battle 01:06 
2. Operation Z 04:37 
3. The Mukden Incident 04:12 
4. Strategy Of Attrition 04:57 
5. Full Scale War 05:19 
6. Guadalcanal 03:25 
7. On Choral Shores 05:10 
8. Unsung Heroes 05:14 
9. Tokyo Napalm Holocaust 05:20 
10. Kamikaze 04:27 
11. To Bear The Unbearable 04:16  

Hail of Bullets

On Divine Winds

Fondati nel 2006 ed al loro secondo disco dopo l’acclamato debutto …Of Frost and War, tornano i deathsters Hail of Bullets. On Divine Winds è il nome del loro nuovo lavoro che ce li ripropone in forma, anche se, a parer mio, non ai livelli del precedente album. Van Drunen lo ritroviamo dietro al microfono ancora una volta, a deliziarci con il suo timbro marcio e soffocante mentre la registrazione segue grosso modo quella utilizzata per il debutto del 2008 e pure gli strumenti si rifanno alla classica linea del death metal puro e crudo. La distorsione delle chitarre rimanda inevitabilmente alla scuola Svedese, mentre il riffing vero e proprio mostra ancora una volta influenze ben radicate di bands quali Autopsy e Bolt Thrower.

Le tematiche affrontate da parte del gruppo chiamo in causa ancora una volta i conflitti bellici della Seconda Guerra Mondiale, spostando questa volta l’analisi sulla cruenta battaglia del Fronte Orientale. Il titolo rimanda al “Vento Divino” dei kamikaze giapponesi che attaccavano l’esercito americano con leggeri aerei caricati di esplosivi affinché lo schianto potesse fare più danni possibili alle portaerei nemiche. La musica su questo disco vuole essere un riflesso delle tematiche belliche qui proposte e lo è attraverso canzoni corpose, ricche di varie strutture e cambi di tempo, anche se si nota la mancanza di una vera e propria hit che possa farsi notare sulle altre composizioni. Certo, il disco annovera composizioni sincere, votate al genere nella sua versione più cruda e sfacciata e sicuramente create con tanto mestiere; tuttavia manca in più parti quel quid che possa veramente far decollare appieno il disco.

Diciamo pure che i quasi cinquanta minuti di disco scorrono piacevolmente, anche se sarebbero potuti essere sviluppati meglio affinché non si arrivasse a considerare il disco nella sua totalità. Ma così è. On Divine Winds si distingue per essere classico lavoro da prendere per quello che è: una sorta di concept su una specifica battaglia all’interno dello scenario della Seconda Guerra Mondiale. Le strutture delle canzoni spesso alternano rallentamenti doom a ripartenze che al massimo si stazionano su up tempo e persino il fatto di annoverare quasi sempre un finale “sfumato” sostiene questa mia tesi, come a voler dare una sensazione di continuazione tra una composizione e l’altra. Come detto in precedenza, lo stile musicale vuole sempre seguire in qualche modo i testi narranti le battaglie e tra tutte le canzoni possiamo citare la veloce Operation Z, descrizione dell’attacco a Pearl Harbour. La voce di Martin è plumbea ma anche incredibilmente graffiante, mentre le chitarre si destreggiano molto bene tra riffs diretti e linee soliste dal retrogusto melodico ma sempre contraddistinte da un tocco drammatico.  

Più ragionata e votata al massimo al tappeto di doppia cassa la successiva The Mukden Incident, la quale, attraverso il suo riffing in tremolo mostra anche accenti epici notevoli, per proseguire con i rallentamenti doom alternati ad up tempo dell’avvolgente e drammatica Full Scale War. L’altrettanto plumbea On Choral Shores descrive alla perfezione, anche musicalmente, lo sbarco dei marines su di un’isola del Pacifico anche se alcuni momenti di fiacca fanno la loro comparsa qua e là, specialmente in occasione dei riffs in tremolo. Assolutamente da citare l’atmosfera ricreata in occasione di Tokyo Napalm Holocaust, vero macigno che viaggia su tempi doom al fine di riversare sull’ascoltatore tutta la sua carica angosciante che deve possedere perché descrizione dei bombardamenti sulla città nipponica e la ferale Kamikaze, forse tra le canzoni più veloci del disco con gran lavoro da parte dell’ormai mitico Ed Warby. In chiusura troviamo i rallentamenti doom con atmosfere surreali di To Bear The Unbearable a mettere il sigillo ad un buon lavoro.

Gli Hail of Bullets si riconfermano come una delle migliori realtà in campo estremo e fa sorridere (o inquietare) constatare che, come ormai avviene nella maggior parte dei casi, dietro a questi progetti ci siano solo più persone con tanta esperienza nel campo. Come se alle nuove leve non importasse più nulla il fatto di suonare death metal puro, incontaminato. Sarà anche un cambiamento naturale nel ciclo vitale del metal estremo, tuttavia niente può togliere il piacere di ascoltare certi dischi fatti ancora con una certa passione e grinta.  
 

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