Voto: 
7.5 / 10
Autore: 
Alessandro Mattedi
Genere: 
Etichetta: 
Prosthetic
Anno: 
2010
Line-Up: 

- Phillip Cope - guitar, vocals
- Laura Pleasants - guitar, vocals
- Corey Barhorst - bass, vocals
- Eric Hernandez - drums
- Carl McGinley - drums

Tracklist: 

1. Tired Climb
2. Cheating Synergy
3. Drop Out
4. Crowded Road
5. Don't Look Back
6. Distance Closing In
7. To Forget
8. Forsaken
9. Spiral Shadow
10. Back and Forth
11. Dust

Kylesa

Spiral Shadow

Dopo a malapena un anno dal riuscito e acclamato Static Tensions ritornano i Kylesa, ormai stabilmente affermatisi fra il pubblico di appassionati dello sludge metal, con il loro quinto album studio in 9 anni, intitolato Spiral Shadow.
Si tratta di un disco che è la naturale evoluzione del suo predecessore, con una produzione densa e ruvida per ricreare delle suggestive atmosfere secche abbinandole ala grinta ed al carisma del loro distintivo stile.
Rimane però un album fondamentalmente orecchiabile, come testimonia anche l'ossatura dei brani, lineari e con ritornelli catchy, anche antemici alle volte, e dagli arrangiamenti essenziali, per renderli tutti diretti e facilmente assimilabili riavvicinandosi in ciò sempre al loro retaggio hardcore punk.
Nel complesso però in realtà è un disco non molto punk-oriented bensì relativamente ancor più psichedelico e vicino ai Baroness, con un approccio chitarristico che si fa più variopinto e facente ricorso a più effetti, ma senza rinunciare alla giusta dose di riff indomabili, vicini sia allo stoner per la corposità di certe melodie vagamente kyussiane che al noise rock dei Sonic Youth per l'asperità e ai Fugazi più hardcoreggianti per l'intensità.
Le linee vocali sono più equilibrate, dal canto tendenzialmente più dosato, in linea con l'atmosfericità di fondo dovuta alle crescenti, man mano che si procede con la tracklist, infiltrazioni settantiane di psichedelia pesante, ma bisogna fare un discorso a sè per la voce della Pleasants: suadente e avvolgente, tuttavia a volte tende ad essere un po' piatta, rispetto agli altri due cantanti ed i suoi interventi sono più riusciti quando accompagna la melodia portante della canzone, apparendo invece  più deboli e meno espressivi quando si posizionano in primo piano.
Infine, notevole è soprattutto la sezione ritmica, con bassi dinamici che pervadono i brani ed un supporto della doppia batteria ancora più versatile, senza impegnarsi in poliritmi intricati ma piuttosto per ricreare un piglio intenso, frizzante, con anche occasionali stacchi quasi tribali.

Feroce come gli Alice in Chains ma suggestiva come i Neurosis, l'iniziale Tired Climbing inizia con delle percussioni esotiche che rapidamente cedono il passo ad un aggressivo attacco di chitarra metallica e a sguaiate vocals hardcore. Intenso e micidiale, un anthem epico fra distese di sabbia e albeggiare rossastro.
Si prosegue con Cheating Synergy, introdotta da tastiere atmosferiche dal sapore spaziale e come consueto interrotte bruscamente da veloci ritmiche uptempo e riff ipnotici, mescolado melodismi metal e grinta punk rock.
Con la cadenzata Drop Out abbiamo un maggior numero di distensioni che rendono la musica pesante e incessante, non c'è una particolare via di distinzione fra versi e ritornelli il che rende la canzone ancora più ipnotica.
Per contro in Crowded Road ci sono molte più variazioni, influenzate dal doom per oscurità e gravità, ma anche dallo space rock in dosi minori.
Don’t Look Back è molto diretta e immediata, praticamente radiofonica; Distance Closing In viene introdotta da ritmiche tooliane a cui fanno seguito un continuo mescolarsi di avvolgimenti psichedelici da desert rock e fraseggi più monolitici, tra i risultati migliori dell'album.
La successiva To Forget, completamente con la voce femminile, è forse l'episodio più stoner e psichedelico dell'album, ma la corposità avvolgente delle melodie viene penalizzata da un po' di monotonia di fondo.
Ora c'è l'alienante e breve Forsaken, con canto quasi spettrale, batteria intricata ed intensa, riff ripetuti e allucinogeni a metà fra Black Sabbath, Cathedral e Melvins.
L'introduzione melodica ed effettata della lunga titletrack non lascia intuire le variazioni ritmiche della batteria spiazzanti e coinvolgenti; è la canzone meno cantata, il che consente alle atmosfere psichedeliche di prendere nuovamente il sopravvento in un excursus negli anni '70 emozionante, arrivando a toccare persino Pink Floyd e Led Zeppelin.
Back and Forth è forse la più punkeggiante e anche la più vicina ai Sonic Youth, ma suona sbiadita e derivativa in confronto alla conclusiva Dust, più distesa e atmosferica, con un massiccio sound stoner che ricrea il tipico mood in un compendio delle tendenze più psych del gruppo.

Forse non sono ancora entrati nell'olimpo della musica, ma il titolo di onesta band che scrive bei dischi se lo sono ampiamente meritato, perché fra gli attuali alfieri del metal psichedelico i Kylesa di certo non sono i primi arrivati, ma ne sono probabilmente fra i migliori interpreti odierni.

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