- Jaz Coleman - vocals
- Kevin "Geordie" Walker – guitar
- Martin "Youth" Glover – bass guitar
- Paul Ferguson – drums
1. Absolute Dissent
2. The Great Cull
3. Fresh Fever from the Skies
4. In Excelsis
5. European Super State
6. This World Hell
7. Endgame
8. The Raven King
9. Honour the Fire
10. Depthcharge
11. Here Comes the Singularity
12. Ghost of Ladbroke Grove
Absolute Dissent
Absolute Dissent è il quattordicesimo album studio dei Killing Joke, primo dopo ben 28 anni a presentare la line-up originale del gruppo dato il rientro del bassista Martin "Youth" Glover e del batterista Paul Ferguson.
Album monolitico e aggressivo, i testi approfondiscono tematiche geopolitiche e sociali, mentre la musica, seguendo la scia degli ultimi album secondo un coerente percorso evolutivo, è un rock diretto e abrasivo, sporcato da un'attitudine punkeggiante (quasi thrashy in certi momenti, con spunti simil-metal ereditati da Killing Joke 2003) e dal piglio "grezzone".
Rabbioso, deciso e schiettamente up-to-face, Absolute Dissent soffre però come negli ultimi dischi una tendenza a riscaldare un poco la pietanza, forse indice di una prevedibile stanchezza compositiva, anche se di certo sarebbe assurdo aspettarsi innovazioni nella loro proposta; ma più precisamente le 12 canzoni tendono dopo un po' in certi frangenti ad essere leggermente ripetitive nei momenti più heavy e chitarristici, i quali con tutta probabilità avrebbero potuto essere maggiormente contaminati da infiltrazioni elettroniche e tonalità goth-wave senza rinunciare all'attitudine rocker. In ogni caso facendo così si risaltano le interessanti e gustose variazioni sul tema che fanno capolino ogni tanto fra i pezzi, inoltre ciò non impedisce che figurino ritornelli da intensità sfrenata in sede di concerto e anthem trascinanti.
L'inizio dell'album è grintosamente in linea con quanto detto sopra.
La trascinante titletrack è forse l'episodio più esplosivo e metallico di tutti, fortemente incalzante, seguita da The Great Cull e dalla più punk Fresh Fever From the Skies dove risaltano soprattutto i bassi di Youth, la canzone che si nota più di tutte in questa parte è però In Excelsis, con quello che forse è il ritornello più antemico dell'album adagiato su muri di chords distorti e riempimenti tastieristici abbinati a linee vocali rauche e ruvide.
La sezione ritmica è dinamica e decisa, anche in European Super State dove però riprende ritmi ottantiani da disco-pop accompagnati da spruzzate quasi hard house e spunti elettronici liquidi e notturni che, mescolati all'approccio riffocentrico e rock-oriented, ricordano vagamente certe cose dei Laibach.
A questo punto l'album scorre nella sezione centrale un po' senza lode e senza infamia, svolgendo il compito egregiamente ma senza incidere più di tanto: l'allucinogena This Is Hell che rimescola Godflesh e Melvins, l'industrial rock/garage a metà fra Rammstein, Black Sabbath e onnipresenti Motörhead di Endgame, la tenue ballata The Raven King (ispirata dallo scomparso bassista Paul Raven, morto nel 2007 e che per oltre due decenni aveva accompagnato la band) che se fosse un po' più compatta potrebbe essere ben posta di fianco alle parentesi più malinconiche dei Fear Factory, la cadenzata ed atmosferica Honour the Fire con il suo mix di riff caustici e linee vocali malinconiche.
La sensazione è che si tratti di un recap con poche ambizioni, se non quella di suonare d'impatto soprattutto in sede live, e dopo un po' ne risente la freschezza dei pezzi, non longevissimi e nei quali magari si potevano espandere maggiormente i pochi spruzzi dark ed elettronici.
L'industrial/punk/stoner furioso di Depthcharghe e il punk rock corrosivo di Here Comes the Singularity sono comunque pezzi divertenti e taglienti, prima della conclusiva Ghost of Ladbroke Grove che, fra echi Public Image Limited e liquidi bassi dub, ricrea una suggestiva atmosfera notturna a metà fra il noir più soffuso e la decadenza post-industriale.
In conclusione, si tratta di un lavoro duro, diretto, essenziale, esente da tecnicismi e certo divertente, con diversi pezzi che potrebbero diventare inni nei concerti, ma anche a tratti un po' prevedibile e senza reali picchi che decollino in maniera netta, facendo livellare tutti i pezzi su di uno standard tutto sommato accettabile ma non di più e che non cattura l'attenzione più di tanto togliendo longevità al full-lenght.
Ciò non vuol dire che il gruppo sia in crisi d'ispirazione, anzi sembra più probabile che i Killing Joke siano in forma e pronti per proseguire in futuro con lavori ancora più efficaci, ma Absolute Dissent è probabilmente più consigliato agli instancabili delle sue sonorità nude & crude: in questo senso l'album è un discone e promette di soddisfare il palato, per gli altri invece probabilmente dopo un po' l'appetito rimarrà.