- Malfeitor Fabban - Basso, Voce, Synth
- Paolo "Hell:I0:Kabbalus" Pieri - Chitarre
- Bård G. "Faust" Eithun - Batteria
Guests:
- Karyn Crisis - Voce
- Narchost - Chitarra
- Pete Michael Kolstad Vegem - Chitarra
- Giulio Moschini - Chitarra
- Emiliano Natali - Basso
- Marcello Balena - Sassofono
- Richard K. Szabo - Samples
- Davide Tiso - Samples
1. I
2. II
3. III
4. IV
5. V
6. VI
7. VII
8. VIII
9. IX
10. X
Psychogrotesque
Psychogrotesque segna il ritorno sulla scena degli italiani Aborym, band famosa nel panorama estremo per via della loro personale proposta basata sul connubio di black metal, industrial ed elettronica. Dopo una serie di cambi di line-up - che hanno visto anche l'allontanamento dal gruppo del chitarrista classico della band, Nysrok Infernalien Sathanas -, il trio, ora formato dal batterista degli Emperor Bård G. "Faust" Eithun, il chitarrista Paolo "Hell:I0:Kabbalus" Pieri e il bassista/vocalist Malfeitor Fabban, prosegue la propria avventura sotto la label Season of Mist, pubblicando il quinto capitolo discografico di un gruppo che ha fatto della depravazione e del decadimento dell'uomo nella musica il proprio cavallo di battaglia.
E questo lavoro non rappresenta un capitolo d'assestamento. In piena tradizione Aborym, la band ha cerca di non ripetere ulteriormente idee già espresse in precedenza, esplorando nuove vie e portando avanti il loro percorso di maturazione. Ciò non vuol dire comunque che rinneghino totalmente il loro passato (e anzi, riprendono molti aspetti del loro sound leggermente messi da parte con il precedente Generator, tra i quali un impiego più massiccio dell'elettronica): gli Aborym con questo Psychogrotesque tornano con un lavoro pieno di idee, supportati da una produzione all'altezza delle abilità del gruppo e che enfatizza ulteriormente i loro concept sull'alienazione dell'uomo nella società post-industriale.
L'album si tratta fondamentalmente di una traccia unica suddivisa in dieci movimenti, tutti legati l'uno all'altro in modo naturale per non spezzare il filo conduttore che unisce tutte le composizioni. Aperto da I, un'intro di circa due minuti basata su un suono disturbante della chitarra e da rumori inquietanti, gli Aborym partono subito con il violento attacco di II, dove vengono mostrate la perizia tecnica, la precisione e la freddezza calcolata dell'esecuzione che hanno distinto la band fin dagli esordi.
Si tratta di un black/industrial violento e veloce, supportato da una produzione decisamente di qualità, che risalta sia la componente metal che gli inserti elettronici; nella sezione finale il basso si fa spazio per introdurre l'ascoltatore a III, che prosegue sulla scia del brano precedente seppur accentuando gli elementi elettronici. Con la parentesi depravata di IV, in cui i sussurri di Fabban adagiati su un tappeto oscuro e inquietante descrivono scenari desolanti e raccapriccianti per rappresentare l'aridità umana, si passa alla spiazzante V che, aperta da un'intro di sassofono ben amalgamata al tessuto musicale, mostra una band capace di spaziare dal black metal più becero alle atmosfere più inquietanti nel solito pezzo.
Ancor più interessante è il sesto movimento, dove i synth ricoprono un ruolo predominante fin dall'apertura in blast beat e tremolo picking, per poi costruire una base su cui si possa esibire nuovamente il sassofono in un assolo accattivamente e quindi accompagnare i momenti più industrial. Concluso il brano con un inaspettato canto operistico, VII approfondisce i momenti più estremi del sound di Psychogrotesque, come dimostrano i velocissimi assoli e i blast beat, mentre VIII, legata alla conclusione del movimento precedente, si tratta di un pezzo dalla forte matrice techno in cui gli elementi più metal vengono messi da parte.
Neanche in IX è ripreso l'aspetto più violento della musica degli Aborym, proseguendo su un industrial alienante venato da influenze techno, che ritorna pienamente solo con l'ultimo capitolo X, il brano più lungo del platter, summa totale delle idee mostrate nell'album, dove sono presenti i blast beat, gli assoli di chitarra ora melodici e virtuosi ora più veloci e ignoranti, gli inserti di synth, i momenti più struggenti e desolanti che hanno caratterizzato la musica di Psychogrotesque fin dai primi minuti. Dopo vari minuti di silenzio, una ghost-track dal sapore industriale e alienante chiude definitivamente il gradito ritorno degli Aborym.
Psychogrotesque è senza dubbio un bell'album, che riesce a mostrare una band capace di osare scelte nuove (anche grazie alla presenza di un numero impressionante di ospiti che rendono molto più vario il disco) e rinnovarsi, riuscendo a superare qualitativamente il precedente Generator - ma senza raggiungere le vette di maturità di With No Human Intervention - e a sfornare un nuovo capitolo discografico che soddisferà sicuramente sia i fan della band che gli estimatori della scena estrema più sperimentale e contaminata.