- Arve Henriksen
- Helge "Deathprod" Sten
- Ståle Storløkken
- Jarle Vespestad
1. 11.1
2. 11.2
3. 11.3
4. 11.4
5. 11.5
6. 11.6
11
Non molto tempo dopo la pubblicazione di 10 i Supersilent rilasciano un altro album, intitolato (a sorpresa) 11 e accompagnato da una copertina particolarmente inedita per il gruppo visto che questa volta è addirittura color rosso-arancio.
L'uscita è la prima esclusivamente su vinile per l'ensemble norvegese, ed in realtà non consta di materiale nuovo ma di inediti di cinque anni provenienti dalle sessioni di 8 - e quindi con ancora Jarle Vespestad in formazione.
Ritroviamo quindi un'anima funk e free jazz a fare da ossatura nella maggior parte del disco, variopinto e riccamente contaminato (elettronica giocosa e spensierata, spunti a metà fra fusion e prog jazz, distensioni da chamber music, droni digitali vicini a certo kraut, parentesi ambientali).
L'iniziale 11.1 è un po' il biglietto da visita del disco con percussioni elastiche e frenetiche, accanto a bollicine elettroniche sposate ad un'attitudine da jam che rende il tutto molto fluido, anche se alla lunga stanca un po' nel suo ribadire uno sperimentalismo che ormai suona un po' forzato.
11.2 è invece un mesto e minimale brano notturno dove solo il malinconico sassofono emerge dal silenzio come uno spiraglio di luce nel buio, con soli piccoli inserti atmosferici di contorno a rendere il tutto più suggestivo. Si tratta però solo di una parentesi.
La successiva 11.3 percorre il sentiero opposto e si diverte a disassemblare e riassemblare suoni cacofonici e campionamenti meccanici, sfortunatamente senza incisività e suonando anzi abbastanza piatta.
Il risultato è migliore nell'ambient-jazz di 11.4, con interessanti giochi ritmici e melodie spaziali d'altri tempi, fino a sublimare nel finale in un vortice sonoro che richiama le suite prog/kraut anni '70.
La breve 11.5 è solo un intermezzo ambient che stempera i toni prima della schizzata 11.6, che inizia in maniera relativamente pacata con leggera batteria jazzata e elettronica alienante, per poi scoppiare in un voluto caos dissonante di droni industriali, bassi funky e spirito vicino al jazz rock.
Non è certo una brutta uscita e si apprezzano molto sia diversi spunti interessanti sia lo spirito d'improvvisazione e l'eclettismo del gruppo; ma si tratta di un album alla lunga poco longevo, che a volte si perde un po' nel suo stesso essere mesmerizzantemente dinamico, ed un po' troppe volte finisce per suonare eccessivamente ridondante e fine a sè stesso.
Chi ha adorato i precedenti capitoli discografici di Helge Sten & soci troverà sicuramente molti elementi da apprezzare, ma siamo lontani dall'eccellenza di dischi come 6.