- Mikko Aspa - voce
- Hasjarl - chitarra
- Khaos - basso
Nota: il resto della line-up non viene dichiarato.
1. Epiklesis I
2. Wings of Predation
3. Abscission
4. Dearth
5. Phosphene
6. Epiklesis II
7. Malconfort
8. Have You Beheld the Fevers?
9. Devouring Famine
10. Apokatastasis Pantôn
Paracletus
Dopo la pubblicazione del maestoso e sorprendente "Si Monumentum Requires, Circumspice", che aveva dato una scossa allo stagnante movimento del black metal contribuendo ad abbatterne i clichè, sia dal punto di vista sonoro che tematico, e del successivo "Fas - Ite, Maledicti, in Ignem Aeternum", con il quale evolvendo nuovamente il proprio sound si confermavano come una delle band di punta della scena, i francesi Deathspell Omega tornano dopo tre anni con l’attesa quinta fatica in studio, nonché terzo ed ultimo capitolo dell’ambizioso progetto di una trilogia di concept album basati sul rapporto Dio/Uomo/Satana comprendente già i sopracitati lavori.
Anche questa volta tra i musicisti che prendono parte all'opera vengono allo scoperto i soliti Mikko Aspa in voce primaria ed il chitarrista Hasjarl, ai quali si aggiunge anche il bassista Khaos. Il resto dei componenti (sempre che esista) invece, rimanendo nell'ombra, continua ad alimentare l’alone di mistero che già ricopriva la band e che ne rappresenta ancora oggi uno dei punti di forza -basti considerare anche l’approccio filosofico-religioso agli argomenti trattati nei testi- ma quello su cui è necessario porre maggior attenzione è però ciò che riguarda la loro nuova proposta musicale:
Paracletus rappresenta infatti l’ennesima prova delle capacità di questa act di rinnovarsi ad ogni uscita, senza per questo snaturarsi eccessivamente con sperimentazioni sterili o perdere quelle caratteristiche che hanno fatto dei precedenti lavori brillanti esempi di un azzeccato connubio tra caos, atmosfere apocalittiche - richiamanti il mood tipico degli Immolation -, sapienti trame melodiche e pura violenza.
Se gli ultimi EP e split datati 2008 (in particolare il mini "Veritas Diaboli Manet in Aeternum") mostravano la volontà di spostarsi verso composizioni decisamente dilatate con un elevato minutaggio ed un atteggiamento più progressivo e “free” del solito, dando per cui anche una facile idea di quello che sarebbero potute divenire le caratteristiche di Paracletus; questo invece sorprenderà, una volta ascoltato, per come rimescoli nuovamente le carte in tavola.
Innanzitutto è esplicativa, anche se in minima parte, la durata complessiva del platter: quaranta minuti (contro i ben ottanta di "Si Monumentum Requires, Circumspice") con una consequenziale riduzione della durata dei singoli brani sono sintomo del fatto che l’intento non è più quello di logorare con flemma la mente dell’ascoltatore, bensì di aggredirla senza indugio. Ciò che resta invariato è il modo in cui tutti gli strumenti sono suonati ed amalgamati tra loro con l’ovvio scopo di trasmettere malignità ed inquietudine. Un ruolo sicuramente fondamentale è svolto dalla batteria che, onnipresente, costituisce il muro sonoro sul quale si infrange tutto il resto; i pattern suonati sono molti e molto diversi, e se da un lato si può notare l’immancabile blast beat, dall’altro fa impressione la varietà di alcuni frangenti, ritmi ora rubati al death metal tecnico degli anni ’90 ora ispirati al post metal, nella loro semplicità.
Oltre al drumming, un ruolo altrettanto importante è affidato alle linee chitarristiche ed al modo in cui vengono messe in atto: Il suono della chitarra è perpetuamente caratterizzato da un corposo riverbero che aiuta a creare delle dissonanze, contrapposte alle brillanti aperture melodiche (verranno immediatamente in mente gli esperimenti dei Virus). Il numero di riff tessuti non si conta, a partire da quelli di stampo più puramente death metal, immediati e violenti anche se comunque intricati e tecnici, ai più lenti -ragionati e melodici-, in alcuni casi anche alienanti e malati. Un discorso diverso va fatto per il basso, sporco e diluito: Il ruolo non di primaria importanza lo renderebbe quasi superfluo, in realtà si dimostra un silenzioso e indispensabile alleato a sostegno degli altri strumenti facendone da collante e venendo fuori dal “marasma” generale solo in determinate occasioni quasi a rassicurare chi ascolta.
Infine menzione speciale all’egregia prova vocale di Mikko, che alterna francese ed inglese: Decisamente multiforme, il cantato passa agevolmente da un malefico scream ad un cupo growl, senza però essere compiutamente nessuno dei due e trasformandosi, all’occorrenza, in una voce pulita; ora più dolce, ora più aggressiva.
Procedere ad una descrizione track-by-track di questo album risulta a questo punto decisamente difficile oltre che quasi superfluo, ma può comunque aiutare a sottolinearne determinati pregi (o difetti) e chiarire alcuni dubbi.
Epiklesis I è il brano introduttivo: In meno di due minuti, un semplice ma inquietante rintocco di chitarra accompagnato da una voce infernale e da una batteria quasi spastica hanno il compito di preparare l’atmosfera per trovarci così subito di fronte alla prima perla del disco, Wings of Predation: Si potrebbe definire come una sfuriata in puro stile black metal, se non fosse per la presenza di un drumming estremamente calcolato e dalle linee chitarristiche terribilmente aggrovigliate; creano difatti un’atmosfera caotica, sulla quale si staglia però uno degli stacchi melodici più evocativi dell’intero album sfondo alle strazianti urla di Mikko, come se in uno stesso brano fossero stati fusi Dissection, Gorguts e Behold… the Arctopus.
Con la seguente Abscission, nonostante forse cali leggermente il livello qualitativo del drumming ancorato ad uno più canonico, si può assistere ad una buona prova che porta con se l’esperienza di "Si Monumentum…" ricalcandone più o meno le medesime caratteristiche anche se con una rinnovata attitudine. Al suo termine, quando sembra ormai delineato il trend che il disco seguirà da lì in poi la band torna a sorprendere; Dearth, riprendendo i parametri sonori dell’intro con ritmi lenti ed un canto quasi parlato funge da piccola pausa riflessiva prima del pezzo successivo, Phosphene. Altro apice del platter, Phosphene è aperta da una cavalcata in blast beat spezzata successivamente dall’irrompere di un potente basso che dà vita ad un intermezzo richiamante alcune soluzioni proposte dai Virus in Carheart (che, anche se in maniera non così lampante viene spesso citato in quest’album), salvo poi essere inglobato nuovamente nel sound del combo francese... segno che non si tratta di semplice riesumazione.
Epiklesis II, che rappresenta il brano meno caotico, propone melodie eteree che fanno da sfondo ad un malsano cantato di Mikko, quasi come a prendere fiato per il successivo trittico; un’apnea, probabilmente la maggiore manifestazione di violenza a cui i Deathspell Omega abbiano mai dato vita.
Malconfort alterna al di sotto di un complesso e duro riffing ritmiche assimilabili al thrash e al death metal (basta citare i Nile per farsi un’idea), il tutto condito dall’inserimento a piccole dosi di una sorta di coro sacro.
Sulla stessa scia, Have You Beheld the Fevers? è forse il brano meno rilevante tra tutti, complice la durata e delle soluzioni piuttosto insipide; a romprere però quest’accenno di monotonia arriva Devouring Famine: Dopo un introduzione estremamente caotica (ma che evidenzia la perizia degli strumentisti) un riff dal sapore orientale irrompe a dare nuova linfa ad un sound già ricco, e per tutta la durata del brano si susseguono elementi che mettono in risalto la maturità compositiva del gruppo che sembra ormai aver trovato l’equilibrio perfetto.
A concludere, Apokatastasis Pantôn riprendendo inizialmente l’identico riff di "Epiklesis II" e fa da vero e proprio outro; la batteria non eccessivamente tecnica che detta ritmi cadenzati ed un muro melodico generato dal connubio tra chitarra ed una tastiera impercettibile ricordano quasi il post metal targato Isis.
In definitiva, come collocare questo lavoro? Alcuni magari con troppa sufficienza lo definirebbero del mero black metal, al massimo sottolineando le influenze death, altri più lungimiranti potrebbero coniare le espressioni “math black metal” o “post black metal”... Quello che conta è che sicuramente esso non si ferma di fronte a ciò che è già stato fatto, ma aggiunge qualcosa in più.
Paracletus non è un album semplice, nonostante la sua schiettezza; ostico all’orecchio non abituato a queste sonorità che rischia di assorbirne solamente il caos, può rivelarsi un calderone ricco idee invece se compreso ed assaporato con la giusta dedizione. In questo 2010 che si avvia al termine quindi, il panorama metal estremo accoglie uno dei suoi gioielli più splendenti, esempio di come -nonostante molti dei suoi esponenti, siano essi nuove leve o vecchie glorie, non riescano ad andare oltre i soliti canoni precostituiti- con la giusta dose di coerenza e coraggio di osare, si possa dare uno schiaffo alle convenzioni. Forse non è all’altezza del primo capitolo della trilogia, “monumentale” e morboso come non mai; forse è superiore al secondo, resta il fatto che se si va a valutare l’opera nel suo complesso questa ne è una più che degna conclusione.