Voto: 
7.0 / 10
Autore: 
Francesco Tognozzi
Genere: 
Etichetta: 
Fat Possum
Anno: 
2010
Line-Up: 

- Hamilton Leithauser - vocals, guitar
- Paul Maroon - guitar, piano
- Walter Martin - bass
- Peter Bauer - organ
- Matt Barrick - drums

Tracklist: 

1. Juveniles
2. Angela Surf City
3. Follow the Leader
4. Blue as Your Blood
5. Stranded
6. Victory
7. All My Great Designs
8. Woe Is Me
9. Torch Song
10. While I Shovel the Snow
11. Lisbon

Walkmen, The

Lisbon

Nella loro decennale storia gli Walkmen, tutti cresciuti nel distretto di Washington, DC ma - come molti loro colleghi - trapiantati poi musicalmente nella Grande Mela, hanno saputo barcamenarsi tra schemi e sonorità anche diametralmente opposti senza mai necessariamente scadere nello scontato e nel risentito. Questo ha permesso loro di scavarsi in pochi anni una nicchia di lusso nel novero delle rock band indipendenti dedite per lo più al revival post-punk, proprio grazie ad un'innata capacità di entrare e uscire dagli schemi preposti con relativa facilità, capacità che non sempre ha contraddistinto i loro vicini di casa (e di tendenze), a partire dai ben più celebri The Strokes ai quali il loro nome è stato più volte accostato sin dall'inizio della vita sotto i riflettori.

Così, partendo da un album datato 2002 che tentava un approccio molto vintage agli stilemi del prog, con la geniale trovata di utilizzare quasi esclusivamente strumenti d'annata per regalarsi un sound esplicitamente settantiano, senza mai tristemente sprofondare negli eccessi di maniera, gli Walkmen giungono oggi, AD 2010, al sesto long-playing dopo aver sfornato almeno un capolavoro (il gigantesco Bows + Arrows, ndr), un paio di lavori non forse eccelsi ma in piena sintonia con le proprie aspirazioni di rispolvero di un passato perduto, persino una rielaborazione, assai più trascurabile rispetto alla loro media, del classico Pussy Cats di Harry Nilsson (in cooperazione con Sir John Lennon), uno dei dischi più noti ed inflazionati dell'anno - ma guarda un po' - 1974. Il CV di questi ex ragazzi sbarazzini non dice abbastanza di per sé, ma scongiura sicuramente il rischio di trovarsi davanti ad un collettivo poco preparato e privo di duttilità: così, come in fondo era lecito aspettarsi, Lisbon si rivela la piacevole, delicata, intrigante prova di maturità e coscienza dei propri mezzi di un gruppo che, senza mai strafare, ha azzeccato pressochè ogni mossa pur emergendo da un background che ha tradizionalmente visto inciampare anche i più promettenti sulle ripide scale del successo.

Lungo quarantacinque minuti dal sapore inequivocabilmente europeo, sin dal titolo, la voce roca e teatrale di Hamilton Leithauser fa da cicerone in un viaggio ancora una volta saturo di profumi inebrianti, e come non mai solare, ottimista, positivo.
Tra anthem solenni e orchestrali come Stranded, altisonante ma non per questo ampollosa, e marcette solo al primo impatto innocue come Angela Surf City o Blue as Your Blood - splendido cortometraggio intriso di classicità e sporco di polvere del West - Lisbon sprigiona senza timidezza un carico disarmante di poesia, dove il perfezionismo nell'esecuzione strumentale e la sicurezza e padronanza nell'uso del canto da parte del frontman di fatto, elevano ad aulico materia che nelle mani dei comuni mortali non potrebbe che assumere le forme di una tronfia parodia.
Il sound degli Walkmen è ricco, importante anche e sopratutto da un punto di vista quantitativo, ma ciò non stanca proprio perchè parte integrante del piano; gli acuti della chitarra nella ridondante Victory, che ricompaiono sotto forma di brividi lungo la schiena a qualche minuto di distanza nella bellissima Torch Song, intrecciati stavolta a cori intonati dalle profondità più abissali dell'anima, non possono che ricordare ai più attenti le vette di dolcezza e sensibilità toccate nella passata stagione dal capolavoro Veckatimest dei conterranei Grizzly Bear, tanto per dare un'idea sul rango della composizione.
Ci sono poi brillanti rintocchi in down-tempo nell'universo intimo, coheniano di While I Shovel the Snow, e accessi immediati come fendenti di lama nel recente passato, spiccatamente surf, dell'indie-rock New york-based, vedere l'accattivante contesto ritmico in cui si dimena il riff di Woe Is Me, l'unico grande amore del primissimo, acerbo ascolto. E ancora, il ritratto stavolta nostalgico di All My Great Designs, condito da quelle che sono forse le uniche pennellate vagamente cupe in un cammino dalle tinte che per definizione non si discostano mai dal roseo; il recital appassionato dell'iniziale Juveniles, dove Leithauser si cimenta nella prediletta arte dello spoken word, un vecchio pallino enfatizzato dai fasti di un album come Bows + Arrows; per chi non sapesse accontentarsi, persino l'armonia quasi gitana dell'interludio Follow the Leader, parata da filarmonica nostrana tra grancasse e tamburelli.
A suggellare l'opera è la title-track - scelta piuttosto insolita, più da songwriter, viene in mente For Everymen di Jackson Browne, autore che i nostri hanno indubbiamente incontrato nel loro percorso di formazione - il pezzo forse più complesso dell'intero lotto, celato in maniera insospettabile dalla pacatezza crepuscolare che è alla fine il leitmotiv di questo sesto full-length firmato Walkmen, inondato in ogni suo angolo da un'impetuosa corrente di sensazioni che giunge direttamente dal Vecchio Mondo, all'altro capo dell'Oceano.

Non si incontra una singola stonatura o nota fuori posto nel percorrere le vie di Lisbon e, non potendo contestare la mancanza - fisiologica - di quell'ingenuità giovanile che sola può tingere di genio inconsapevole le canzoni, ad una band che di strada ne ha già fatta e tanta, si può solo apprezzare, se non ammirare, la rispettabile condizione in cui gli Walkmen si presentano oggi. Pur non essendo il proverbiale masterpiece, questo disco aggiunge piccole, straordinarie note di colore alla loro tavolozza, e batte sentieri già tracciati con uno spirito nuovo, colmo di serenità e spensieratezza, capace di emozionare in totale libertà dal vincolo, talvolta scomodo, delle grandi pretese.

NUOVE USCITE
Filastine & Nova
Post World Industries
Montauk
Labellascheggia
Paolo Spaccamonti & Ramon Moro
Dunque - Superbudda
Brucianuvole
Autoprod.
Crampo Eighteen
Autoprod..
BeWider
Autoprod..
Disemballerina
Minotauro
Accesso utente