Voto: 
5.5 / 10
Autore: 
Alessandro Mattedi
Etichetta: 
Hydra Head
Anno: 
2010
Line-Up: 

- Toby Driver - bass, vocals
- Mia Matsumiya - violin, guitar
- David Bodie - drums, percussion, gong
- Daniel Means - alto saxophone
- Terran Olson - keyboards, organ, piano, synths, tenor saxophone
- Tim Byrnes - trumpet, french horn

Tracklist: 


1. Calonyction Girl - 7:59
2. Whisper Ineffable - 11:13
3. Abyss Hinge 1: Sleeping Birds Sighing in Roscolux - 3:45
4. Abyss Hinge 2: The Shrinking Armature - 13:40
5. Cartogram out of Phase - 3:11

Kayo Dot

Coyote

Toby Driver e i suoi Kayo Dot sono proprio l'emblema dello sperimentalismo a tutti i costi.
L'ultimo album Coyote, originariamente pensato come una massiccia traccia unica di quasi 40 minuti (poi suddiviso in 5 "sezioni" dopo la morte per cancro di Yuko Sueta che aveva collaborato alla realizzazione), evolve il discorso intrapreso dal precedente disco focalizzandosi di più sul binomio fra jazz rock/free jazz e musica da camera immersa in tinte dark, ma il tutto diviene più regolare e relativamente lineare. Non intendiamo dire che subentri una qualche forma di adesione alla forma canzone (???), quanto più che c'è meno carne al fuoco e ci si è concentrati maggiormente su di essa.
Nonostante la sezione ritmica, capace anche di momenti più aggressivi, sembri dare un'idea di improvvisazione, il songwriting segue un andamento più ragionato, lasciando meno spazio al "ficchiamoci dentro quanti più ingredienti abbiamo" per concentrarsi maggiormente sullo sviluppo e la caratterizzazione dei tratti più peculiari della musica, nonostante siano ancora messi in particolare evidenzia strumenti particolari come archi o fiati e la struttura compositiva articolata per apparire il più possibile progressisti.
Questo è in teoria sicuramente positivo alla luce dell'eccessiva ostentazione e ampollosità vista in passato, ma a conti fatti emerge un nuovo problema, cioè il dilatare sequenze e motivi fino a farli diventare infelicemente monotoni.
Non si tratta di ripetitività quanto di eccessive distensioni e allungamenti, l'intento è sicuramente quello di ricreare un'atmosfera particolare, oscura, angosciata, anche per via del concept inquieto ed esistenziale dietro l'album che Toby ha cercato di rappresentare in suoni. Tuttavia più spesso si sfocia nei consueti esercizi di stile che finiscono anche per risultare più soporiferi e fini a sè stessi del solito. Sono pochi i momenti che cercano di spezzare quest'ordine ed essi sono dovuti in maniera particolare alla batteria, quando esplode in maniera più frenetica del normale, alla maggior presenza dei fiati, che però non hanno molta varietà, e agli spruzzi noisy che emergono occasionalmente per rendere il tutto più alienato. Questi ultimi però troppo spesso rendono il tutto più indigeribile e pesante da mandare avanti.

L'iniziale tesissima Calonyction Girl, di 8 minuti, propone subito un umore cupo e inquieto ("gotico" nell'attitudine), con archi stridenti e cupi bassi ad accompagnare il canto disperato ("help me... I'm disappearing") mentre l'organo hammond di sottofondo dipinge scenari da incubo in cui anche il sassofono perde il proprio calore a favore di un approccio molto più tetro. Il tutto viene prolungato in maniera eccessiva, difetto amplificato dal sublimare del brano in una nenia cacofonica e ossessiva, resa più varia solo nella seconda parte della traccia dove le percussioni si fanno più forti e secche.
C'è una maggiore apertura atmosferica con Whisper Ineffable, dove il dolente sax assume tinte maggiormente noir mentre gli archi mantengono connotazioni spettrali. Dopo tre minuti subentra un'intensa batteria a variare maggiormente i toni, ricreando un'aura ancor più straniante e psicologicamente tesa fino ad un climax furioso e caotico. La lunga coda finale invece riprende il tema iniziale in maniera meno inquietante e più sommessa.
Tocca ora alle due parti di Abyss Hinge: la prima, breve (solo 3:45) è prevalentemente un noise/drone raggelante, mentre la seconda, il pezzo più lungo (13:40) è una più raffinata suite strumentale a metà fra una fusion "deviata", le consuete contaminazioni di musica classica e i droni claustrofobici, come nelle coordinate generali del disco. La seconda presenta alcuni dei momenti più ispirati del full-lenght, ma sono purtroppo annacquati e diluiti in un groviglio intrecciato di note e sfumature sonore pretenziose che minano il risultato finale.
Infine abbiamo l'incedere funereo di Cartogram Out of Phase, il pezzo più corto di tutti di soli tre minuti, con linee vocali dolenti, fiati jazzati malinconici e minimali, tappeti di tastiera e hammond a riempire l'atmosfera di sottofondo e batteria delicata di sostegno, senza grossi sussulti emozionali e suonando anche un po' blanda.

Un lavoro in definitiva noioso e auto-indulgente con pochi spunti apprezzabili e nessuna vera dimostrazione di eclettismo o attitudine progressista da parte di chi l'ha composto.

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