Voto: 
7.7 / 10
Autore: 
Corrado Penasso
Genere: 
Etichetta: 
Invasion Records
Anno: 
1996
Line-Up: 

- Hughin - Vocals, 4- and 8- stringed basses
- Gavhin - Electric and acoustic guitars
- Munhin - Drums and percussion 

Additional musicians:
- Månstråle - Piccolo flute and spoken rhimes
- Svanvit - Vocals
- Hrymr – Oboe   
 

Tracklist: 



1. Dimman Kring Björkö 04:04
2. Frostfödd 04:51
3. Den Lydska Örn 04:15
4. Älvdans 05:59
5. Av Vargkvinna Född 04:22
6. Som De Sade 05:29
7. Vintern Min Slavinna 06:25
8. Norsbergens Maror 03:08

Vargavinter

Frostfödd

La metà degli anni 90 segna grandi uscite nell’ambito del black metal. Le sperimentazioni non erano ancora molto in voga e la fase progressive non stava intaccando la genuinità di un genere che aveva i capiscuola saldamente installati nel nord dell’Europa. Le uniche, prime infiltrazioni si avevano con un certo Vinking metal, genere che richiamava strumenti e tematiche di stampo epico. Di conseguenza, anche la musica cominciava ad avere infiltrazioni melodiche da opporre o integrare ad un sound sempre più tagliente e veloce; chiaro riflesso della Natura di quei posti, soprattutto durante la stagione invernale. Abbandonate le influenze death metal, Marduk e DarkThrone stavano dettando legge e presto anche Immortal e Dark Funeral cominciarono a dare il loro contributo a questo viramento fatto principalmente di velocità. La Penisola Scandinava era in pieno fermento e da quando bands del calibro di Bathory, Dissection e Enslaved decisero che alcune note più accessibili avrebbero fatto la loro porca figura in questo attacco frontale, non ci si è più fermati.

Tra le nuove leve, sicuramente le più originali furono i Vinterland, i Cardinal Sin e questi Vargavinter che con questo Frostfödd si fecero conoscere nell’underground. I tre svedesi uniscono le loro forze nel 1992 ed il loro unico lavoro rimane questo album perché si sarebbero sciolti poco dopo la pubblicazione. La caratteristica che mi colpì maggiormente sin dal primo ascolto fu l’aura oscura, fredda che ammantava il loro sound costituito dai veloci sezioni in blast beats da opporre a cadute nel sinfonico al fine di creare la giusta atmosfera nordica. Un primo assaggio lo possiamo trovare con la song posta in apertura, Dimman Kring Björkö, condensato di velocità, melodia ed oscurità che dovrebbe già far strabuzzare gli occhi. Le chitarre a tratti disegnano melodie folk con la distorsione classica del black metal per poi lanciarsi in feroci velocizzazioni. Lo screaming è forse l’unico punto debole del disco perché a mio parere non abbastanza graffiante o semplicemente penalizzato da una registrazione che dona molta potenza alla sezione ritmica e alle chitarre ma tralascia la voce, comunque non originale, di Hughin.

A dir poco emozionante lo stacco melodico nel riffing di una sempre arrembante title-track, con la band a dosare perfettamente elementi folk e black metal. Non c’è mai un momento in cui uno sovrasta l’altro e anche qualche secondo di violino viene incastonato alla perfezione per dare pathos e profondità ad un sound chiaramente votato ad essere un riflesso dell’inverno nordico. Il tremolo picking viene ancora una volta perfettamente usato per la lunga e varia Älvdans, la quale annovera ancora qualche break sinfonico a base di chitarra acustica, prontamente ripresi dalla successiva Av Vargkvinna Född. Parlando di questa canzone, voglio rimarcare in particolare i momenti più “doomy” ed alcuni riffs che rimandano più ad un death melodico che ad un feroce black metal, anche se le ripartenze non mancano. Tutto ciò fa sì che la proposta sia sempre varia e che l’atmosfera continui a trarre giovamento per conservare le sue caratteristiche glaciali.

Il flauto compare di sottofondo in una a tratti brutale Som De Sade, mentre la successiva Vintern Min Slavinna accentua il tono epico con tanto di rumore delle onde del mare a marcare un’andatura solenne. Le chitarre acustiche rubano la scena durante la lunga suite d’introduzione e i cori di sottofondo completano il quadro di una canzone che vive e sprigiona tutta la sua aura oscura attraverso tempi medi. La sferzata finale ci viene data con la veloce, schizoide Norsbergens Maror a porre il sigillo su di un’opera oscura, praticamente già dimenticata ma ancora capace di regalarci qualche minuto di buon black metal come si faceva non troppo tempo fa e che, ahinoi, non so se mai ritornerà ad essere di tale fattura.   
 

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