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- Mikko Kotamäki - Vocals
- Olli-Pekka Laine - Bass
- Sami Yli-Sirniö - Guitars
- Janne Perttilä - Guitars
- Kasper Mårtenson - Keyboards
- Marko Tarvonen - Drums
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1. Curse Of The Red River (ascolta su YouTube.com)
2. Our Twilight (ascolta su YouTube.com)
3. Forlorn Waves (ascolta su Youtube.com)
4. Flicker (ascolta su YouTube.com)
5. The Leer (ascolta su YouTube.com)
6. The Ritual Of Dawn (ascolta su YouTube.com)
7. Ere All Perish (ascolta su YouTube.com)
8. Cold Earth Chamber (ascolta su YouTube.com)
9. Deserted Morrows (ascolta su YouTube.com)
Curse of the Red River
Una delle note più liete di questo apatico 2010, finora davvero carente di prove particolarmente positive in ambito musicale, risponde al nome di Curse of the Red River, esordio discografico della super-band (che brutta espressione) finlandese Barren Earth.
Formatasi ad Helsinki nel lontano 2007, questa ambiziosa progressive death metal band era già stata mentalmente concepita nel tardo 2006, quando il bassista ex-Amorphis Olli-Pekka Laine propose al drummer ex-Moonsorrow Marko Tarvonen di avviare un nuovo progetto discografico, svelandogli appunto le sue prime idee in proposito. Memore dell’esperienza maturata insieme nelle fila dei The Camel Gang, prog-rock band sbocciata e appassita nel corso del solo 2005, Marko Tarvonen e Olli Laine si rivolsero immediatamente al keyboardist ex-Amorphis e Waltari Kasper Martenson e quindi al chitarrista ritmico Janne Perttila: lentamente, a piccoli passi ma a grande velocità, l’inattesa gestazione dei Barren Earth stava procedendo per il meglio. Alla fine dello stesso anno, 2007, i 4 musicisti fin qui citati si riunirono per raccogliere le ultime idee, innanzitutto sul completamento della line up definitiva: mancando ancora un lead guitarist, la scelta ricadde immediatamente sul loro vecchio amico Sami Yli-Sirnio, ex-Kreator e Waltari, il cui stile musicale sembrava inserirsi perfettamente nel contesto tecnico finora improntato. Le prime prove cominciarono immediatamente e nell’estate del 2008 il nucleo strumentale dei Barren Earth si ritrovo per la prima volta in studio di registrazione per incidere le prime quattro canzoni composte. Ora si presentava, in ultimo, l’esigenza di trovare un cantante, e il nome che si levò per primo e più in alto di tutti fu quello di Mikko Kotamäki, singer e frontman della death/doom metal band Swallow The Sun: con lui in line-up, la band aveva finalmente raggiunto la propria forma finale.
Quanto dichiarato dal nuovo act scandinavo in relazione al genere musicale proposto è la sintesi migliore per descrivere, seppure in via approssimativa, Cursed Of The Red River e i suoi straordinari artefici: “la musica dei Barren Earth combina infatti elementi di moderno e tradizionale death metal con il prog-rock settantiano e il folk”, individuando fra le proprie principali influenze formazioni del calibro di Paradise Lost, Opeth, Pink Floyd, Jethro Tull ed alcuni meno noti pionieri del prog-rock patrio. A questo immane e prestigioso background occorre aggiungere, com’è ovvio che sia, i fondamentali contributi delle storie individuali di ciascun componente, nonché, ci permettiamo noi, quella attitudine particolare, caratteristica essenziale dei musicisti nordici, verso il doom e il depressive, che consente loro di creare quasi per magia, come acqua sorgiva che sgorghi dalla mente e dalle mani del suo creatore nient’altro che per natura, quelle ambientazioni oscure, agghiaccianti ma allo stesso tempo così avvolgenti e calde che sempre distinguono gli acts scandinavi da tutti i colleghi stranieri.
Curse of Red River è la perfetta compenetrazione di tutti gli elementi appena individuati e tale è la sua granitica compattezza, sublimata da momenti onirici di pura estasi glaciale, da risultare estremamente ostico a qualunque forma di assimilazione, soprattutto mnemonica, come roccia viva porosa che lasci intravedere schegge di fuoco e luce, che lasci traspirare profumo di abete ed erbe medicinali, ma che si ostini a proteggerli e celarli anche a chi si avvicina con sincera passione e viva curiosità. Il sadico paradosso che emerge da questa particolare forma di interazione fra musica e ascoltatore è quell’attrazione instancabile che si nutre del mistero e si rafforza del suo diniego, come lo scienziato che alimenta la propria determinazione quanto più l’enigma è complesso, arduo, inaccessibile: come ogni sforzo, ogni tentativo aggiunge un dettaglio nascosto, sfuggito, avvicinandolo alla risoluzione finale senza dargli occasione di poter quantificare quanto effettivamente manca ad essa, così ogni ascolto, ogni passaggio ci avvicina alla meta della comprensione totale, lasciandoci scorgere tracce, appigli prima vietati, ma ancora impedendoci di vederne finalmente la sommità, così incrementando il nostro desiderio di salire, di capire. Di ascoltare.
Difficile, forse impossibile soffermarsi sui singoli episodi, giacché, come nuclei autonomi e indipendenti eppure mutuamente necessari, nessuno è trascurabile e nessuno prevale sugli altri, e forse è proprio questo aspetto la principale carenza imputabile a Curse of the Red River: al di là alcuni momenti di lirica maestosità, nessun pezzo riesce, nella sua interezza, ad elevarsi nettamente al di sopra degli altri, nessuna traccia riesce ad insinuarsi con totale nitidezza nei meandri della memoria; è come se ci trovassimo di fronte ad una catena montuosa d’inaudita altezza media ma del tutto priva di quella cima, quella vetta solitaria e prorompente in grado di ergersene a simbolo, capace di stagliarsi all’orizzonte come nei nostri occhi e nei nostri ricordi, quest’ultimi proprio da essa richiamati, rievocati, ritrovati ogni qual volta ci affanniamo a rincorrerli fra le pieghe del nostro vissuto. Trattasi quindi di una manchevolezza per nulla indifferente, pur tuttavia occorre ravvisare come proprio una simile spiacevole evidenza rafforzi ulteriormente l’impressione, già palese, di trovarsi di fronte ad una band dalle qualità decisamente sopra la media e ancora ben lungi dall’essersi pienamente concretizzate.
Per il resto, infatti, i Barren Earth confermano in pieno le loro straordinarie potenzialità, forgiando una prova pressoché impeccabile ma allo stesso tempo ulteriormente raffinabile, laddove fa capolino la consapevolezza serena e propositiva di chi sa che sono state poste soltanto le basi più solide per un crescendo artistico sicuramente avvincente. Curse of the Red River, insomma, non è l’ennesimo capitolo di un libro ormai troppo lungo, dove Opeth e Amorphis (leggasi Eclipse) hanno già scritto tutto, bensì una nuova pagina di musica nordica, fragrante ed altera, sinistra e ammaliante, la cui voce, cupa, ipnotica, sognante, già si distingue fra gli echi antichi delle terre vichinghe.
LINK (1): Curse Of The Red River album teaser
LINK (2): The Leer Official Video (from Peaceville Records' Official YouTube Channel)