- Dan Kubinski - voce
- Brian Egeness - chitarra, pianoforte
- Keith Brammer - basso
- Eric Tunison - batteria
Guests:
- Peter Balistrieri - sassofono
- Tim Cole - tromba
1.Earthquakes
2. Lean into It
3. Different Ways
4. So Many Times
5. These Days
6. Elizabeth
7. Stomp
8. Slow
9. Bone, The
10. Bitch Magnet
11. Number Three
12. Dream Sky
13. Halloween
Century Days
Emo e post-hardcore sono due aggettivi che - detti oggi - sicuramente indirizzano a grandi linee verso determinati suoni. Detti ieri invece, diciamo fine anni ottanta, si riferivano a scene ben diverse. I Die Kreuzen (in tedesco 'le croci', nome scelto per evitare stereotipi poiché nessuno ne conosceva il significato) hanno influenzato moltissimi musicisti dopo di loro. Evolutisi gradualmente dall'hardcore dei primi lavori, arrivano al terzo Century Days (Touch & Go) con un capolavoro di alternative rock (altra terminologia poco fashion che oggi potrebbe far ridere).
Era un periodo d'oro per la musica del Midwest americano e la componente 'emo-tiva' che fuoriusciva in tanti gruppi gruppi ‘storici' coevi, caratterizzava fortemente quella scena e celebrava il funerale degli anni ottanta la cui musica ormai non rispondeva piu alle esigenze di una gioventù profondamente cambiata, di un mondo sostanzialmente diverso. L'epopea dell'hardcore aveva bruciato al massimo il suo potenziale eversivo, purtroppo non sovversivo, sicuramente necessario. Identificati in modo netto bersagli e nemici da abbattere nella società, falliti nell'azione (come ogni rivoluzione che si rispetti che cambia tutto per non cambiare nulla se non i vestiti ed il dizionario), questi junkies allo sbaraglio, preda dell'eroina, delle crisi post-reaganiane, dei desolanti panorami industriali su cui si affacciavano, ebbero ben poche scelte. Una fu "guardarsi dentro", e probabilmente quel che videro fu solo cupo disagio esistenziale e vuoto incolmabili. Questo lo sfondo sul quale si staglieranno anti-eroi quali i Die Kreuzen.
Earthquakes che apre l'album consolida la natura riottosa e vagamente metallica della band. Se questa musica è ancora hardcore, lo è in maniera cronenberghiana, mutata nelle forme e nelle intenzioni. E' una corsa spezzata da cadute continue in voragini di disperazione. Quel tirare le corde di Dan Kubinski non è più la cinetica violenza anti-establishment di qualche anno prima ma se violenza è, lo è contro sé stessi. Terremoti interiori. Anche gli episodi più riflessivi sono sempre forieri di tensione drammatica come Number Three, nera marea psichedelica (sollevata dalla chitarra di Brian Egeness) anticipatrice di certo post-rock/post-core epico e stavolta sì moderno se non fosse per quella voce così sgraziata e sincera. La stessa che rende Elizabeth - uno dei punti più alti dell'album e forse il brano per cui esso è conosciuto - anche nel suo incipit ottimistico, una ballata rovinosa illuminata da una struggente malinconia più che da una reale speranza.
Molti han visto nei Die Kreuzen gli anticipatori di certe dinamiche proto-grunge, ma io queste affinità non le ho mai percepite; trovo semmai certe intuizioni più forti in bands molto più estreme, ad esempio Stomp potrebbe essere una deviazione voivodiana (all'epoca i nostri andavano in tour con i Negazione).
Non voglio aggiungere ulteriori parole nè cadere nella tentazione di un track by track (è un album che lo giustificherebbe) per questo disco che merita di essere scoperto da chi non lo conosce, ma se amate certe cose 'emo' nel senso più vero del termine e cioè alla Hüsker Dü, se l'irruzione di un sassofono che annuncia la tragedia non vi fa troppo male dentro, allora Century Days dovreste proprio sentirlo.