Björk Guðmundsdóttir
1. Plesure is All Mine
2. Show Me Forgiveness
3. Where Is the Line
4. Vökuró
5. Öll Birtan
6. Who Is It
7. Submarine
8. Desired Constellation
9. Oceania
10. Sonnets/Unrealities XI
11. Ancestors
12. Mouth’s Cradle
13. Miðvikudags (Wednesday)
14. Triump of a Heart
Medùlla
Fiumi scuri e densi, rivoli d'inchiostro, l'oceano buio e insondabile, sangue coagulato: è tutto ciò che viene in mente ascoltando Medùlla di Björk, del 2004.
In quest'album la regina dei vulcani, abituata a sorprendere chiunque con le sue sperimentazioni e la sua capacità di rinnovarsi completamente di volta in volta, non abbandona la strada intrapresa col precedente Vespertine, denso di sonorità rarefatte e impalpabili, minimalista e contemporaneamente carico di arrangiamenti orchestrali e sontuosi. Ma se Vespertine risulta dolce e cristallino, Medùlla è (come suggerisce l’artwork nero su nero) oscuro, ancestrale, la rappresentazione dell’ignoto e del selvatico propri di ogni essere, il “fluido nascosto” che scorre dentro ciascun uomo, che costituisce l’essenza comune e caratterizzante, il vero e proprio midollo. In quest’album infatti ad essere sotto indagine è la voce: le 14 tracce sono interamente realizzate con campionamenti della voce di Björk e dei suoi collaboratori (Robert Wyatt, Mike Patton, Tanya Tagaq, i beatboxer Dokaka e Rahzel, nonché due cori d’eccezione come l’Icelandic Choir e il London Choir), senza escludere essenziali tocchi di elettronica.
Muovendosi agilmente tra le canzoni, l’ugola di Björk è in grado di dipingere paesaggi emotivi che spaziano dall’erotismo quasi esasperato e marziale di Pleasure is All Mine alla delicatezza ingenua di Sonnets/Unrealities XI (dal testo ispirato ad una poesia di E.E.Cummings), dalla spensieratezza briosa di Who is it all’austerità vichinga della nevosa Vökuró, interamente cantata in islandese. L’elettronica si fa maggiormente presente in Where is The Line, un pezzo isterico e spaventoso dove le urla di un’adirata Björk si intrecciano alla profondissima voce da androide di Mike Patton, tra cori da oltretomba e impazziti colpi di elettronica, e in Desired Constellation, realizzata con campionamenti vocali fortemente distorti a creare un tappeto sonoro soffuso e delicato, in cui la voce della cantante penetra come una fendighiaccio.
Notevoli sono anche pezzi come Submarine, in duetto col grande Wyatt, forse il pezzo più difficile dell’album, pieno di versi, sospiri e singhiozzi che invitano ad una inesauribile voglia di sapere richiamando con suoni e atmosfere gli ambienti del mare più profondo. Il mare è anche il soggetto di Oceania, dove una Björk-dea marina si destreggia tra i saliscendi virtuosistici del LondonChoir celebrando la vita, figlia di “madre Oceania”. Il picco però si raggiunge in Ancestors, un pezzo in cui Björk si esprime liberamente accompagnata dalla Tagaq: in un crescendo di sussurri e ansimi appoggiati su una linea di pianoforte, Björk dà piena espressione ai moti interiori che si annidano nel nocciolo umido delle passioni, in un componimento che si identifica come il centro pulsante, il midollo, il manifesto dell’intera poetica che sta alle spalle di Medùlla. Indimenticabili sono anche Mouth’s Cradle e Triumph of a Heart, pezzi quasi funky e trascinanti che si reggono sull’incredibile beatboxing di Rahzel e Dokaka.
In definitiva, Medùlla è sicuramente l’album più difficile e controverso di Björk, geniale per alcuni, inascoltabile e autocelebrativo per altri (di certo è questa l’impressione che si ricava ascoltando qualche canzone, soprattutto se ci si riferisce agli intermezzi che appaiono spesso barocchi e ridondanti), Ma c’è da dire che mai come in questo caso, il gusto personale ha un ruolo fondamentale nell’esprimere un giudizio. Ciò che non si può negare è che, come le canzoni sembrano intagliate nel silenzio che regna tra una traccia e l’altra Medùlla si è sicuramente scolpita, sommessamente, una nicchia nella musica d’avanguardia.