- Bre Beskyt Dyrene - tutti gli srumenti, testi
1. In Che Depressione Suono
2. Svastika
3. Orighami
4. Bocca Di Fuoco
5. Gas Mostarda (Ammoniaca)
6. Spacca Lo Specchio
7. Erbeta Il Gigante Gassoso
8. Immensa
9. Rammarichi (Molto Tossico)
10. Non Tornare A Casa
11. Sophia
12. Bromuro (Fankulo Tutto)
13. Potrei Uccidere Un Cane
14. Un Perso
15. Infernale
La Razza
Il tormento del polistrumentista romano Bre Beskyt Dyrene con il progetto Aquefrigide trova nuova linfa vitale nel secondo platter di studio, La Razza, che segue di tre anni il debutto Un Caso Isolato; i vagiti industriali dell’esordio sono ormai un lontano ricordo per un act in continua evoluzione, capace di mutare discretamente il proprio sound, pur mantenendo inalterata la caratteristica carica provocatoria ed aggressiva. Quelli di La Razza sono quindici pezzi di ordinaria follia, che esplorano i meandri tipici del Metal alternativo, prestando attenzione anche al feeling meno tecnico dei Fear Factory e dell’Industrial Metal più oltranzista (Marylin Manson o Dagoba).
Narcotizzante e colma di inquietudine esistenziale, l’opener In Che Depressione Suono plasma fin da subito il nuovo universo Aquefrigide, dove non viene lasciato spazio a divagazioni elettroniche, poiché l’elemento centrale dell’album è l’irruenza travolgente delle sezioni distorte. Pezzi come Svastika, Bocca Di Fuoco e Gas Mostarda (Ammoniaca) non perdono di vista i riff caotici della scuola Meshuggah, conservando però lo schema tipico della canzone e non puntando verso una destrutturazione del linguaggio musicale. Aquefrigide rappresenta comunque ancora storie di degrado, di droga, di esistenzialismo nero e di criticismo, in una sorta di malattia dell’animo che viene espressa dalle liriche angoscianti e soffocanti tessute da Bre Beskyt Dyrene.
Ciò che traspare a livello di immagine da un lavoro come La Razza è un’atmosfera di memoria mansoniana, perché vengono volutamente stressate tematiche e sonorità estreme, senza focalizzarsi troppo sulla varietà interna dell’album. Negli sfoghi di Bre Beskyt Dyrene manca infatti un supporto strumentale efficace e raffinato, testimoniato solo da rarissimi stacchi che intervengono spezzando temporaneamente il vorticoso e straziante andamento dei brani. Sebbene non totalmente privo delle influenze di realtà d’oltreoceano come Tool e Mudvayne, La Razza risulta via via sempre più opprimente, non garantendo pause riflessive all’ascoltatore e proiettandolo anzi in un incubo molesto e deviato.
Pertanto, nonostante alcune interessanti soluzioni stilistiche proposte, il full-length non riesce ad eguagliare il suo predecessore Un Caso Isolato, che poteva essere considerato un crudo delirio di gioventù. Ci si auspica in definitiva che il progetto Aquefrigide, condiviso oggi da più strumentisti oltre a Bre Besky Dyrene, possa trasformarsi ancora nei prossimi anni, distanziandosi dalle tendenze alla Marylin Manson e concentrandosi maggiormente sulla sfera introspettiva in modo meno violento e più contenuto.