Voto: 
5.5 / 10
Autore: 
Paolo Bellipanni
Genere: 
Etichetta: 
Fat Possum Records
Anno: 
2010
Line-Up: 

- Johnny Whitney - voce, tastiere
- Cody Votolato - chitarra, tastiere, basso

Tracklist: 

1. I Started a Fire
2. Polaroids and Red Wine
3. Cherry Soda
4. Don't Die Alone
5. Up All Night
6. Jaguar Warriors
7. Everything Is Awesome
8. Evaline
9. Sad Parade
10. A Prostitute An Angel
11. Freak Out
Bonus Track:
12. Piece of My Heart

Jaguar Love

Hologram Jams

Chi non muore si rivede, per di più sotto fattezze irriconoscibili. Il ritorno di Johnny Whitney e Cody Votolato non può suscitare altro effetto che questo, sebbene un'introduzione del genere sarebbe calzata ancor più a pennello con quell'esordio (Take Me to the Sea) che nel 2008 fece salire per la prima volta alla ribalta il nome Jaguar Love. Districatisi dai propri progetti originari (The Blood Brothers per il primo, Pretty Girls Make Graves per il secondo), i due musicisti americani si sono uniti in un bizzarro crocevia di idee mai veramente messe a fuoco con i propri gruppi, di azzardi e stimoli compositivi sempre tenuti nascosti ma adesso emblemi di un sound nuovo e accecante, sebbene più per la lucentezza barocca del sound che per la sua intrinseca bellezza. Rispetto al passato erano irriconiscibili già nel 2008 e alla stessa maniera i Jaguar Love del 2010 cambiano ancora pelle, allontanandosi progressivamente dalle forme di Take Me to the Sea e coniando uno stile molto più elettronico, caotico oltre che fottutamente pacchiano. Hologram Jams (che peraltro segna il passaggio dei due dalla Matador alla Fat Possum) doveva rappresentare il passo in avanti di un progetto finora accolto non troppo positivamente ma finirà, purtroppo, per diventare l'esatto contrario. E le ragioni non sono poche.
Salutati e - da qualcuno - esaltati come esponenti di spicco del cosidetto nuovo art punk (null'altro che punk contaminato di indie ed elettronica, insomma nulla a che vedere con ciò che realmente era l'art punk verso la fine degli anni '70), i Jaguar Love sono uno di quei gruppi perfetti per l'odierno mercato musicale: attraggono le masse per via del loro accentuato sound easy-listening ma richiamano al contempo l'attenzione degli ascoltatori più ricercati, visto il loro dirompente istrionismo compositivo e i loro progetti d'origine (addirittura i Queens of the Stone Age ne sono rimasti affascinati).

Alla fine, ciò che ne esce fuori è un prodotto che rischia di non accontentare nè l'una nè l'altra frangia. In Hologram Jams le chitarre sono molto meno presenti, in molti casi assottigliate fino a scomparire del tutto; i giochi vocali e sintetici del folle Johnny Whitney sono molto più ingombranti e occupano praticamente tutto lo spettro espressivo del lavoro; il sound, infine, modernizza e colora di luci fluorescenti i toni più punk di Take Me to the Sea, dando al disco delle sembianze molto più fashion e alla moda. In fondo, Hologram Jews non è altro che questo, un lavoro che prende idee precedentemente abozzate e le rende maledettamente più orecchiabili, patinate e ballabili, oscillando in continuazione tra piacevoli azzardi sonori e scelte compositive decisamente contestabili. La mano di Whitney - rispetto a quella di Votolato - è quindi molto più pesante e manovra praticamente da sola la truccata marionetta disco di Hologram Jams; aspetto che non fa troppo bene al disco e lo trascina in un perenne riciclo delle stesse soluzioni e delle stesse, plasticose atmosfere, facendo diventare un lontano ricordo lo pseudo-punk dell'esordio e tirando fuori dal cappello un divertente (e nulla più) spettacolino di voci e synth in 3D. I Jaguar Love virano così verso un electro pop delirante e scalmanato (le pulsioni bloodbrothersiane di Whitney sono ancora vivissime), oltre che decisamente influenzato dalle follie sintetiche di Mindless Self Indulgence e compagnia bella: di buone canzoni ce ne sono (la sensazionale hit Polaroids and Red Wine e il pacchiano ma trascinante riffing di Don't Die Alone, Jaguar Warriors, I Started a Fire e Cherry Soda) ma alla lunga il disco stanca e coinvolge sempre meno, fino a capitolare letteralmente grazie alla pessima rivisitazione della celeberrima Piece of my Heart di Jerry Ragovoy e Bert Berns. Gli impazziti e acutissimi deliri vocali di Whitney risultano prevedibili e poco intensi, molti brani - a furia di synth roboanti e imponenti costruzioni elettroniche - rischiano più volte di scivolare nel baratro, risultando incredibilmente stucchevoli, zuccherosi, ruffiani (le nauseanti Eveline, Sad Parade e Freak Out) e privi di invenzioni realmente esaltanti.

Hologram Jams non è altro che un divertente diletto che pecca però di eccessivo infantilismo: al confronto, Take Me to the Sea (che non in molti casi è stato giudicato positivamente) sembra essere un monolite di serietà e rabbia post-punk. A meno di un clamoroso (ma improbabile) responso commerciale futuro, i Jaguar Love hanno fatto di nuovo flop, non un flop di quelli incancellabili e vergognosi, ma pur sempre un flop. Blood Brothers e Pretty Girls Make Graves, in fondo, non erano mai scesi così in basso.


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