Voto: 
9.7 / 10
Autore: 
Edoardo Baldini
Etichetta: 
Decca
Anno: 
1976
Line-Up: 

- Doug Ferguson - basso, voce in Song within a Song

- Andy Ward - batteria, percussioni

- Peter Bardens - tastiera, voce in Spirit of the Water

- Andy Latimer - chitarra, flauto, voce




Tracklist: 

1. Aristilus (01:59)

2. Song Within a Song (06:48)

3. Chord Change (07:18)

4. Spirit of the Water (02:09)

5. Another Night (07:00)

6. Air Born (05:04)

7. Lunar Sea (09:14)

Camel

Moonmadness

Reduce da quello che la maggior parte dei fans indica come il capolavoro della discografia dei Camel, lo strumentale The Snow Goose, il quartetto inglese appena ad un anno di distanza pubblica Moonmadness. Ormai pare che, giunti al 1976, il Progressive britannico stia cedendo terreno e non riesca più a trovare soluzioni geniali e innovative per l’evoluzione del genere: A Trick of the Tail dei Genesis entusiasma più per l’importanza del nome che per la qualità delle composizioni, Interview dei Gentle Giant è misero nella sua struttura, i King Crimson e gli Yes non stanno vivendo un periodo florido.
L’ultima roccaforte del Progressive è rappresentata proprio dai Camel: Moonmadness raffigura il degno continuatore della tradizione, affiancandosi a In the Court of the Crimson King, Close to the Edge e Foxtrot, come quarta colonna portante degli anni ’70.
Il suono è sicuramente più moderno, ricco di tanti elementi inediti, che proseguono lo sperimentalismo di The Snow Goose, opera appassionante per i suoi temi melodici ed eleganti: canzoni posate che rispecchiano la mentalità riflessiva preannunciata dalla spalmata Supertwister di Mirage.

Ciò che più impressiona della band è l’estrema facilità nel destreggiarsi in ambito di song-writing: quattro full-lenght in quattro anni, di cui tre incarnano l’essenza dello stile settantiano e uno non è altro che un curioso debutto e biglietto da visita.
Il timbro è delizioso e culla nella sua atmosfera composta, fatta di organi, di ritmi lenti e di un flauto totalmente Genesis, che si inserisce nel tessuto con straordinaria efficacia.
Aristillus, rimbombante negli organi possenti, è l’introduzione strumentale che inganna l’ascoltatore: nulla rimarrà simile a queste prime sonorità pungenti, poiché la seconda e articolata Song within a Song spazzerà via con delicatezza ogni traccia di aggressività. Un sogno alla King Crimson si apre e l’immaginario corre via veloce, trascinato dalle voci espressive di Ferguson e Latimer. Non mancano cambiamenti di rotta, con un alleggerimento della canzone ed un repentino stacco che rammenta la Premiata Forneria Marconi: le chitarre diventano accompagnamento ed è il canto dell’organo ad emergere con temi eccezionali e mai scontati.

Un fievole ritorno a Mirage si percepisce nella terza Chord Change, strumentale ben strutturata nelle sue costanti variazioni e dotata di un accompagnamento pregevole da parte di Ward alla batteria; le voci corali disegnano solo la melodia, nessuna parola viene pronunciata e l’assolo continuo disegnato dalla chitarra rimane stampato per la sua spontaneità, non lontana da un certo approccio alla Led Zeppelin.
Riferimenti al Folk inglese dei Jethro Tull possono ricercarsi nella breve Spirit of the Water, ballata creata dagli effetti filtrati della voce e dalle note di pianoforte e flauto traverso, un piacere per tutti gli intenditori di Progressive, pur essendo concisa quanto ciascuna traccia di The Snow Goose.
Sfrontato invece è Another Night, unico brano del disco ad assumere un sapore nettamente fuori dai ’70: chiare sensazione ottantiane, legate soprattutto alle composizioni del grande Alan Parson e dei primi Marillion, non stonano affatto con il contesto dell’opera, perché pongono le basi per il futuro, rendendo Moonmadness fondamentale prodotto di collegamento tra vecchio e nuovo.
Diametralmente opposta è Air Born, il passo più atmosferico del lavoro, provvisto di una voce clean spaventosamente incantevole e di chitarre acustiche da brivido.
Anche Lunar Sea, con la sua intricata vena spaziale va a riscoprire ciò che gli Yes idearono con Tales from Topographic Oceans, chiudendo in modo elettronico l’album, dopo essersi fatto strada attraverso le linee del basso e gli assoli della chitarra.

Furono proprio i quattro inglesi a porre fine positivamente all’epoca d’oro del Progressive: Moonmadness è l’ultimo arrivato dei tanti capolavori dei ’70, il disco forse più ragionato per dare un’impronta diversa al genere e allo stesso tempo quello più spensierato che mantiene vive le influenze dei predecessori. I Camel insegnano come costruire un ponte tra passato e futuro e come accostarsi alla presentazione di diverse sfaccettature della stessa musica.
Moonmadness è, riassumendo, la chiave di lettura di tutta la produzione Progressive, l’unità di misura che consente di comprendere a fondo il genere più variegato della storia del Rock.


NUOVE USCITE
Filastine & Nova
Post World Industries
Montauk
Labellascheggia
Paolo Spaccamonti & Ramon Moro
Dunque - Superbudda
Brucianuvole
Autoprod.
Crampo Eighteen
Autoprod..
BeWider
Autoprod..
Disemballerina
Minotauro
Accesso utente