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Burton C. Bell - vocals
Dino Cazares - guitar
Byron Stroud - bass
Gene Hoglan - drummer
Rhys Fulbers - samples, keyboards, programming, mixing, producer
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01. Mechanize
02. Industrial Discipline
03. Fear Campaign
04. Powershifter
05. Christploitation
06. Oxidizer
07. Controlled Demolition
08. Designing The Enemy
09. Metallic Division
10. Final Exit
Mechanize
Premessa. Per la prima volta nella mia (finora) breve carriera recensoria, ho trovato opportuno utilizzare la prima persona singolare a differenza del consueto pluralia maiestatis: Mechanize, ultima fatica dei cyber metallers Fear Factory, rappresenta in assoluto la pubblicazione più controversa del 2010, soprattutto alla luce delle noiose e talvolta imbarazzanti peripezie che hanno monopolizzato gli organi di stampe per mesi, sia a livello collettivo che in relazione a ciascun componente della celeberrima formazione statunitense. Proprio per questa ragione, e anche in virtù della lunga e ricca carriera artistica della band, sarà in maniera estremamente personale e soggettiva che avrò premura di offrire il mio punto di vista su questo settimo capitolo discografico marchiato a fuoco dalla doppia F, pur conscio del fatto che quanti di voi condivideranno il mio pensiero, altrettanti lo troveranno del tutto assurdo: Mechanize, infatti, è un album manicheo, senza possibilità di compromessi, e tale sarà anche il vostro verdetto finale nei suoi confronti.
Non è mia intenzione, qui ed ora, dilungarmi eccessivamente sulla perigliosa biografia dei Fear Factory, giacché tanto e troppo è stato scritto negli ultimi mesi perché voi possiate esserne rimasti completamente digiuni: in sintesi, il risultato ultimo delle dispute legali e personale che hanno visto protagonisti Dino Cazares e Burton C. Bell da una parte, Raymond Herrera e Christian Olde Wolbers dall'altra, è stata una spaccatura pressoché insanabile (nonostante gli ultimi rumors abbiano rivelato questa stessa tentazione da parte del drummer di origine sudamericana) fra le 2 coppie, sfociata in una malcelata competizione discografica fra i nuovi Fear Factory e gli Arkaea: da una parte, dunque, il paffuto chitarrista messicano e il talentuoso singer dei neonati City Of Fire, il cui omonimo album di debutto è passato pressoché ovunque inosservato, si sono avvalsi della collaborazione della devastante sezione ritmica degli Strapping Young Lad del funambolico Devin Townsend, ovvero Gene Hoglan dietro le pelli e Byron Stroud al basso; dall'altra, invece, gli autori unici di un album riuscito quale Archetype hanno fatto ricorso alla collaborazione dei loro amici Threat Signal, in particolare del bassista Pat Kavanagh e del vocalist Jon Howard. Posto il nostro impietoso giudizio in relazione all'esordio di questi ultimi, il deludente Years In The Darkness, all'attenzione mediatica già piuttosto soffocante si è aggiunta un'irresistibile curiosità per scoprire quale e soprattutto come sarebbe stata la risposta della terza line-up dei Fear Factory: appunto, Mechanize.
Devo ammettere che i primi ascolti mi avevano lasciato decisamente perplesso, in quanto davano l'impressione, piuttosto spiacevole a dire il vero, di un album sostanzialmente monocorde, privo di una reale tensione ispiratrice, frutto di un progetto costruito pressoché a tavolino col solo scopo di rispondere colpo su colpo, come stava accadendo sotto il profilo legale per la definitiva assegnazione del moniker FF, all'uscita discografica degli esuli Christian Wolbers e Raymond Herrera; un prodotto frettoloso, talvolta persino raffazzonato e posticcio, di sicuro non all'altezza di un passato glorioso e ingiustamente sepolto sotto i fastidiosi strali gossip che si sono reciprocamente scambiati gli ex membri.
Ascolto dopo ascolto, però, il richiamo della Macchina della Paura si è fatto sempre più suadente, lasciando filtrare di volta in volta impressioni sempre più nitide e favorevoli: quell'aggressività quasi smodata che mi offriva lo scomodo sospetto che Dino Cazares avesse riciclato alcuni pezzi destinati al prossimo album dei Divine Heresy, oppure addirittura scartati dai precedenti Bleed The Fifth e Briger Of Plagues, si è tramutata d'incanto nella più banale ovvietà che il chitarrista messicano abbia semplicemente rielaborato la propria esperienza in compagnia di Tim Yeung, drummer ex-Nile, introducendola, di riflesso, nel nuovo corso dei Fear Factory. Allo stesso modo, i continui cambi di tempo di una sezione ritmica mai prima d'ora così feroce e martellante, le cui poderose divagazioni thrash certamente esaudiranno le preghiere dei più nostalgici devoti al culto della doppia F, sembrano la prova tangibile del contributo offerto in sede di songwriting da Byron Stroud e Gene Hoglan, la cui illuminante esperienza negli Strapping Your Lad a fianco di un geniale funambolo qual è Devin Townsend ha certamente lasciato un segno indelebile nelle loro capacità tecniche e compositive.
Naturalmente anche Mechanize tiene a rispettare in maniera ferrea e severa parte della tradizione musicale fear-factoriana, in particolar modo relativamente agli inserti elettronici e alla performance vocale di Burton C. Bell: i primi risultano perfettamente equilibrati, particolarmente coesi con le architetture ritmiche che ne soggiacciono alla base, di rado invadenti o eccessivamente pressanti, riuscendo a raggelare l'intera melodia con quella lucentezza metallica, agghiacciante, irrequieta che da sempre caratterizza il cyber metal firmato Fear Factory, eppure ritraendosi prontamente non appena le partiture prevedono il disinnesco della doppia cassa e le accelerazioni fulminanti ad opera della sezione ritmica. Queste interazioni, dalla perfezione quasi meccanica, risultano tanto più esaltanti in virtù della prestazione vocale di un Burton C. Bell in perfetta forma fisica e psicologica: violento ma mai esasperato nelle sezioni più aggressive, sognante ma mai estatico o mieloso nei momenti più puliti, capace di offrire numerose sfumature timbriche persino all'interno di entrambi questi canoni, l'unico membro della formazione ad aver preso parte a tutti gli album pubblicati col moniker Fear Factory dimostra una volta di più la propria caratura artistica dietro al microfono, rivelandosi a tutti gli effetti, se pur in senso figurato, il quarto peso massimo della band.
Stando a quanto scritto finora, Mechanize sembrerebbe possedere tutti i crismi di un capolavoro assoluto, ma così non è: l'ascia di Dino Cazares risulta talvolta spenta, poco incisiva, letteralmente arrugginita, lasciandosi più spesso trascinare dalla sezione ritmica piuttosto che porsene alla guida in maniera perentoria e dittatoriale come spesso ci aspetteremmo; è sottinteso che da un artista monolitico e pesante, sotto tutti i punti di vista, come il chitarrista messicano non ci aspetteremmo certamente evoluzioni mirabolanti o una creatività fantasiosa al limite della teatralità, pur tuttavia s'introduce di soppiatto la fastidiosa impressione che, nonostante la buona tecnica di base e la straripante personalità, la sua involuzione compositiva sia oramai in pieno atto e costui tenda a combattere contro i demoni della ripetizione, della derivazione e della clonazione di sé stesso. Non mancano naturalmente le eccezioni, come la sensazionale Christploitation o la devastante Controlled Demolition, pur tuttavia il campanello d'allarme pare ormai trillare di continuo e, per quanti pretendano sempre e necessariamente la novità, costituirà ben più di un semplice limite personale.
Allo stesso tempo, molte tracce presenti in Mechanize non paiono differire in maniera particolarmente significativa, o, per meglio dire, non sembrano contenere elementi sufficienti a farle spiccare chiaramente al di sopra di una qualità media comunque elevate: posto che Powershifter è certamente un singolo di grido, dato il tiro clamoroso che esala sin dai primissimi ascolti, pochi altri episodi riescono ad imprimersi in maniera così immediata e diretta nella memoria, a testimonianza del fatto che questa prima fatica prodotta dai Fear Factory sotto AFM/Candlelight non è una banale collezione di hits bensì un lavoro tenace ed estremamente coriaceo, da ascoltare assolutamente nella sua interezza. Un'ultima, doverosa considerazione, a chiusura del cerchio iniziato con le iniziali diffidenze, riguarda l'organizzazione inferta alla tracklist: mi domando infatti per quale ragione alla disarmante solidità delle prima 4 tracce, dalla dirompente opener-titletrack alla già nota Powershifter passando per la ferina Industrial Discipline e la thrashy Fear Campaign, si susseguano episodi a dir poco altalenanti, in grado di attraversare la semi-sperimentale Christploitation, la più velleitaria Oxidizer, l'esaltante Controlled Demolition, l'eterea (e in parte monotona) Designing The Enemy, per concludere con l'inutile intermezzo strumentale di Metallic Division e la lunga, fors'anche prolissa, ma ispirata suite intitolata (in maniera piuttosto originale) Final Exit. L'unica risposta che presuma un minimo di fondamento è, a riprova delle congetture iniziale, una certa fretta di chiudere il discorso relativo al tanto atteso ritorno sulle scene internazionali il prima possibile: Oxidizer sembra, a tutti gli effetti, uno sciocco filler, Designing The Enemy un tentativo maldestro di introdurre una variazione sul tema, propositivo nelle intenzioni ma piuttosto incolore negli esiti, mentre Metallic Division, del tutto slegata persino dall'episodio successivo e quindi perfettamente ingiustificata, alla luce della relativa brevità del platter e della sua dubbia collocazione, pare, in effetti, una malcelata forzatura per raggiungere, a tutti i costi, le 10 tracce in lista.
Conclusione. A questo punto non mi resta che chiedere scusa dell'eccessiva prolissità del mio operato ma, come anticipato, Mechanize è forse in assoluto l'album più controverso di questo primo anno della seconda decade del terzo millennio, figlio di una band che ha innegabilmente segnato i precedenti vent'anni della musica metal internazionale ma che, in seguito alle recenti e deleterie controversie legali, ha visto seriamente compromesso il proprio valore e il proprio futuro. Piaccia o non piaccia, Mechanize è la risposta, e qualunque idea vi siate fatti ascoltando quest'ennesimo lavoro di quest'ennesima line up che risponde al nome di Fear Factory, mi auguro soltanto che abbiate potuto trovare nelle mie parole la più solida conferma o il più aspro diniego: ho molto faticato a riunire tutte le idee in maniera univoca e soprattutto concreta, formulando un parere che fosse il più possibile netto e inappellabile, perché forse, proprio nel suo essere bianco o nero, Mechanize rivela tutte le sua contraddizioni, apparenti o reali che siano. L'unica certezza di cui posso farmi forte è che, nel bene e nel male, non riesco più a smettere di ascoltarlo.
LINK PER L'ASCOLTO: il disco è disponibile in streaming integrale presso il MySpace ufficiale della band (clicca qui)