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- Chad Gray - vocals
- Greg Tribbett - guitars
- Ryan Martinie - bass
- Matthew McDonough - drums
:
1. Beautiful And Strange (5:03)
2. 1000 Mile Journey (5:56)
3. Scream With Me (2:52)
4. Closer (3:21)
5. Heard It All Before (6:05)
6. I Can't Wait (3:03)
7. Beyond The Pale (4:47)
8. All Talk (2:52)
9. Out To Pasture (5:47)
10. Burn The Bridge (3:36)
11. Dead Inside (4:55)
Mudvayne
Prima di addentrarci nella più attenta analisi di questa quinta pubblicazione firmata Mudvayne è bene fare una premessa, necessaria per comprendere alcuni dettagli cui certamente si farà riferimento in seguito: la genesi originaria di Mudvayne, ultimo omonimo album della formazione originaria di Peoria, risale alla pubblicazione del predecessore The New Game, in quanto i pezzi registrati ed inseriti all'interno di quest'ultimo non erano che là metà dei brani complessivamente composti per un progetto più ampio, un doppio album il cui seguito, che avrebbe dovuto intitolarsi Game Over, sarebbe stato pubblicato a distanza di 1 anno o addirittura 6 mesi; alla luce di quanto accaduto in questi ultimi mesi questo progetto deve essere evidentemente naufragato, ma solo in via nominale, in quanto i tempi di pubblicazione di Mudvayne non consentono certamente la composizione e la registrazione di un pacchetto di tracce nuovo di zecca, in quanto sarebbe del tutto assurdo supporre che numerosi brani siano stati brutalmente cestinati in virtù di ragioni a noi sconosciute, in quanto le tracce stesse proposte in Mudvayne proseguono nitidamente il discorso musicale iniziato dal precedente The New Game, costituendone al contempo continuazione ed evoluzione.
Se ci siamo dilungati nella precedente disquisizione è perché, come avrete potuto notare, avrà un discreto rilievo nella valutazione finale dell'album; al contrario, posto che si tratta di un'idea insolita e geniale dal punto di vista del marketing discografico, dovremo volutamente trascurare il tambureggiante riscontro mediatico che ha avuto, nei mesi precedenti, il package del disco, con quella trovata bizzarra e sostanzialmente inutile di un art work visibile solamente ad una particolare illuminazione.
Arrivando finalmente all'album in questione, va detto che la storia musicale dei Mudvayne non ci lascia alcun tipo di premessa solida su cui fondare le nostre aspettative: la formazione americana ci ha ormai abituati a cambi di rotta a dir poco repentini, talvolta azzeccati talvolta del tutto improbi, tanto più dopo una prova sostanzialmente audace come The New Game, che ha lasciato interdetto chiunque abbia avuto l'ardire di ascoltarlo, chi con discreta soddisfazione, chi con amara delusione. Quest'ultimo lavoro, presentato, come da ovvia consuetudine, come il miglior album finora realizzato dalla band, risulta immediatamente il più enigmatico che Chad Gray e soci abbiano finora pubblicato, forse persino il più impegnativo dal punto di vista concettuale e assimilativo. Fondamentale è soprattutto l'approccio iniziale che vi guiderà durante l'ascolto: se vi aspettate o vi augurate un ritorno alle origini, di per sé assolutamente improponibile e sostanzialmente insensato, le vostre aspettative saranno inesorabilmente disilluse, in quanto, dopo il parziale capolavoro di Lost And Found e a partire dal precedente The New Game, i Mudvayne hanno intrapreso una svolta netta che li sta conducendo lentamente ma inesorabilmente ad una nuova dimensione, meno schizzata e istintiva, molto più ragionata e consapevole. Allo stesso tempo, non si può certo trascurare il fatto che quest'ultimo, omonimo, album sia la seconda parte del suo predecessore, di cui non muta evidentemente né il sound né le intenzioni: in sintesi, se avevate apprezzato New Game, certamente Mudvayne non vi deluderà; allo stesso tempo, se New Game non vi aveva soddisfatto, è probabile che il presente Mudvayne possa farvi parzialmente ricredere. La differenza essenziale fra i due capitoli discografici qui in evidenza è essenzialmente una: mentre The New Game si configurava come una serie di hits piuttosto accessibili di cui alcune effettivamente ben riuscite, altre semplicemente inutili e inutilmente deboli, il presente Mudvayne approfondisce il lato più cerebrale e ricercato della seconda vita artistica della band, riducendo drasticamente i momenti di ovvietà e ritrovando la propria vena compositiva e soprattutto realizzativa in maniera nuovamente brillante ed efficace, quanto e più del suo fratello maggiore.
In termini qualitativi, l'album pare diviso in 3 sezioni fondamentali: la prima è costituita dalle prime 5 tracce, da Beautiful And Strange, inizialmente sterile ma in spaventoso crescendo con gli ascolti, alla superlativa Heard It All Before, un assoluto uno dei migliori pezzi mai scritti dai Mudvayne nella loro ultradecennale carriera, passando per 1000 Mile Journey, che prosegue a meraviglia il discorso musicale precedentemente sviluppato in The New Game, e Scream With Me, primo singolo estratto ma anche traccia abbastanza scontata; unica pecca, la velleitaria Closer, penalizzata da un chorus assolutamente inconcludente. La seconda sezione è in assoluto quella più eccentrica: I Can't Wait ritrova una scheggia di quell'ispirazione tipicamente schizofrenica propria degli album degli esordi, sebbene penalizzata da un refrain forse poco esplosivo;, mentre Beyond The Pale introduce alcuni elementi atmosferici di grande fascino, insinuandosi con convinzione all'interno delle consuete ritmiche saltellanti in primo luogo plasmate secondo una forma canzone finalmente imprevedibile, in secondo luogo finalmente finalizzate da accelerazioni all'altezza della situazione; anche in questa seconda occasione peccato soltanto per All Talk, intermezzo di scarso spessore, di modesto valore, in definitiva semplicemente inutile ai fini dell'elaborazione della tracklist. Infine, la terza sezione si presenta in assoluto come quella più compatta e, in parte, persino sperimentale: prima la stupefacente Out To Pasture, oscura, vagamente sinistra, sicuramente anticonvenzionale rispetto ai canoni consolidati dalla formazione statunitense, quindi la rocciosa e brillantissima Burn The Bridge, assolutamente e doverosamente singolo in pectore, infine la ballad acustica Dead Inside, interessante ma abbastanza prolissa e, a tratti, a dire il vero persino insipida.
In conclusione, i Mudvayne dimostrano di aver imboccato una strada precisa e soprattutto definitiva e di percorrerla con sempre maggior convinzione e consapevolezza della propria ritrovata identità: benché piuttosto lontano dagli indiscutibili fasti degli esordi, ed ovviamente lungi da qualsivoglia perfezione, quest'ultimo album conferma comunque, quanto e più del precedente The New Game, come il gruppo capitanato da Chad Gray stia lentamente ma inesorabilmente acquisendo una nuova fisionomia artistica che, nel bene o nel male, sarà in grado di identificare le loro future fatiche discografiche in maniera finalmente univoca, nitida e coerente coi propri intenti. Se il predecessore era stato accolto con esagerato scetticismo e, successivamente, troppo spesso giudicato in malo modo, soprattutto in maniera discutibilmente frettolosa, ciò non deve assolutamente accadere con Mudvayne, perché quest'ultimo merita davvero una chance, e perché i Mudvayne stessi meritano ancora, davvero, una grossa chance.