- Matt Skiba - vocals, guitars
- Dan Andriano - vocals, bass
- Derek Grant - drums, percussions, backing vocals
Guests:
- Keith Morris and Jerry Finn - additional vocals
1. "This Could Be Love" – 3:47
2. "We've Had Enough" – 2:51
3. "One Hundred Stories" – 3:40
4. "Continental" – 3:28
5. "All On Black" – 4:00
6. "Emma" – 2:42
7. "Fatally Yours" – 2:16
8. "Every Thug Needs A Lady" – 3:18
9. "Blue Carolina" – 3:28
10. "Donner Party (All Night)" – 2:44
11. "If We Never Go Inside" – 3:46
12. "Blue In The Face" – 3:02
Good Mourning
Formati a Chicago nel 1996 dall'ex batterista dei Jerkwater, Matt Skiba (qui voce e chitarra), da Glenn Porter alla batteria (precedentemente negli 88 Fingers Louie) e da Rob Duran al basso, gli Alkaline Trio sono tutt'ora insieme, uniti dalla passione per il punk rock, dalle angosce esistenziali e dal culto dell'oscuro. La loro prima pubblicazione, l'EP For Your Lings datato 1997, avviene appena prima del primo cambio all'interno della line up: è Doran ad andarsene e continuerà la carriera nei Sundials; al suo posto subentra l'ex bassista degli Slapstick, Dan Andriano: con la sua entrata subentra una seconda voce che va ad aggiungersi a quella di Skiba e che darà un'impronta più dinamica ai lavori della band. I tre iniziano a farsi un nome attraverso tutta l'America medio-occidentale con il loro pop punk oscuro rinfarcito di emozioni, guidati dalle loro storie che raccontano le tipiche angosce adolescenziali. Con questa formazione ormai abbastanza fissa il Trio rilascia il suo primo full-lenght, Goddamnit, sotto Asian Man, nel 1998: è l'elogio degli avvenimenti della loro gioventù, vissuta tra delusioni d'amore e inni anti-sbirri.
Nei primi mesi del 1999 escono addirittura due album: uno tutto d'inediti, l'ottimo Maybe I'll Catch Fire che contiene la celeberrima ballata emo Radio, l'altro una raccolta di demo ante-esordio discografico (Alkaline Trio). L'arrivo del nuovo millennio riserva delle sorprese al Trio: Glenn Porter lascia nei primi mesi del 2000 e viene sostituito immediatamente da Mike Felumlee, ex batterista degli Smoking Popes. Segue l'uscita di From Here to Infermary rilasciato sotto la grande label indipendente Vagrant nella primavera del 2001: la formula rimane la stessa dei precedenti album, vale a dire punk pop velato di malinconia emo e con punte di oscurità alla Social Distortion.
Nel 2002 ancora un cambio alla batteria: stavolta è il turno di Derek Grant (ex Suicide Machines); nello stesso anno viene fatto uscire da Jade Tree lo split con gli Hot Water Music: questi ultimi e il Trio in questo album propongono canzoni del proprio repertorio e cover degli altri. L'anno seguente esce il capolavoro della band, quel Good Mourning caratterizzato sempre più da sonorità dark e da testi pseudo-satanici (che rispecchiano l'adesione di Matt Skiba e di Grant alla Church Of Satan di LaVey), il tutto mischiato con intriganti melodie orecchiabili. E' l'apice creativo della band: a dimostrarlo ci sono pezzi come This Could Be Love, We've Had Enough, All On Black, Blue Carolina, Emma, Continental e l'interessamento di molte stazioni radiofoniche e televisive.
Non è facile unire testi malincolici, atmosfere dark e corpose melodie punk pop: gli Alkaline Trio di Matt Skiba ci riescono nel migliore dei modi, licenziando questo Good Mourning che si candida di diritto nella lista degli album della scena punk più interessanti degli ultimi anni. Il titolo è un evidente gioco di parole tra la formula di saluto e la parola "mourning" (= lutto, lamento): la band ha scelto questo titolo perchè rappresenta al meglio la particolarità loro musica, un intersezione tra le melodie catchy tipiche del punk pop e la predilizione per atmosfere dark alla AFI.
Nonostante l'impronta classica del trio sia evidente e il modo di suonare e comporre rimanga più o meno lo stesso, affiorano anche alcune novità durante l'ascolto del disco: innanzitutto si nota una produzione più curata nei minimi particolari, che rinvigorisce ulteriormente la nuova linfa oscura che impreziosisce questo nuovo lavoro della band di Matt Skiba: la band si eleva ad un livello superiore e sicuramente più intrigante rispetto a quanto mostrato nei precedenti album di punk pop un tantino anonimo. In secondo luogo l'album non rimane per tutti i quaranta minuti di durata sulla stessa onda sonora, ma alterna pezzi più duri a quelli a cui ci hanno solitamente abituato (We've Had Enough, Fatally Yours, Donner Party), a ballate più lente ed emozionali (come la conclusiva Blue In The Face), a canzoni punk pop in stile Screeching Weasel dotate di ritornelli catchy che prendono facilmente l'ascoltatore (Emma, Blue Carolina).
L'album si apre con la struggente This Could Be Love, quasi un omaggio ai Social Distortion più cupi; l'amore è visto come una condivisione di sangue e riti magici, in linea con l'adesione di Skiba e del batterista della band per la Church Of Satan di LaVey. L'album continua con la coinvolgente e travolgente We've Had Enough, che colpisce anche per la sovrapposizione di voci nel ritornello: senza dubbio uno dei migliori episodi dell'intero lavoro; il tema trattato è ricorrente nella scena punk dal settantasette ad oggi, vale a dire il poco spazio che le radio riservano alla musica "punk". L'album si snoda poi tra mid-ballad rock dalla forte impronta emo, come la trascinante Continental, canzone che parla del suicidio e che si candida di diritto come uno dei migliori episodi del cd, e All On Black, della quale non passa certo inosservato il testo, decisamente sopra la media per quanto riguarda l'attuale scena punk pop: d'altra parte è noto che la band di Chicago cura le liriche forse ancora più che le musiche, e i risultati sono sotto gli occhi di tutti. L'emozionante Blue Carolina, pezzo che si rifà alla migliore tradizione melodica del punk, fa il paio con Emma, episodio energico in cui amore e morte si incontrano ancora una volta. Fatally Yours e Donner Party, che le seguono a ruota, sono due schegge che quasi spiazzano l'ascoltatore per la loro velocità e dinamicità. In Every Thug Needs A Lady si segnala la sovrapposizione tra chitarra elettrica e chitarra acustica, mentre quella classica viene usata solo nel brano di chiusura, la cupissima ballata Blue In The Face, degno epilogo di un album di cui si parlerà a lungo.
Ottima conferma per il gruppo, che rilascia così quello che forse è il suo album migliore (ma il confronto con Maybe I'll Catch Fire è arduo). Certamente un album particolare e da scoprire, oltre che il tipico classico disco per cui il votoè arduo da arrotondare, perché pieno di sfumature (come d'altronde ogni loro album).