- Ken Jordan - Programming, Synth
- Scott Kirkland - Programming, Synth
Guests:
- Peter Hook - Programming, Synth in "Dirty Thirty" e "Blunts & Robots"
- Matisyahu - Voce in "Drown in the Now"
- Justin Warfield - Voce, Arrangiamenti in "Kling to the Wreckage"
- Emily Haines - Voce in "Come Back Clean"
- Jason Lytle - Voce in "Slipstream"
- Stephanie Kilng Warfield - Voce in "Black Rainbows"
- Meiko - Voce in "Falling Hard"
1. Divided By Night
2. Dirty Thirty
3. Drown In The Now
4. Kling To The Wreckage
5. Smile?
6. Sine Language
7. Double Down Under
8. Come Back Clean
9. Slipstream
10. Black Rainbows
11. Blunts & Robots
12. Falling Hard
Divided by Night
Il big beat è nato a metà anni '90 in Inghilterra, eppure una delle sue più convincenti ed emblematiche espressioni è da rintracciare dall'altra parte dell'oceano, a Los Angeles per la precisione. Gli americani Crystal Method, esplosi grazie al successo di Vegas nel 1998, sono tuttora riconosciuti come tra i maggiori esponenti di quella tendenza elettronica che infiammò l'underground britannico grazie all'operato di Chemical Brothers, Fatboy Slim, Apollo 440, Propellerheads e Prodigy: a undici anni di distanza da quello che è e rimane il punto più alto della loro carriera, i Crystal Method fanno ritorno con un album che di certo non deluderà i fan che seguono da tempo il progetto americano: Divided by Night è un lavoro che si pone infatti sulla scia dei precedenti full-lenght, dei quali ricalca forme e atmosfere, accentuando come al solito la raffinatezza e la pulizia sonora del duo statunitense. Il big beat si ritrova qui sotto luci diverse da quelle che fecero risplendere Vegas, luci meno 'da strada' e sicuramente più sottili e curate, affiancate da continui inserti hip-hop, fluidi andamenti breakbeat e un'ispirazione melodica che come al solito brilla per efficacia comunicativa e capacità di trascinare.
Sebbene l'originalità di un tempo sia andata perduta, Divided by Night è un disco che non si perde e che, anzi, dimostra grande sicurezza negli arrangiamenti e nelle atmosfere, supportate da un uso calibrato di synth e di effetti elettronici che esprime equilibratamente le doti espressive del lavoro. Affiancati anche da una serie di ospiti di tutto rispetto (il rapper ebreo Matisyahu, Justin Warfield degli She Wants Revenge e la moglie Stephanie, Emily Haines di Broken Social Scene e Metric, la cantautrice americana Meiko), i Crystal Method dimostrano di non aver ancora perso la stoffa con la quale erano improvvisamente apparsi sotto i riflettori dello scenario elettronico internazionale, tanto da accaparrarsi nel 2007 un lauto contratto con la Nike per la realizzazione del quarto studio album.
Alleggeriti i più corposi elementi big beat (qui propriamente espressi solo dalle discrete Smile?, Double Down Under e Slipstream e dalla più banale Blunts & Robots), Divided by Night si concede ad una per nulla azzardata commistione stilistica che, se da una parte distrugge gli aneliti più ricercati del progetto, dall'altra mette meglio in evidenza la pulizia e l'eleganza sonora del disco, mai maniacalmente curata come in questo caso. L'album, per il resto, non cade quasi mai in fallo (escludendo l'irritante hip-hop barocco di Drown in the Now e la banale opener Divided by Night) senza però riuscire definitivamente a prendere il volo, nonostante vi siano canzoni di tutto rispetto in grado di trascinare ed emozionare come ai vecchi tempi, a partire dalla techno ipnotica di Black Rainbows (il refrain rimane l'apice del disco) per finire con le inaspettate atmosfere trip-hop della più malinconica Falling Hard, brano conclusivo del full-lenght e tra i suoi episodi più convincenti. Piacevoli, seppur senza alcuna pretesa, sono anche le più ballabili Dity Thirty, Come Back Cleaning e Sine Language - quest'ultima quasi un plagio al Clint Mansell di Requiem for a Dream - oltre a Kling to the Wreckage, ottimo connubio di voci disco, melodie forti e ritmi ostinati e martellanti che mette una volta per tutte in luce la perizia sonora e la precisione compositiva del duo di Los Angeles.
Non deludendo nemmeno questa volta al contrario di alcuni ex compagni di genere (Chemical Brothers e Groove Armada ne sanno qualcosa?), Ken Jordan e Scott Kirkland si sono dimostrati, assieme ai Prodigy, gli unici ancora in grado di rielaborare positivamente e di riportare in auge le sonorità big beat con cui erano diventati famosi nella seconda metà degli anni '90, sebbene il tutto venga qui filtrato in un sound ancora più orecchiabile, meno accattivante e senza pretese. Un'originalità spesso assente e un manierismo che inevitabilmente si insinua nei tessuti sonori del progetto sono gli unici elementi di disturbo di un lavoro che, con qualche ricerca in più e qualche palese riciclo in meno, sarebbe potuto diventare uno dei dischi dell'anno in ambito elettronico. I fan e gli ascoltatori più incalliti possono in ogni caso stare tranquilli. Come al solito.