- Louise Rhodes - voce
- Andy Barlow - composizione, arrangiamenti, programmazione, tastiere, sintetizzatori
1. What Sound
2. One
3. Sweet
4. I Cry
5. Scratch Bass
6. Heaven
7. Small
8. Gabriel
9. Sweetheart
10. Just Is
What Sound
Nel terzo album What Sound i Lamb si distaccano dalla vena privilegiante ritmiche frenetiche (anche con tempi particolari) e giochi vocali, rimpiazzando gran parte degli elementi drum'n'bass e breakbeat con un più sostenuto downtempo, mentre le atmosfere si fanno generalmente più soffuse e ambientali. La voce di Lou Rhodes si adatta a ciò, risultando più malinconica e morbida.
Si tratta del disco più vicino al trip hop del gruppo, che entra praticamente in una sua variante più elettronica e new age. Dalla matrice principale del trip hop i Lamb partono per costruire un sound però molto più evocativo e spesso onirico, non solo in confronto al predecessore, pur non rinunciante ad alcuni momenti più incalzanti. Sono poche le eccezioni a queste coordinate ma si tratta di episodi marginali e poco convincenti.
Se la formula di base del genere non viene aggiornata più di tanto rispetto ai gruppi che influenzano maggiormente il duo per le ritmiche (Sneaker Pimps, Crustation, Moloko, primi Morcheeba), è però il contorno atmosferico e negli arrangiamenti ad assumere una discreta personalità e a distaccarsi da loro, per via del background musicale degli inglesi in particolare dall'eredità stilistica dell'esordio.
Quel che manca è invece un più approfondito lavoro di caratterizzazione nei brani che risultano discontinui e con un potenziale non espresso a fondo. Quest'ultimo fattore avviene principalmente per via del canone stilistico del full-lenght che tende a far coabitare due anime, una più vicina alla chillout ed una che consiste in un'espressione relativamente più sperimentale nei suoni: per cui i momenti più particolareggiati tendono ad essere affievoliti nella propria "profondità" con l'attitudine da ballad sentimentale o da escursione onirica a tutti i costi, anche a costo di risultare un po' monotoni (ma nel suo dipanare tappeti eterei, suoni avvolgenti, sfondi sfumati il disco riesce comunque a mostrare molta eleganza), oppure al contrario sono essi stessi a smorzare la passionalità.
Ciò non significa comunque che i Lamb non abbiano scritto delle canzoni riuscite, piccole perle che risplendono e catturano con giochi compositivi di gran classe, e che vi siano spunti pregevoli nelle soluzioni sonore di volta in volta adottate.
L'iniziale titletrack è inizialmente una ballata di fondali ambient, archi nostalgici e note acustiche, ma l'intermezzo centrale spacca l'armonia catapultando in un'interessante commistione di ritmi secchi e tappeti sonori emozionali.
La successiva One apre le porte al trip hop, con un battito cupo e delicato (accompagnato da piccoli spruzzi breakbeat in sottofondo) a sostegno di un sound elettronico ed onirico.
Sweet invece è una parentesi funk/upbeat, poco incisiva e che stona con il resto dell'album.
Con I Cry abbiamo un trip hop mandato avanti dai ritmi intriganti sui quali poggiano di volta in volta spruzzi elettronici minimalisti, inserti di strings, dualismi vocali (breve inserto di voce maschile accanto a Lou) e crescendo emotivi.
Scratch Bass è l'unico pezzo che ritorna su territori drum'n'bass, ma è monotona e più un esercizio di stile accattivante che altro.
Fra le canzoni migliori del disco c'è Heaven, con percussioni esotiche, bassi dub, tonalità celestiali, refrain di chitarra latineggiante accompagnata da una mesta tastiera in lontananza; mentre Small è più un'interessante escursione elettro-ambient con battito elettronico a scandire un'atmosfera liquida ed onirica come non mai, e anche con esperimenti sonori e alcuni droni, ma senza troppo spessore.
Viene ora la famosa Gabriel, ballata trip hop che raggiunge l'apice emotivo e malinconico dell'album ed è probabilmente la canzone più riuscita di tutte - eccetto per qualche tòpos stilistico un po' prevedibile, come l'orchestrazione che sfocia in un climax comunque emozionante.
Invece la successiva Sweetheart è più sperimentale, con effetti sonori bizzarri, ritmiche martellanti, strings che si infiltrano fra i beats metallici e vocalizzi eterei di sfondo.
Infine Just Is enfatizza l'atmosfera con riempimenti tastieristici, voce da sirena, pianoforti minimali, suoni distorti e campionamenti vari, ma è un po' ripetitiva. C'è anche una ghost track di solo pianoforte dopo una decina di minuti di silenzio.
Si tratta quindi di un album riuscito a metà, con molti spunti interessanti ed alcune canzoni fra le migliori composte dal duo, ma in cui emerge un po' un conflitto nella necessità di coniugare il lato melodico/atmosferico con quello più elettronico e quello più downtempo. C'è anche il potenziale maggiore fino ad ora riscontrato in un disco dei Lamb, purtroppo spesso inespresso proprio per ciò che ci piace paragonare ad una coperta troppo corta: se si tira da una parte, per approfondire un dato elemento, rimane scoperta un'altra, che così risulta appiatita, e il compromesso non sempre permette sufficiente enfasi. Non ancora la definitiva maturità per i Lamb, quindi.