Voto: 
8.4 / 10
Autore: 
Alessandro Mattedi
Etichetta: 
Creation Records/SBK
Anno: 
1991
Line-Up: 

- Neil Halstead - voce, chitarra, tastiere
- Rachel Goswell - voce, chitarra
- Christian Savill - chitarra
- Nick Chaplin - basso
- Simon Scott - batteria

Tracklist: 


1. Spanish Air
2. Celia's Dream
3. Catch the Breeze
4. Ballad of Sister Sue
5. Erik's Song
6. Waves
7. Brighter
8. The Sadman
9. Primal

Slowdive

Just for a Day

Il nucleo iniziale degli Slowdive viene formato quando i suoi membri sono ancora studenti, nei pressi di Reading, da Neil Halstead e da Rachel Goswell. I due sono molto interessati per la dark-wave ed in particolar modo per una delle sue principali propagazioni, e cioè il dream pop, specialmente nella forma dei Cocteau Twins di Elizabeth Fraser; ma ad attirarli vi è anche il noise pop dei Jesus and Mary Chain accanto alle prime sperimentazioni dei My Bloody Valentine, i classici della psichedelia e gli Smiths (per i quali la Goswell va matta). Questa affinità di interessi permette l'entrata nel gruppo del chitarrista Christian Savill, del batterista Adrian Sell e del bassista Nick Chaplin, che muta il moniker iniziale Pumpkin Fairises nell'attuale dopo che gli è apparso in un sogno.
Dopo aver rapidamente pubblicato un primo celebrato EP omonimo, Sell viene rimpiazzato da Neil Carter, che però già lascia il gruppo per far posto a Simon Scott dietro le pelli prima della scrittira di un nuovo EP nel 1991, Morningrise, seguito rapidamente dal terzo Holding Our Breath.
Trovata comunque una prima formazione stabile al 100% in ogni suo componente, ed ottenuto diverso successo di critica e di pubblico nell'ambiente underground indipendente, gli Slowdive si apprestano a pubblicare il primo album Just for a Day a distanza di pochi mesi sotto l'etichetta Creation, sotto la quale gravitavano i principali gruppi inclusi nella controversa etichetta "shoegaze" che i giornalisti stavano coniando in quell'epoca.

La musica degli Slowdive è qualcosa di soffuso, esistenziale e melodico, che parte dalle coordinate del dream pop (atmosfere eteree, note morbide ed avvolgenti ad accompagnare vocalizzi celestiali, culmini emotivi vissuti ma melodici) poi aggiornato con i muri sonori corposi e gli effetti distorti del noise melodico, mediandoli tramite le rotture nei confronti della classica formula dream pop dei Ride ed in parte le sperimentazioni timbriche dei My Bloody Valentine. Lo stesso nome può essere rappresentativo di ciò: l'energia di un tuffo (in un vortice di emozioni trasposte in suono?) la cui cinematica è però rallentata, come a scandirne ogni singola sensazione per coglierne l'essenza più intima, profonda e delicata.
L'esordio Just for a Day, che fra l'altro è composto quasi interamente dall'uomo-gruppo Halstead, si rivela così un disco poetico, surreale, di una sospensione emotiva e atmosferica continua: profondi strati di distorsioni levigate, immerse nel feedback più puro, di sottofondo a gorgheggi vocali melodici, a volte quasi nenie celestiali, e climax dove la psichedelia e l'onirismo si fondono in una sinergia nuova ed emozionante. Le ritmiche sono cadenzati e pulsanti, alla maniera dei My Bloody Valentine soprattutto nei bassi, ma vicine anche allo slow-core.
Il cuore melodico del dream pop emerge a più riprese nel songwriting dilatato e armonioso, intriso da un'attitudine fortemente intimista, per poi esplodere negli strati di chitarre dei ritornelli assieme ad un noise sognante e dalle marcate connotazioni atmosfericizzate (ed atmosfericizzanti) e perpetuarsi in distensioni più delicate. Gli umori sono teneri e malinconici, sfocianti spesso in un romanticismo moderno e sfumato. Le canzoni sono lineari, privilegianti l'enfasi emotiva ed atmosferica, piuttosto che gli assoli o la ripetizione blanda e radio-friendly - per quanto vi sia una genuina melodicità, anzi, melodiosità.

L'iniziale Spanish Air gioca sul connubio fra i bassi intermittenti e lo sfondo costituito da calde tastiere e veloci arpeggi cocteautwinsiani. La voce di Halstead e della Goswell è sovrapposta in un duetto leggero e soave, accompagnato da tenui archi e da accennate cascate sonore chitarristiche. In conclusione c'è l'apice del brano, con chitarre acustiche e gli archi più in evidenza.
Celia's Dream è più meditata e soffusa, con tenui chitarre, spunti dai Cure, un testo visionario che colpisce l'immaginario e intensi riempimenti di tastiera a costruire un sound dilatato e sostenuto. Nel finale c'è un forte crescendo d'impatto sonoro ed emotivo, con un'amplificazione struggente delle chitarre. Questo ruolo della conclusione viene accentuato al massimo nel brano successivo: infatti la famosa Catch the Breeze, già contenuta nel precedente EP, è forse il capolavoro dell'album grazie soprattutto all'outro tesa, eterea e rumorosa che ha colpito a lungo fin dalla sua prima pubblicazione, con tripla stratificazione di chitarre a generare un'aura inquieta e dissonante, a tratti lisergica, ma anche speranzosa; il pathos dell'album è qui al massimo. Ma il resto del brano rimane ugualmente una creativa perla di dolcezza e tristezza fusi insieme, sia nei motivi leggeri ma cadenzati che nel toccante ritornello.
Il picco della malinconia c'è forse in Ballad of Sister Sue, con un testo colmo di malessere che fa riferimento anche al suicidio e alla depressione, seguita dalla tragicità di Waves in netto contrasto con le sue sonorità molto più gioiose e cariche di speranza - e con quello che probabilmente è il ritornello più catchy del disco.
In mezzo c'è però Erik's Song che è praticamente ambient, con riverberi sonori, tenui strings ed un piano ovattato in lontananza. Si tratta di una parentesi, ma in realtà è improprio definirla così perché suona naturalissima e come una progressione naturale del suono del gruppo.
Brighter prosegue l'apertura a melodie più solari e positive di Waves, mentre The Sadman si avvicina ai Cure tingendo il tutto con spruzzi esotici mesmerizzanti, giochi onirici di chitarre riverberate in lontananza e proiettando in un viaggio verso luoghi sperduti ed evocativi, da cui emergono solo i sussurri della Goswell e le scariche chitarristiche del chorus.
Infine Primal è un consueto crescendo con arpeggi cristallini e vocalizzi accennati, in una placida apertura, che vanno a sfociare in quello che è uno dei momenti più intensi e tragici dell'intero full-lenght: riverberi raggelanti, bassi sempre più corposi, secca batteria di sostegno, feedback chitarristico portato agli estremi e poi, repentinamente, tutto si dissolve nel silenzio.

Finisce il viaggio (o il sogno), le distorsioni dei chorus ed i climax emotivi non sminuiscono nè coprono la dolcezza e la quietitudine che emergono fra quelli che sono quasi dei "soundscapes", accanto a note malinconiche e vissute, ma anzi le rafforzano.
Per via delle loro sonorità intime e suggestive gli Slowdive riscossero subito successo in ambiente indie all'epoca, mentre per le affinità a livello di feedback sonoro e di giochi effettistici con i primi gruppi a cui venne affibiato il termine furono inclusi fra gli shoegazers, catalogazione che di solito perdura ancora oggi nonostante il dibattito della critica sulla legittimità del ritenere esistita una effettiva "scena shoegaze". Ciò non toglie che Just for a Day rimanga uno dei capolavori del dream pop (pur intriso di droni ipnotici e muri noisy, ma con l'effetto riuscito di catalizzare ed enfatizzare le atmosfere sognanti e l'emozionalità delle canzoni) successivo alla spaccatura in ambito musicale effettuata dai fulminanti My Bloody Valentine alla fine degli anni '80, nonché una pietra miliare per chiunque voglia approcciarsi allo shoegazing (assieme a Nowhere e a Loveless).

Successivamente alla pubblicazione di quest'album il gruppo incontra i favori positivi di Brian Eno, che li definisce "geniali" e si propone di produrre per loro la successiva uscita.

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