Voto: 
7.5 / 10
Autore: 
Damiano Cembali
Etichetta: 
Spinefarm Records
Anno: 
2009
Line-Up: 

:
- Ivan Moody – vocals
- Zolthan Bathory – rhythm guitar
- Jason Hook – lead guitar
- Matt Snell – bass, backing vocals
- Jeremy Spencer - drums

Tracklist: 

:
01. Dying Breed - 2:54
02. Hard To See - 3:29
03. Bulletproof - 3:16
04. No One Gets Left Behind – 3:23
05. Crossing Over – 2:54
06. Burn It Down – 3:33
07. Far From Home – 3:32
08. Falling In Hate – 3:00
09. My Own Hell – 3:35
10. Walk Away – 3:42
11. Canto 34 (instrumental) – 4:09
12. Bad Company (Bad Company Cover) – 4:22
13. War Is The Answer – 3:18

Five Finger Death Punch

War Is The Answer

Nel corso della carriera discografica di una band, il secondo album non viene mai particolarmente valorizzato: vuoi perché si trascina inevitabilmente pregi e difetti dell’esordio, vuoi perché si tende a minimizzarne i contenuti in attesa della controprova definitiva del successivo, quasi mai si tende a viverne l’attesa con particolare interesse, quasi si trattasse di una tappa puramente interlocutoria in vista della consacrazione e della maturità del terzo. A questa regola generale si oppongono però alcune situazioni in cui un debutto particolarmente significativo e riuscito può suscitare clamore a tal punto da necessitare una conferma immediata, o un’immediata smentita: è proprio questo il caso dei Five Finger Death Punch, che, a 2 anni dall’acclamato esordio di The Way Of The Fist, sbarcato con egual successo in Europa solamente 10 mesi or sono, si ripropongono all’attenzione del grande pubblico con l’atteso War Is The Answer. Proprio quest’ultimo aggettivo rappresenta la differenza principale tra la regola e l’eccezione costituita dalla giovane formazione americana: se, infatti, The Way Of The Fist non rappresentava comunque un evento significativo per la maggior parte dei supporters metal del vecchio continente (decisamente meno nei caso dei contemporanei d’oltreoceano, visto il clamoroso trionfo radiofonico di The Bleeding), trattandosi di formazione neonata e sostanzialmente ignota, al contrario War is The Answer si porta dietro tutt’un fardello di pressioni mediatiche in grado davvero di sovvertire le sorti discografiche dei Five Finger Death Punch o, viceversa, di amplificarne ulteriormente il buon nome e il relativo conto in banca. Con grande merito, però, la crew capitanata dallo strabiliante Ivan Moody dimostra, per la seconda volta, personalità, carattere e qualità a sufficienza per confermarsi leader nel campo del modern metal internazionale, con buona pace di quanti l’avevano immediatamente etichettata come l’ennesima band artificiale pronta a vendere la propria anima metallica per spennare i metal kids di mezzo mondo.

La realtà è che i 5FDP sono una macchina perfetta di riffs tanto elementari quanto efficaci, tanto essenziali quanto esaltanti: le loro canzoni, perché è di canzoni che stiamo parlando e non di cervellotici esibizionismi, scorrono nel lettore con naturalezza disarmante e penetrano nella memoria con facilità inesprimibile, al punto tale che, sin dal primo ascolto, per quanto disattento possa essere stato, ci si ritrova a canticchiare la nenia mortale dei loro refrains, senza esitazioni, senza tentennamenti. E’ questa la principale forza  trainante dello stile unico dei Five Finger Death Punch, che in War Is The Answer sembra forse trovare la sua più concreta espressione: dopo i meritati fasti di The Way Of The Fist, costoro si confermano infatti figli prediletti del groove metal primigenio firmato Pantera, dando vita ad un imperioso edificio di modern/alt metal che si regge su graffianti strutture hard rock, che vibra di un’aggressività quasi nu, che riecheggia di nostalgico mood southern, come nelle radici più profonde del compianto Dimebag Darrel e del fratello Vinnie Paul Abbott. A rendere ancor più disarmanti ed accoglienti le loro sintetiche composizioni contribuisce un sound assolutamente inconfondibile, capace di amplificare con uguale efficacia gli arpeggi cristallini di Zoltan Bathory, i catartici assoli del bravissimo Jason Hook (subentrato a Darrell Roberts appena il 30 gennaio scorso e già perfettamente inseritosi nelle dinamiche della band) e la stupefacente performance vocale di Ivan Moody.

Proprio quest’ultimo dimostra di aver compiuto una crescita vocale semplicemente spaventosa in quest’ultimi 2 anni, avendo acquisito una padronanza soprattutto interpretativa in grado di rivaleggiare con chiunque e soprattutto di offrire un effettivo valore aggiunto alle prestazioni live della propria band: sia nelle sezioni di growl più cupo e aggressivo, sia negli intermezzi di spoken inquieto e sarcastico, sia nelle più delicate fasi di clean, la sua pulizia emissiva ed il suo calore timbrico trovano modo di esprimersi in maniera sempre coinvolgente e convincente, anche laddove avrebbero potuto palesare limiti di sterilità o stucchevolezza. Al contrario, Ivan Moody si rivela perfettamente a sua agio anche nelle situazioni più complicate, vale a dire quelle ballad per la prima volta veramente affrontate dalla sua band: nonostante il terreno tradizionalmente sdrucciolevole, la performance canora del vocalist-fondatore assume i contorni di un vero e proprio trionfo, consentendoci di assaporare in tutta la sua meraviglia una presenza scenica e una consapevolezza recitativa davvero penetranti.

Quanto detto è soltanto l’aspetto più appariscente della disarmante naturalezza con la quale un metal act di feroce tradizione thrash quali sono i Five Finger Death Punch riesce a districarsi in un campo minato quali solo le ballad o i mid-tempo, dando in pasto agli ascoltatori nitide impressioni visive di tramonti, canyons e arrugginite cadillac sulle highway confederate, senza abbandonarsi mai a ruffianerie melense o fintamente commoventi, come nel caso della malinconica Crossing Over o della disperata Far From Home, dalle sospirate sfumature country, ma anche l’epica My Own Hell o la liberatoria Walk Away. La ferocia, sempre e comunque imbrigliata da un groove debordante e linee di chitarra perfettamente eseguite, ritorna prepotente in tracce quali l’opener Dying Breed, una vera e propria scheggia di potenza e sentimento, l’ammiccante Bulletproof, nonostante un chorus abbastanza stucchevole (soprattutto per via dei controcanti eccessivamente melensi), l’oscura No One Gets Left Behind (in assoluto uno dei migliori episodi dell’album), la stessa Burn It Down (sebbene difetti di scarsa incisività), già pubblicata sul myspace ufficiale della band, così come la rabbiosa Falling In Hate e la conclusiva titletrack War Is The Answer, che recupera lo stesso groove assassino di Burn It Down ma vi aggiunge esattamente quanto mancava a quest’ultima, ovvero carisma ed efficacia.

Menzione speciale meritano i 2 episodi in assoluto più caratteristici di quest’album, ovvero la strumentale Canto 34 e la cover Bad Company. La prima si dimostra una graditissima sorpresa in quanto non funge soltanto da banale intermezzo, ma presenta tutte le caratteristiche necessarie per configurarsi e sopravvivere come pezzo a sé stante, assumendo un’identità completa che lo rende, appunto, uno dei momenti maggiormente riusciti (e certamente sorprendenti) di War Is The Answer. Allo stesso modo, Bad Company, cover del successo anni 70’ firmato dall’omonima band, pezzo solitamente eseguito dai Five Finger Death Punch in sede live, si trasforma magicamente nel capolavoro assoluto dell’album, quanto e forse persino più del singolo estratto Hard To See: nonostante chi vi scriva non tolleri per principio le cover inserite nei cd originali, con Bad Company è stato praticamente inevitabile doversi ricredere, visto come la canzone riesce ad acquisire immediatamente naturalezza, spontaneità, brillantezza assolute, aderendo perfettamente allo stile e al sound firmato 5FDP, senza sciocche forzature, senza rielaborazioni artificiose, senza alcun momento realmente poco convincente.

Tuttavia, è proprio la conseguenza di quanto appena detto a suscitare in noi immediate perplessità: com’è possibile che il miglior pezzo di un intero album sia una cover? Col susseguirsi degli ascolti, infatti, emergono alcuni elementi imbarazzanti che pregiudicano una valutazione completamente positiva di questo pur validissimo War Is The Answer. La considerazione di maggior rilievo, quella cui si riconducono tutti i problemi riscontrati in questo album, è la constatazione di come la forma canzone proposta dai Five Finger Death Punch sia quasi sempre la stessa, a volte con l’aggiunta di qualche robusto pre-chorus, a volte con l’inserimento di un poderoso break-down, ma tutto sommato la sequenza strofa – ritornello – strofa – ritornello – assolo - ritornello si ripropone pressoché inalterata in tutti i brani dell’LP. E’ un dettaglio piuttosto significativo, perché se è vero che le melodie rimangono ugualmente incisive e che proprio la breve durata dei brani, figlia di un’opera di pulizia compositiva che ha asciugato le inutili prolissità del precedente The Way Of The Fist, ne amplificava l’immediatezza e l’apprendimento mnemonico, alla luce di quanto emerge con l’andare degli ascolti è evidente che, dopo un album riuscito ma mediamente poco complesso come War Is The Answer, i Five Finger Death Punch sono ora chiamati ad un ulteriore salto di qualità, che riesca ad arricchirne le forme mantenendone inalterati i sentimenti, dimostrando che il terzo capitolo discografico è effettivamente quello della definitiva maturità artistica.

Comunque sia, giudicare esclusivamente sciocche o banali le strutture canore firmate 5FDP, spesso in maniera addirittura aprioristica, significa non aver capito nulla degli intenti di questa sensazionale band d’oltreoceano: è proprio la semplicità delle partiture e l’effervescente spontaneità che ne tracima ad infiammare ogni singola nota di War Is The Answer così come del precedente The Way Of The Fist, rispetto al quale il primo non manifesta alcun segno di stanchezza o debolezza. Al contrario, War Is The Answer costituisce l’ideale completamento del predecessore, del quale recupera le migliori hit (il primo singolo estratto Hard To See trova la sua perfetta corrispondenza in The Bleeding, perdendone in fascino ma acquistandone in geometria) ed al quale aggiunge graffianti mid-tempo e, dulcis in fundo, le vere e proprie ballad, campo solitamente minato del quale i 5FDP dimostrano però di conoscere perfettamente potenzialità e misure. Insomma, per chi insegue un heavy metal coinvolgente, fresco, dinamico ed estremamente accessibile, senza alcuna pretesa di sconvolgere manifestamente il proprio genere musicale (pur riuscendoci, nei fatti), Five Finger Death Punch are the answer

Giudizio finale, 7/8 : secondo ottimo disco da parte di una band che fa dell'essenzialità più lunsighiera la propria arma ad effetto, alternando con sapiente astuzia sonorità e sentimenti persino contrapposti ma sempre coesi e coerenti; groove metal, o forse soltanto puro e semplice metal, ai suoi vertici, nonostante qualche inatesso scricchiolio riguardante la scarsa efficacia di certe soluzioni davvero al limite del banale. Attesi al varco del terzo album, per loro, per ora, standing ovation. 


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