- Mark Lanegan
- Ian Glover
- Rich Machin
Guests:
- Gibby Haynes
- Richard Hawley
- Jason Pierce
- Bonnie "Prince" Billy (aka Will Oldham)
- Rosa "Red Ghost" Agostino
1. The Seventh Proof
2. Death Bells
3. Unbalanced Pieces
4. You Will Miss Me When I Burn
5. Some Misunderstanding
6. All the Way Down
7. Shadows Fall
8. Can't Catch the Train
9. Pharaos Chariot
10. Praying Ground
11. Rolling Sky
12. Wise Blood
13. By My Side
Broken
I Soulsavers di Rich Machin ritornano nel 2009 con un disco, Broken, che si rivela abbastanza ambizioso, già a partire dall'elenco di ospiti di tutto rispetto: oltre al confermato Mark Lanegan (la cui voce brillava nel precedente lavoro), si aggiungono Mike Patton (Faith No More, Tomahawk, Mr. Bungle e un miliardo di altri progetti vari), Will Oldham, Jason Pierce (Spacemen 3, Spiritualized), Richard Hawley, Gibby Haynes (Butthole Surfers). Accanto a loro l'esordiente Rosa Agostino come voce secondaria.
Il disco è influenzato dalle esperienze live del gruppo, che ha evoluto il proprio stile innanzitutto rinnegando la matrice trip hop degli esordi e poi rendendolo più rock, country e gospel, oltre che tendenzialmente più immediato negli arrangiamenti proprio per questa vena concertistica. L'attitudine improntata all'emotività viene accentuata, con crescendo sonori nei ritornelli, apici melodrammatici e distensioni malinconiche.
Ma sono presenti anche piccole altre aperture stilistiche in certi singoli brani che da un lato arricchiscono l'album, dall'altro tendono a farlo suonare un po' disomogeneo: cenni di psichedelia pinkfloydiana, musica da camera e persino jazz arrivano ogni tanto a tingere alcune canzoni, spesso lasciando l'impressione che si potesse osare di più ma che in definitiva non si è fatto nulla per non rischiare di inciampare con sperimentazioni troppo sbrodolate che diluissero e rendessero insipido il cuore emotivo soul/gospel che caratterizza la maggior parte del lavoro. Questo cuore, comunque, tende ogni tanto ad apparire eccessivo nel suo pervadere l'atmosfera generale del disco, finendo ad un certo punto per lasciare un retrogusto melenso perché fra un contrappunto vocale qua, una stratificazione sonora barocca là, sembra quasi che prevalga la forma.
Ne risulta così una sofisticata ma melodica sintesi di generi la cui essenza va ricercata nel crescendo emotivo (ottenuto tramite il gospel o il country-rock), anche a costo di sembrare prevedibile.
L'iniziale The Seventh Proof è una mesta strumentale in lo-fi di strumenti classici, soprattutto il pianoforte ripetuto; si notano particolarmente però i piccoli campionamenti di campana in lontananza perché sembrano quasi rievocare la successiva pulsante Death Bells è un rock a tinte country dove invece prevalgono schitarrate distorte ed un'attitudine più d'impatto del solito, mentre la voce quasi distaccata cattura con il suo carisma. L'assolo è acido e tagliente, mentre la batteria spedita mantiene acceso il ritmo.
L'unica canzone trip hop del disco è Unbalanced Pieces, dove su battito downtempo si accumulano chitarre country, stratificazioni vocali gospel, droni distorti ed un mood cupo, introverso e da solitaria periferia notturna.
You Will Miss Me When I Burn è una cover dell'ospite Will Oldham. Si tratta di una ballad malinconica di pianoforte con contrappunto di archi in sottofondo e spunti vocali gospel, formalmente banale se presa come brano di quest'album ma capace di un certo spessore emotivo grazie, ancora una volta, alla profonda voce di Lanegan che svetta sulla strumentazione e non fa rimpiangere l'originale.
La cover di Gene Clark Some Misunderstanding è un country-rock vissuto e raddolcito, con il consueto climax emotivo nel chorus in cui emerge il lato più soul del gruppo; ma l'eccessivo prolungamento la rende ripetitiva.
La successiva All the Way Down riduce il lato chitarristico proponendo un gospel soffuso e dilatato, mentre Shadows Fall combina un'acustica folk ad effetti atmosferici che enfatizzano la malinconia che traspare dal brano.
Can't Catch the Train è un'altra ballata di pianoforte con contorno d'archi, ma in più s'inserisce anche un piccolo sassofono in lontananza che dona sfumature notturne all'atmosfera dolce ma triste.
Suona relativamente più fresca Pharaoh's Chariot, con alcuni piccoli innesti psichedelici sulla base di pianoforte e chitarra acustica, ma non più di tanto e comunque non compromettendo le coordinate dell'album. Un tenue velo psichedelico avvolge anche l'atmosferica Praying Ground, le cui note di carillon si perdono in una notte desolata e sofferente.
Rolling Sky sovrappone un psych/jazz molto dilatato, con batteria lenta e cadenzata di sostegno, a riempimenti atmosferici fumosi, suonando alienante soprattutto quando oltre la metà del brano sopraggiungono droni lisergici ad avvolgere il tutto ancor più nella nebbia.
Wise Blood è una strumentale melodrammatica di archi dolenti con alcuni dei momenti di maggior spessore emotivo dell'album, quasi come se la canzone stessa piangesse.
Infine la conclusiva By My Side riprende gli attacchi psichedelici di Pharaoh's Chariot enfatizzandoli leggermente ed immergendoli in un'aura gospel quasi sacrale.
Broken è un disco soffuso e cinematico, occasionalmente sporcato di alcune divagazioni stilistiche ma fondamentalmente incentrato su elementi contraddistintivi di base su cui si focalizza l'opera. Ed è questa la croce e delizia del gruppo perché l'enfasi emozionante, anche quando punta a colpire dritto al cuore, rischia sempre di uscirne abusata, allungata, appiattita.
Nel precedente full-lenght si sperimentava marcatamente un ibrido con l'universo trip hop, mentre con quest'ultima fatica i Soulsavers si focalizzano su quei generi che più li stanno interessando in questo periodo; ma forse persistere su quella linea avrebbe offerto il potenziale maggiore per un lavoro più caratterizzato e creativamente più dinamico.
Un discreto album, ma non di più.