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- Travis Neal – vocals
- Dino Cazares – guitar
- Joe Payne – bass
- Tim Yeung – drums
:
1. Facebreaker
2. The Battle Of J. Casey
3. Undivine Prophecies
4. Bringer Of Plagues
5. Redefine
6. Anarchaos
7. Monolithic Doomsday Devices
8. Letter To Mother
9. Enemy Kill
10. Darkness Embedded
11. The End Begins
12. Forever The Failure [Bonus Track]
Bringer Of Plagues
A 2 anni di distanza dal precedente successo di Bleed The Fifth, album coriaceo che aveva fatto conoscere al mondo l’ultima creatura di Dino Cazares, i Divine Heresy si ripresentano sul mercato discografico col loro nuovo lavoro Bringer Of Plagues. Numerose circostanze verificatesi durante questo breve lasso di tempo hanno modificato sostanzialmente l’entità propria della band e, soprattutto, il suo futuro, ma andiamo con ordine:
- l’abbandono di Tommy Cummings. Dopo l’ottima prova fornita al suo debutto, impreziosito dal contributo fondamentale nella scrittura delle liriche di Bleed The Fifth (tutte di sua firma), il ruolo di Vext sembrava oramai definito e definitivo, con tanto che proprio le sue sorprendenti performances vocali e scrittorie costituivano uno degli elementi alla base del trionfo dell’album. Al contrario, la sua breve carriera alla guida dei Divine Heresy ha avuto fine dopo uno sciocco alterco avvenuto il 26 Aprile 2008 durante un concerto: le ragioni sono alquante nebbiose e probabilmente, come spesso accade, non si sapranno mai con esattezza, tuttavia sembra proprio che Vext volesse terminare l’esibizione in anticipo rispetto alla scaletta annunciata così da evitare danni alla sua voce, gravemente provata dall’improvvisa rottura dell’impianto di amplificazione, in vista della partecipazione al New England Metal Fest il giorno successivo; al contrario, Dino Cazares avrebbe deciso di eseguire ulteriori brani oltre a quello che Vext si aspettava fosse l’ultimo e da qui l’insanabile bisticcio. Fatto sta che, al posto del promettente Tommy Cummings, i Divine Heresy hanno chiamato l’ex singer dei Pushed, attualmente nelle fila degli svedesi The Bereaved, Travis Neal.
- la ricostituzione dei Fear Factory. Senza avere la minima intenzione di riassumere le vicende di una saga al confine tra letteratura russa e gossip sotto l’ombrellone, il 7 Aprile 2009 l’ex vocalist dei Fear Factory Burton C. Bell e Dino Cazares hanno annunciato la loro riconciliazione e soprattutto l’avvio di un nuovo progetto in comune che vedrà al loro fianco Byron Stroud, ex bassista degli Strapping Your Lad già presente nei FF ai tempi di Archetype e Trangression, e soprattutto Gene Hoglan, ex drummer degli stessi Strapping Your Lad e dei Death. Ancora non è chiaro se quest’ultimi riusciranno a riappropriarsi del brand della Fabbrica della Paura, per il quale è in corso un aspro contenzioso legale con Christian Wolbers e Raymond Herrera (che nel frattempo hanno dato vita agli Arkaea, avvelndosi del contributo dei Threat Signal Jon Howard al microfono e Pat Kavanagh al basso), tuttavia questo progetto prosegue rapidamente e si mormora che l’album d’esordio potrebbe arrivare sugli scaffali dei negozi addirittura all’inizio del prossimo anno.
Le considerazioni appena sviscerate assumono importanza capitale alla luce di quanto espresso dai Divine Heresy con questo nuovo lavoro: se Bleed The Fifth possedeva una carica detonante per effetto della nuova giovinezza mostrata da Dino Cazares, per la forte coesione dimostrata dagli elementi della band e per uno stile indubbiamente esplosivo ed in parte diverso dai trascorsi di ciascuno, Bringer Of Plagues ripropone esattamente quanto già dimostrato dal suo predecessore, curando sì maggiormente alcuni dettagli (dall’artwork, decisamente più patinato ed intrigante, al songwriting, con un leggero miglioramento dell’integrazione tra le sezioni di strofa e gli stacchi melodici dei chorus) ma mantenendo perfettamente inalterati i caratteri distintivi. E’ certamente vero che i Divine Heresy hanno comunque applicato alcune significative modifiche al loro stile primitivo, eliminando pressoché definitivamente gli ultimi residui industrial derivati dai trascorsi nei Fear Factory e proponendo alcuni interessanti sconfinamenti in territorio groove e alt (già abbozzati, sebbene in maniera meno evidente, anche in Bleed The Fifth), tuttavia ciò non basta a differenziare in maniera sostanziale i 2 lavori, il ché può interpretarsi in 2 maniere: o i Divine Heresy hanno già esaurito le loro idee (ipotesi che non intendiamo avvalorare, stando a quanto già accennato) oppure Bringer Of Plagues è stato composto con l’intento di consolidare la propria identità musicale, introducendo soltanto quei pochi elementi necessari a far sì che non fosse visto come una squallida copia carbone di Bleed he Fifth bensì come un album saldamente legato alle proprie radici ma già proiettato al futuro, già in fase di transizione.
Anche in questa circostanza, al pari del precedente lavoro, svolgere una puntigliosa analisi track by track risulterebbe francamente inutile, in quanto il presente platter si fa forte di un’omogeneità generale che gli conferisce potenza e incisività ma anche il solito accenno di noia: ci troviamo di fronte, infatti, ad un metalcore (definizione da prendere con le molle ed in senso molto lato) piuttosto personale ma ugualmente identificabile (dall’opener Facebreaker alla titletrack Briger Of Plagues passando per Letter To Mother, che sembra volgersi ad un groove metal dalle tinte fosche e paradossalmente estremizzate) che alterna sezioni ritmiche di impronta death metal (o thrash, come in certe sezioni di The Battle Of J.Casey, della già citata Letter To Mother o di Enemy Kill, dall’inciso piuttosto stuzzicante) a stacchi melodici in puro clean, con le sole eccezioni della skit strumentale Undivine Prophecies e della pseudo-ballad, speculare alla Closure di Bleed The Fifth, Darkness Embedded (l’unico momento in cui Travis Neal rivela davvero una certa debolezza interpretativa ed anche, purtroppo, un’insolita pochezza vocale). Episodi leggermente diversi, sebbene a corrente alternata, sono Redefine ed Anarchaos: la prima ricorda in maniera quasi drammatica i cugini Arkaea, vale a dire la nuova band degli ex Fear Factory Christian Wolbers e Raymond Herrera, mentre nella seconda riecheggiano, soprattutto nel chorus ripetuto “Anarchaos!”, numerosi echi degli Slipknot di All Hope Is Gone, la cui ombra mascherata riappare anche nelle ritmiche dell’episodio forse più interessante e innovativo dell’album (rispetto a Bleed The Fifth, almeno), ovvero la lunga e tetra Monolithic Doomsday Devices.
Dal punto di vista strumentale, ad illuminare la scena si avvicendano, come ampiamente prevedibile, Dino Cazares, con qualche riff particolarmente riconoscibile e accattivante (oltre a qualche spudorato accenno di assolo, come nell’opener Facebreaker o nella successiva The Battle Of J.Casey), e Tim Yeung, come sempre impeccabile nel suo funambolico rullare. Dal punto di vista vocale, del resto, l’improvvisa sostituzione di Vext con Travis Neal non ha apportato nessuna sostanziale differenza, al contrario in certi momenti le 2 voci evidenziano una somiglianza spaventosa al punto tale da rendersi quasi indistinguibili: considerato che Vext era un debuttante mentre Travis Neal ha alle spalle diverse esperienze professionali è lecito sospettare che, in prospettiva, il primo avrebbe potuto avere un futuro decisamente più consistente, per quanto già la sua prova d’esordio fosse risultata proprio uno dei punti a favore di Bleed The Fifth. Da registrare, infine, il prezioso contributo, sin dalla fase di incisione, del bassista ex Nile Joe Payne, il quale era già stato assunto dalla band all’epoca di Bleed The Fifth ma non aveva potuto parteciparne alla registrazione in quanto precedente alla sua ammissione in line up.
A questo punto è d’obbligo, per rispetto nei confronti di tutti quanti avevano amato Bleed The Fifth e certamente potranno adorare anche questo suo successore, fare chiarezza sul futuro dei Divine Heresy: se è vero che finalmente questa band ha trovato una line up definitiva e prestigiosa, alla luce della reunion dei Fear Factory (non potremmo chiamarli così in quanto il marchio non è ancora stato definitivamente assegnato) le sue prospettive appaiono notevolmente ridimensionate, in quanto certamente questo nuovo progetto assorbirà quasi per intero Dino Cazares, che dei Divine Heresy è anima e soprattutto corpo. Dover assistere allo smantellamento di questi ultimi, o, ancor peggio, alla loro relegazione al ruolo di progetto parallelo o secondario sarebbe davvero un peccato, in quanto questa formazione californiana ha sempre dimostrato classe, carattere, personalità e soprattutto un’identità precisa, elementi tutt’altro che scontati soprattutto all’interno di panorami musicali inflazionati e plastificati. Il nostro augurio è che il truce chitarrista messicano non si allontani eccessivamente dalla sua nuova crew, perché se potesse individuare qualcuno cui dire grazie per avergli donato una seconda giovinezza e per avergli restituito orgoglio e gloria a seguito della fuoriuscita dai Fear Factory, questi sarebbero proprio Tim Yeung, Joe Payne, Travis Neal e, in precedenza, Tommy Cummings. In due sole parole, i Divine Heresy.
Giudizio finale, 7+ : altro album di sostanza e qualità per una band che dimostra, anche svanito l'effetto sorpresa del debutto, idee chiare e grande personalità; premiati con un meritato "+" alcuni interessanti aperture stilistiche, non resta che aggrapparsi a un famoso proverbio in attesa del loro definitivo capolavoro. Avanti così.