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- Dan Loftus – Drums
- Ben Kelly – Guitar
- Dave Capello – Guitar
- Frankie Puopolo – Bass
- Bryan Harris – Vocals
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01. Peace And Quiet ( 1:15)
02. Remember ( 2:12)
03. Coffin Nail ( 2:23)
04. Fuck This Year ( 1:51)
05. Boys In Blue ( 2:15)
06. Better Ways To Die ( 2:50)
07. So Far From Home ( 3:02)
08. Black Cloud ( 2:04)
09. No More Lies ( 1:54)
10. Bloodlust ( 2:03)
11. Our Glory Days ( 2:28)
Better Ways to Die
I Death Before Dishonor sono il perfetto esempio di formazione di valore ma (semi)sconosciuta: nonostante abbiano all’attivo già 3 full length di tutto rispetto (oltre al demo Wartime: True Till Death, Friends Family Forever e Count Me In) e rappresentino una realtà oramai consolidata, a livello tecnico e compositivo, del panorama hardcore internazionale, la loro nuova uscita passerà probabilmente sotto traccia, esclusivamente fra le mani dei più attenti appassionati del genere, senza ottenere quella risonanza mediatica che certamente meritano. Sarebbe davvero un peccato non dare giusto rilievo a questo (in)atteso Better Ways To Die, poiché si tratta di un brillante esempio di compattezza sonora e chiarezza di idee e, soprattutto, della sempre più rara capacità di evolvere il proprio stile ed il proprio sound rimanendo pur sempre ancorati all’ispirazione originale, alla natura più intima della propria vocazione artistica. Quanto appena sottolineato merita ulteriore risalto in virtù del fatto che l’hardcore, per quanto si tratti di un genere ampiamente diffuso e apprezzato, non sembra ammettere ampi margini di cambiamento, caratteristica che spesse volte può limitarne la fan base e soprattutto far sì che quest’ultima giunga a deprecare quei gruppi si addentrino in territori non rigidamente convenzionati.
Ebbene, i Death Before Dishonor riescono nell’intento di mediare alla perfezione fra canonicità e sperimentazione, muovendosi con disinvoltura sul pericoloso crinale che separa l’hardcore dalla frangia più rullante del metalcore: è il caso, a titolo esemplificativo, dell’altalena mozzafiato fra l’opener Peace And Quiet (“Stop!”), il cui feroce blastbeat in controtempo ci riporta all’hardcore più old school, e l’intro della successiva Remember, il cui riff melodic metal fa da preludio ideale a 2 minuti scarsi di ritmo saltellante (ottimo, al basso, Frankie Puopolo) e accattivante riffing metal. Lo stesso accade nelle successive Coffin Nail e Fuck This Year, entrambe stilettate feroci e preda di cambi di tempo imprevedibili e decisamente accattivanti, mentre Boys In Blue si lascia cavalcare da un riffing coinvolgente cui s’alterna il caratteristico, mortale blastbeating. Better Ways To Die, fa ritorno ai più tradizionali argini hardcore punk, ma con una potenza melodica e un’efficacia emotiva realmente devastanti, tutto quanto esaltato da un sound praticamente perfetto per pulizia e limpidezza ma allo stesso tempo corposo e vibrante, non soltanto in questa occasione bensì per l’intera durata del platter. Ulteriori aperture stilistiche si manifestano in piena evidenza con So Far From Home, il cui riffing piuttosto tradizionale e massiccio, unito ad un drumming piuttosto lineare ma estremamente preciso, consente di apprezzare uno dei migliori episodi dell’album, certamente inusuale e inatteso in un simile contesto. Dopo una simile parentesi non ci si aspetterebbe altro che un ennesimo ritorno alle origini; al contrario, gli ispirati Death Before Dishonor ci svelano ancora inedite pennellate compositive, prima innestando sul graffiante chorus di Black Cloud qualche giro di chitarra dall’efficace sapore hard ‘n’ heavy, quindi, dopo la più tradizionale No More Lies, inserendo un imprevedibile assolo di chitarra nella successiva e più pacata Bloodlust. La chiusura, per lo più affidata ai cori della ruspante Our Glory Days, si rivela ulteriormente azzeccata, riassumendo tutti i tratti caratteristici dello stile della band e non lasciando scampo a quella sensazione di incompiutezza o approssimazione che spesso segue all’ascolto di lavori fino a quel momento positivi ma irrimediabilmente rovinate dalla closet track.
Per finire, è evidente oramai che i Death Before Disohonor hanno raggiunto una chiarezza d’intenti e una maturità compositiva all’altezza delle migliori realtà del proprio genere d’appartenenza; come già illustrato, il loro più grande merito sta nel fatto di non essersi adagiati sugli allori di uno stile tendenzialmente chiuso, legato a stilemi predeterminati e ad un pubblico fortemente restio ad accoglierne stravolgimenti o semplici modifiche, ma nell’essere riusciti ad evolvere, crescere, migliorarsi, cercando vie più personali e allo stesso tempo perfettamente compatibili con la propria essenza artistica. Paradossalmente, d’ora in avanti sarà alquanto difficile trattare i Death Before Dishonor come una band puramente hardcore, perché Better Ways To Die, per quanto esibisca una durata francamente troppo esigua, è un esempio concreto di come si possa intingere questo genere arcigno nel metal senza snaturare il primo né dileggiare il secondo: è proprio in casi come questo che il termine metalcore troverebbe, forse, a dispetto di ogni apparenza, la sua più naturale espressione.
Giudizio finale, 7 : personalità e abnegazione, un connubio vincente che fa di questa band l'esempio perfetto di cosa significhi rinnovarsi senza perdere contatto con le proprie radici; "nu hardcore" potente e dinamico, peccato soltanto per la durata indegna dell'album.